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LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ESSERE, NON AVERE 
 
Una specie di scintilla, Elle McNicoll (trad. Sante Bandirali)
Uovonero 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"'La storia che il signor Patterson stava raccontando mi faceva... era difficile da ascoltare. Quindi avevo bisogno di autostimolazione, ma siccome sapevo che non potevo farlo... mi sono fatta prendere dal panico.' Audrey annuisce, ma so che ancora non lo capisce del tutto. Penso che per le persone neurotipiche debba essere difficile immaginare un modo completamente diverso di pensare e di sentire. Un modo potenziato dove tutto è più forte, più luminoso. Migliore. Peggiore."


Audrey, la sua nuova compagna di classe, ha appena assistito a qualcosa che non sa spiegarsi: un forte malessere di Addie durante il racconto del signor Patterson su alcune donne che molti anni prima erano state condannate per stregoneria a Juniper. Per come è fatta Audrey, non ha senso elucubrarci sopra, ma piuttosto chiedere ad Addie una spiegazione di tutto ciò.
La spiegazione è lì sotto i suoi occhi: Addie è una ragazzina autistica che ha una sensibilità differente dai neurotipici e che, nel sentire i dettagli della storia di queste donne accusate ingiustamente di stregoneria solo sulla base di presunte loro diversità nel modo di comportarsi, fa immediatamente sue le loro sofferenze: si immedesima in quella condizione che riconosce un po' come sua. E' un po' come se riuscisse a vederle, a sentirle, con una sensibilità molto più forte di chiunque altro.
Addie, in ogni minuto della sua esistenza, si misura con l'esterno e ne verifica la capacità di essere più o meno compresa, nella sua diversità. Ovviamente in famiglia lei è e si sente capita - con la sorella maggiore Keedie ha un feeling tutto particolare, essendo anche lei autistica.
Nella sua vita sociale le cose però non sono affatto semplici e tranquille: un'insegnante ottusa e gretta le rende la vita scolastica semplicemente insopportabile, i compagni di classe la bersagliano spesso e volentieri, la sua ex migliore amica Jenna, in coppia con la perfida Emily che l'ha soppiantata, la prendono di mira e la vessano con una crudeltà. Al contrario, il bibliotecario e l'insegnante di teatro sanno entrare in sintonia con lei e con loro è una bellezza parlare e aprire il proprio cuore.
Questo è il racconto in prima persona di Addie, della sua vita di relazione all'interno di una piccola comunità, il villaggio di Juniper, alla periferia di Edimburgo, dove cercare di essere se stessi non sembra così facile. Ma è anche la storia di una sua personale battaglia, che combatte al fianco della sua amica Audrey e della sua famiglia, perché a tutte quelle donne, che la società condannò come streghe solo sulla base del fatto che erano diverse, sia riconosciuta giustizia e onore.


Questo è un libro che cresce con lentezza, ma che dimostra di avere una sua forza interna in grado di 'spostare' il lettore, ovvero di creare in lui una differenza tra il prima e il dopo. E questo, per un libro, è un buon risultato.
Si fa fatica per tutte le centottanta pagine a digerire alcuni personaggi e, alle volte, risulta difficile dare loro una parvenza di autenticità perché sono davvero nauseanti nel loro modo di fare. Tuttavia, tutto questo sembra avere una sua ragion d'essere in una prospettiva di maggiore respiro in cui la voce di Addie abbia modo di esprimersi in tutte le sue sfumature. Insomma, occorre un termine di paragone che sia immediatamente leggibile come in contraddizione e oppositivo al personaggio di Addie. Ed è esattamente quello che accade. Il racconto assume spessore proprio in questo continuo stridere tra chi si reputa normale, e su questa normalità costruisce il proprio potere, e chi invece sa riconoscere la propria unicità, e sulla consapevolezza di sé, costruisce la propria sicurezza.
Attraverso il suo sguardo che è differente, camminandole dietro lungo strade mai percorse finora, si riescono a palpare luci, colori ed elettricità nell'aria, si riescono a percepire le sensazioni, si impara un codice interpretativo e comunicativo 'altro', si riescono a seguire quelli che sono i modi di interpretare la realtà di chi è autistico.
L'esperienza non può lasciare indifferenti, per due ragioni che si compenetrano. La prima ha a che fare con l'apprendimento: stiamo di fatto imparando una nuova lingua, ma forse sarebbe più corretto dire una nuova cultura, in tutte le sue sfaccettature; la seconda ha a che fare con l'immedesimazione. In questo caso, il fatto che Elle McNicoll sia effettivamente una 'neurodivergente' produce in chi legge una tale onda di autenticità che risulterebbe davvero complicato non arrivare a 'sentire' in modo empatico quello che prova Addie. E questo non vuole dire solo che il lettore prende le sue parti di fronte alle ingiustizie cui viene di continuo esposta, ma molto più profondamente il lettore si irrigidisce con lei, quando qualcuno la abbraccia troppo a lungo, si preoccupa con lei quando qualcuno alza troppo il tono della voce, socchiude gli occhi con lei quando c'è una luce che sfarfalla...
Bella e utile esperienza.


Carla

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

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 STORIE DI PAURA E DI MISTERO


‘La stanza 13’, a suo modo, è considerato un classico dell’horror per ragazzi; richiama le storie di fantasmi, genere molto presente nella letteratura inglese, con quella caratteristica miscela di realismo e sovrannaturale. Robert Swindells lo ha scritto nel 1989, mentre la traduzione italiana, dovuta a Mondadori, segue di due anni.
 

Protagonista di questo romanzo breve è Fliss, dodicenne della scuola media della cittadina di Elsworth, nello Yorkshire, ma l’azione si svolge a Whitby, dove tutta la sua classe è in gita scolastica, per visitare, in particolare, l’antica abbazia. 
 

La partenza di Fliss, il cui nome completo è Felicity, è funestata da un incubo inquietante; anche l’arrivo a destinazione è disseminato di strani indizi che sembrano anticipare qualcosa di pauroso. La ragazzina e alcune amiche alloggia all’ultimo piano di un hotel e già la prima notte sente strani rumori e, quando lei esce dalla propria stanza, nota che sulla porta dell’ultima camera, uno sgabuzzino, è comparso il numero 13. Il giorno dopo non può che confidare i suoi timori all’amica Lisa e a Gary Bazzard e David Trotter, detto Trott. Grazie ai loro appostamenti notturni, scoprono che una loro compagna, Ellie-May, si introduce nella stanza 13; la ragazzina di giorno è sempre stanca e sembra ammalata.
Nel frattempo i ragazzi raccolgono vari oggetti, del tutto inconsapevoli dell’uso che me faranno.
Come in tutti i buoni romanzi di paura, anche qui alcuni personaggi, in particolare una vecchia pazza che sembra essere l’unica a conoscere la verità sull’albergo, compiono la loro metamorfosi, l’arco narrativo che li porta a essere, da presenze inquietanti, imprevisti alleati contro il Male.
Perché è proprio questa la lotta che si svolge nottetempo nella stanza 13, in cui un vampiro viene alla fine annientato da un paletto dalla forma di un bastoncino di zucchero e una croce ricavata da un aquilone. Anche la protagonista e i suoi amici si trasformano in coraggiosi paladini del Bene, animati da una forza che non appartiene solo a loro.
Questa impostazione ‘metafisica’, il Bene e il Male che periodicamente si affrontano attraverso le loro incarnazioni, è ancora più evidente in ‘Nel ventre del drago’, scritto nel 1993 e ora tradotto, sempre da Mondadori, nella collana Contemporanea.
 

I protagonisti sono gli stessi del romanzo precedente, di un anno più grandi. Devono organizzare una recita che racconti una delle leggende più importanti del luogo, quella della santa Ceridwen che, poco prima dell’anno Mille, sconfisse il drago che terrorizzava la cittadina. In realtà, da quel poco che sono riuscita a ricostruire, Ceridwen è una divinità celtica, cui sono legati numerosi racconti; non sono riuscita a trovare riferimenti a una versione cristiana di questo personaggio, ma potrebbe essere un contributo creativo dell’autore.
Questa volta lo schema narrativo vede Fliss, che nella recita deve impersonare la santa, contrapposta ai suoi amici, Lisa, Ellie-May, Gary e Trot, che impersonano il drago, cioè danno vita all’elaborato costume che lo rappresenta. Solo che, come si vuole in tutte le storie di paura, i giorni che precedono la rappresentazione sono punteggiati di misteriose apparizioni, eventi inquietanti, aggressioni, che sembrano avere a che fare proprio con i quattro amici di Fliss, travestiti da drago.
Qui è ancora più evidente quanto Fliss, nel momento in cui affronta il drago, che si incarna nel drago di cartapesta, non è solo lei, ma è portatrice di una forza sovrannaturale. E, d’altra parte, il sovrannaturale in queste storie è il cardine della narrazione, con una evidente polarizzazione di natura morale. Il Bene e il Male prendono ogni volta forme diverse, costringendo i ragazzini a dare vita a uno scontro che non può avere fine.
Questo secondo romanzo, animato dal gruppo di ragazzini della scuola di Elsworth, è molto più legato del precedente al patrimonio culturale inglese, anche se la ‘cristianizzazione’ della leggenda lo rende ben comprensibile a tutti i giovani lettori e lettrici che amino le storie di paura. In entrambi i romanzi, il mondo adulto assiste inconsapevole, con le poche eccezioni di figure marginali, la pazza di ‘La stanza 13’, o il barbone de ‘Nel ventre del drago’, alle prove straordinarie sostenute da questo manipolo di ragazze e ragazzi, che riescono a decifrare i segni del Male che i grandi non riescono a scorgere.
Al di là di queste considerazioni, questi due romanzi incarnano alla perfezione il genere horror, con tutte le sue implicazioni: inquietudine, segnali ricorrenti di presenze malefiche, paura crescente, solitudine dell’eroe: è Fliss che affonda il paletto, di zucchero, nel petto del vampiro, è Fliss che sconfigge il drago. Nell’essere rivolti a ragazze e ragazzi delle scuole medie, non hanno nulla di eccessivamente esplicito, o morboso. Sono storie ben strutturate, con un uso sapiente della suspense in un crescendo di tensione che facilita la lettura veloce.
Ottime letture estive, che familiarizzano con un genere letterario che spesso appassiona anche i lettori e le lettrici più giovani.
 
Eleonora


Noterelle al margine. Il titolo originale del secondo romanzo è ‘Inside the worm’, laddove il drago, perché di un drago stiamo parlando, è chiamato ‘verme’. Nel libro si accenna al fatto che gli antichi Anglosassoni chiamassero così draghi e altri mostri rettiliformi. Trovo la cosa singolare, ma non sono riuscita a trovare una spiegazione di questo curioso accostamento.
‘La stanza 13’ ha ottenuto il premio Red House Children’s Book Award, mentre il romanzo di Swindells che ha vinto la Carnegie Medal nel 1993, ‘Stone cold’, non è stato ancora tradotto.

 

“La stanza 13”, R. Swindells, Mondadori 1991, in Oscar junior dal 2015
“Nel ventre del drago”, R. Swindells, Mondadori 2021



OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

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ONE OF A KIND - UNICO NEL SUO GENERE
 
Slow Loris, Alexis Deacon
Hutchinson 2002


ILLUSTRATI 
 
"Slow Loris wasn't his real name but that was what everyone called him.
A slow loris is just a type of animal.
Slow Loris was a slow loris.
He really was... very... slow.
It took Loris ten minutes to eat a satsuma..."
 

E per percorrere l'intero tronco che attraversava la sua gabbia allo zoo ci impiegava venti minuti e un'ora gli occorreva per grattarsi il didietro. Come capita a ogni lori lento, anche questo lori lento - che tutti chiamavano Slow Loris - passava la maggior parte del tempo sonnecchiando, cosa che lo rendeva noioso agli occhi dei visitatori. Ma a lui questo non importava, perché aveva un segreto: ogni notte quando l'intero zoo dormiva, quello che tutti chiamavano Loris si alzava e faceva cose... a grande velocità. Scendeva dai rami, si metteva cravatta e panama azzurro e divorava un intero piatto di satsuma e poi risaliva sul tronco successivo. Tutto di gran corsa fino al momento in cui, stanco, non aveva più la forza di fare nulla e tornava a essere il solito lori lento di sempre. Fino a che un giorno, facendo cose molto rumorose, ovvero suonare una batteria di pentole con un mestolo di legno, indossando questa volta un ushanka, colbacco sovietico, viene scoperto da un gruppo di suricati che non ci mette un minuto a spargere la voce tra tutti gli animali dello zoo. Il risultato è che la notte successiva tutti gli animali, ad evidenza usciti dalle loro residenze, sono riuniti davanti alla sua gabbia ad attendere gli eventi. E quando lui, quatto, apre lo sportellino con in testa il suo sombrero con i pendagli di sughero e la cravatta rossa tutti capiscono che il lori lento non è davvero un animale noioso, al contrario è davvero selvaggio e folle.
Da quel momento nulla potrà essere più come prima.


Questo è il primo libro di Alexis Deacon: si è appena laureato a Brighton e nell'anno successivo lo pubblica, ma già ci lavorava durante i suoi studi, disegnando gli animali dal vero. Immediatamente è tra i finalisti del Blue Peter Book Award. A quasi vent'anni dalla sua pubblicazione continua a essere stupefacente il suo modo di concepire una storia e di illustrarla. Un libro pieno di buone idee.
La prima buona idea sta nella scelta del personaggio.
La seconda buona idea è nascosta in un dettaglio: la impercettibile differenza che c'è tra lo scrivere slow loris e Slow Loris, creando in questo modo un gioco lessicale che ha il gusto dell'equivoco, tra il nome comune dell'animale e il suo nome proprio, che comunque (tra parentesi) poi non è neanche quello.
La terza buona idea si avvale di uno dei topoi letterari più interessanti: l'uno e il suo doppio. Un animale che di giorno, in pubblico, è lentissimo, tenendo fede alla sua natura di lori lento, e di notte, in privato, si trasforma in tutt'altro.
 
 
La quarta buona idea sta nel disvelamento di una serie di anomalie che diventano all'istante, nell'atto della condivisione, la norma. Non mi riferisco solo al fatto che un lori lento vada veloce e faccia baldoria di notte, ma anche e soprattutto alla presenza di una serie di dettagli insoliti se disegnati nelle gabbie di uno zoo. La follia del lori lento si incarna, almeno nello sguardo degli animali che la notte sono un unico corpo giudicante, in quel cappello originale, che sembra essere il frutto di una sua particolare ricercatezza di stile. Il cappello e la cravatta color lacca diventano subito bandiera di appartenenza. 
 
 
Tornando indietro nelle pagine precedenti capiamo che i cappelli e le cravatte rappresentano una sorta di Leit Motiv, una cifra 'assurda' che connota lo stile di vita di quell'animaletto, ma a ben vedere, anche l'intero racconto a figure. Non è un caso infatti che nella tavola che precede la sua entrata in scena con il sombrero, tutti gli animali siano seduti e perplessi, mentre in quella immediatamente successiva i protagonisti sono grossomodo i medesimi, ma compaiono tutti bardati secondo la moda lanciata dal lori lento.
Let's go party! Contagioso è anche lo sfinimento a fine serata, con la relativa apatia che prima apparteneva solo al piccolo primate e la mattina successiva è di tutti.
 

A tutte queste belle idee se ne aggiungono un tot che hanno a che fare con la composizione: sto pensando allo script fatto a mano, spesso bianco su nero e spesso disteso e allungato a seguire i volumi disegnati, al taglio della pagina che segue il profilo dei suricati, alla presenza di una finestrella in corrispondenza del piccolo sportello della gabbia, all'uso della sfocatura per raccontare la velocità, all'uso delle pagine nere che alludono al buio della notte in arrivo, ma sono anche 'pause' narrative in attesa di una sorpresa; penso alla già sapientissima versatilità nell'occupare lo spazio della pagina secondo ritmi diversissimi: dal primissimo piano della satzuma alle sequenze con il disegno tagliato, che hanno il compito di accelerare. Penso all'impiego del margine del foglio in senso narrativo...
 

Su tutto questo si distende una qualità del disegno che fa sobbalzare e che ha fatto dire ai sapienti critici che Alexis Deacon è stato uno dei dieci migliori illustratori degli anni Duemila.
 
Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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 FRONTIERA


Con un po’ di ritardo, rispetto ad altri editori più presenti nel mondo dell’editoria per ragazzi, anche Feltrinelli ha aggiunto una collana economica alla sua proposta per ragazzi e ragazze: nella Universale Economica Ragazzi sono confluiti titoli provenienti dalla collana Kids e dalla collana Up, oltre a titoli del catalogo generale. Pian piano stanno uscendo anche proposte originali, come la linea di gialli per ragazzi, e titoli pensati per uscire direttamente nella versione tascabile.
E’ questo il caso de ‘La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere’, tratto dal testo di Alessandro Leogrande, prematuramente scomparso, con l’adattamento di Nadia Terranova.
In questo libro sono contenute alcune delle storie del volume precedente uscito nel 2015, a partire da un naufragio avvenuto vicino alle coste di Lampedusa nel 2013. Da questo episodio si dipanano una serie di storie: di chi si è salvato, delle loro storie prima del viaggio, le cui tappe sono magari durate anni; di chi ha salvato, ha aiutato, ha cercato di capire. Quello dei migranti è un popolo in cammino, dalle provenienze diverse, l’Afghanistan, l’Eritrea, tanti paesi dell’Africa sub sahariana. Su questi destini incerti incombe la ‘frontiera’, concetto assai variabile che si modifica nel tempo, mobilitando le speranze di chi vuole attraversarle e le paure di chi vuole difenderle.
E’ una frontiera anche quella che separa il tempo di prima e quello che verrà, con tutte le aspettative che comporta.
Leogrande più che fare un resoconto di eventi, raccoglie testimonianze e le riporta raccontando in prima persona, come se la lettrice o il lettore fossero lì con lui; c’è grande partecipazione e nessuna retorica, un desiderio profondo di capire la materia viva che anima un processo storico inarrestabile, la volontà di tante persone, ciascuna delle quali ha una storia e degli affetti da raccontare, di affrontare il pericolo perché quello che lasciano è una condizione di vita inaccetabile.
Nadia Terranova è stata molto brava nell’assemblare le storie tratte dal libro del 2015, rispettando lo sguardo partecipe dell’autore. Ne discende un libro molto intenso, decisamente drammatico nel descrivere le tragedie dei naufragi, i pericoli delle rotte per mare e per terra, le vite difficili di chi ce l’ha fatta.
 

Bellissime le pagine finali in cui l’autore si interroga sull’impotenza del nostro sguardo, utilizzando ‘Il martirio di san Matteo’ di Caravaggio, nel cui sguardo si identifica: assistere senza poter intervenire, cogliendo tutta la dolorosa violenza di un gesto ingiusto.
 

Qui forse, in questa dichiarazione di impotenza, che non è rinuncia all’azione, ho trovato forse il principale ostacolo alla lettura dei più giovani. Farsi carico di questa consapevolezza, del fatto che non possiamo cambiare alcuni aspetti del mondo, pur vedendone la profonda ingiustizia, è un processo difficile, che forse può essere anche interpretato come assenza di speranza.
E’ un tema complesso, che richiede maturità personale e consapevolezza del mondo, per questo mi sento di consigliare la lettura di questo libro, così intenso, così eticamente forte, a lettori e lettrici che abbiano almeno tredici anni, accompagnandoli nell’approfondimento di temi così importanti.
La frontiera è una convenzione, eppure rimarca un al di qua rispetto a un al di là che possono cambiare radicalmente le vite delle persone. Persone che raramente vediamo in quanto tali, etichettandole come migranti. Riflettere su questo tema nella sua concretezza è un primo necessario passo per superare la retorica, le false narrazioni, i pregiudizi e per cominciare a smantellare proprio quelle frontiere che hanno richiesto un tributo così alto di vite umane.
 
Eleonora


“La frontiera raccontata ai ragazzi che sognano un mondo senza frontiere”, A. Leogrande e N. Terranova, Feltrinelli 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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DI BIGLIE E DI BURRO

Il mio amico geniale, Gary Paulsen (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"Non avevamo niente in comune, da nessun punto di vista, tranne il fatto di essere due emarginati, e questo ci attirava l'uno verso l'altro come due biglie di vetro che rotolano verso il centro di una ciotola, che gravitano una attorno all'altra, rimbalzano respingendosi di tanto in tanto, ma si avvicinano sempre più, e alla fine eravamo diventati amici."
 
L'uno, gracile, a casa con una famiglia disastrata alle spalle e a scuola con Chimmer che lo perseguita, non proprio un valente studioso, sempre in cerca di un lavoretto per alzare qualche soldo. L'altro, Harold, vestito come un trentenne impomatato, con una famiglia normale alle spalle, un cervellone che parla come un libro stampato, sempre in cerca di nuove esperienze, che spaziano dalla fisica degli elettroni, ai primi appuntamenti con una ragazza, dagli sport invernali più alla moda, alla ricerca di indipendenza grazie all'acquisto di una Dodge del '34.
Sono diversissimi tra loro eppure attraversano gli anni complicati dell'adolescenza, tenendosi su a vicenda. L'intraprendenza di Harold, contrapposta alla prudenza del suo amico, diventa un motore narrativo: per arrivare alle ragazze decide di iscriversi al corso di economia domestica e si documenta sui testi di Walter Raleigh e su un manuale di educazione sessuale per essere all'altezza del primo appuntamento, oppure indossa un paio di legni lunghi più di due metri per dimostrare che lo sci è uno sport affascinante, o ancora mette su un business con il recupero delle palline da golf cadute nel fiume per potersi comprare una macchina. Scettico, recalcitrante, dubbioso, ma fedele e leale, il suo amico è sempre con lui.
L'irresistibile Harold è un vulcano di idee, che in qualche modo hanno il merito di rivelarsi alla fine anche vincenti almeno quanto improbabili, un passo dietro di llui c'è il suo anonimo compare, che forse potrebbe chiamarsi proprio Gary, che ha l'arduo compito di tenerlo sulla Terra, a ogni decollo della sua fervida inventiva.


Quando nel 1998 uscì tra gli Shorts di Mondadori, una piccola e preziosa collana per tutti quei lettori spaventati dai libri di narrativa sopra le cento pagine, si ebbe la conferma che Gary Paulsen fosse uno scrittore di classe da tenere sempre nel mirino. In realtà Mondadori, il suo editore italiano, se lo dimentica ben presto e solo dopo molti anni altre case editrici più piccole, in ordine sparso, ripubblicano i suoi migliori libri che all'epoca avevano fatto storia. Ritradotti (qui a onor del merito integralmente), aggiornati i titoli (qui forse un'assonanza facile al romanzo della Ferrante), si sono viste di nuovo sugli scaffali alcune pietre miliari della letteratura di avventura.
Il mio amico Harold, così era il titolo della prima edizione del 1998, indimenticabile nella traduzione di Angela Ragusa, rimane nella mia testa da quegli anni, principalmente per questa storia delle biglie nella ciotola.
A parte l'indiscutibile divertimento che la lettura genera - Harold è davvero esilarante e geniale nel suo modo di stare al mondo ed è molto divertente il contrasto di visione tra i due protagonisti - l'intero libro, ambientato nell'America degli anni Cinquanta e Sessanta, è attraversato da una questione che nel 2021 non è esattamente una novità in campo letterario, ovvero il racconto della ricerca di una propria popolarità, in altre parole del bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi amato, o quanto meno accettato, dalla comunità in cui vive. Qui in particolare è l'adolescenza maschile a trovarsi al centro del problema: essere accettati come parte del gruppo dai propri pari, magari fare parte di una squadra di un qualsiasi sport, magari essere oggetto di interesse da parte di una ragazzina, magari sentirsi richiesti per una determinata qualità, fosse la simpatia, fosse una dote fisica o intellettuale.
Se sono questi gli obiettivi di Harold, al contrario quelli del suo anonimo amico sono molto più modesti. Lui ha una stima di sé stesso piuttosto bassina - si accontenterebbe di non essere picchiato e buttato nel cestino dei rifiuti quotidianamente da Dick Chimmer.
Tuttavia, pur non essendo una novità, la questione "dell'essere popolare"è oggi più di allora di estrema attualità, al tempo dei social, che definirei una vera urgenza sociale. Il fatto di metterla sul piatto dall'angolazione di due 'perdenti', con questo tono così 'scanzonato' non può che giovare al dibattito e al confronto e allontanarlo il più possibile da ogni fin troppo facile retorica.
Tuttavia, accanto a questa questione, c'è comunque un altra domandona su cui varrebbe la pena soffermarsi e che di nuovo riporta alle due biglie di partenza. Quali sono le 'dinamiche' che avvicinano due persone tra loro e le fanno diventare amiche, fidanzate o compagne di avventura? Si tratta di affinità o differenza?
In altre parole, è di nuovo un po' quella questione del pane e burro, che Zemeckis, con felice sintesi, mise in bocca a Forrest a proposito della diversissima Jenny.
 
Carla




 

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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VESUVIO


Marco D’Amore e Francesco Ghiaccio, conosciuti entrambi come autori, sceneggiatori e, nel caso del primo, anche attori di film e serie televisive di grandissimo successo, a partire da ‘Gomorra’, tentano un esperimento difficile: coniugare le ambientazioni e le tematiche delle storie ‘nere’ di camorra con una storia per ragazzi e ragazze. Il romanzo, pubblicato da De Agostini, è intitolato ‘Vesuvio’.
I protagonisti sono un ragazzo e una ragazza, rampolli di due famiglie rivali, che si cercano e si scontrano quotidianamente: Federico, detto Vesuvio, con il suo gruppetto di accoliti, tutti dotati di adeguati soprannomi, e Susy, al comando di un manipolo di Sirene.
Entrambi vivono all’interno della logica violenta dei clan: ogni offesa va cancellata con un livello superiore di violenza, anche se si tratta di storie di ‘ragazzi’, che in realtà non sono tali: il loro destino è già chiaro, pedine o futuri capi in clan che si contendono il territorio.
Dunque, Federico-Vesuvio e Susy-Sirena si scontrano in un crescendo che oscilla fra lo scherzo goliardico e l’offesa mortale.
Il padre di Federico è un capo clan e pensa di sfruttare questi litigi a suo vantaggio, scatenando la guerra contro il clan del padre della ragazza, per impadronirsi dei suoi territori.
Susy, intanto, è andata a Milano, a coronare il suo sogno da musicista; lì la segue Federico, appoggiandosi alla casa dello zio Gabriele, da anni esule volontario.
Lontano da Napoli, dai suoi fedeli amici, dal clima opprimente di casa sua, Federico riesce a vedere con maggiore chiarezza i propri sentimenti, ma è combattuto: è cresciuto in un ambiente che conosce solo violenza ed è solito nascondere i sentimenti più profondi, i lutti sotto uno strato di riti e miti che accomunano molti clan, fatti di fedeltà e tradimenti, di sete di potere, affari e un presunto codice d’onore, che di onorevole ha molto poco.
Federico, anche grazie allo zio, deve compiere un percorso doloroso che inevitabilmente implica la separazione da tutto quello che ha conosciuto fino a quel momento.
Il tentativo compiuto dai due autori è notevole: piegare il materiale incandescente delle storie della criminalità organizzata a una trama che si fonda sulle dinamiche interpersonali, sui percorsi di ciascun personaggio, alla ricerca di una via d’uscita dal vortice di violenza in cui sono calati.
Si vede con chiarezza la padronanza del mezzo comunicativo, i ritmi veloci, i cambi repentini di scena propri di una sceneggiatura; c’è una grande capacità di farci ‘vedere’ le situazioni, proponendo istantanee che immediatamente ci raccontano cosa sta succedendo. Meno credibile, però, l’altro lato della narrazione, più introspettivo; i personaggi dovrebbero avere più spessore, dovremmo sapere di più di loro e dei loro stati d’animo, le ragioni dei loro cambiamenti.
L’istantanea di Napoli, raccontata con gli occhi di adolescenti predestinati a un futuro di guerre camorristiche, è efficace, viva, dolorosamente credibile. La descrizione di queste generazioni di ragazzini, già condannati a una vita da malviventi solo per il fatto di essere nati nella famiglia sbagliata, è assolutamente realistica e risponde a tante realtà, meno eclatanti, in cui all’infanzia è negato qualsiasi futuro.
La lettura è avvincente e può sicuramente piacere a ragazzi e ragazze che apprezzino le crime stories, a partire dai tredici anni.
 
Eleonora


“Vesuvio”, M. D’Amore e F. Ghiaccio, copertina di A. Serio, De Agostini 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE
 
La mia vita dorata da re, Jenny Jägerfeld (trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"'Comunque ho fissato l'appuntamento dal parrucchiere per domani'. 'Disdicilo pure' risposi. 'Io non ho intenzione di tagliarmi i capelli'. Einstein mi urtò insistente il braccio con il naso umido. Era il suo modo di comunicarmi che voleva un'altra grattatina. 'Perché deve tagliarsi i capelli?' chiese la nonna. 'Perché non gli si vede la faccia.''E perché qualcuno dovrebbe volergli vedere la faccia?' La nonna sorrise e mi diede un buffetto sulla guancia. 'Era una battuta, darling, ma tu che sei così intelligente lo capisci. Hai una faccia talmente incantevole che dovrebbero stamparla su un francobollo.'"


Sigge, dodici anni, non è affatto convinto della sua faccia incantevole. Anzi, è sempre lì che cerca di nascondere con il ciuffo il suo occhio pigro. Ma non è l'unica cosa che vuole nascondere: anche il suo amore per il pattinaggio artistico, i suoi grandi occhiali da vista, il suo modo di saltellare, o il troppo entusiasmo che spesso dimostra. Vuole nascondere il fatto di non avere amici, e di essere stato spesso preso in giro dagli altri.
Ma tutto questo - Sigge ne è convinto - appartiene al passato, alla sua vecchia vita a Stoccolma. Ora si gira pagina: ha davanti a sé due mesi interi per potersi resettare e arrivare al primo giorno nella nuova scuola con tutte le carte in regola per diventare finalmente popolare. Il più popolare.
Complice il trasferimento per motivi economici della sua buffa famiglia - una madre al momento disoccupata, due sorelle più piccole, di cui una incapace di parlare a un tono di voce eccettabile e l'altra con un vocabolario di sole tre parole, cui si aggiunge un cane fedele - nella grande casa di Charlotte, guai a chiamarla nonna!, Sigge inizia il suo avventurosissimo conto alla rovescia verso la costruzione di un nuovo sé e, soprattutto, verso la fama.
Lontano dalla vita faticosa di Stoccolma, nel paesino di Skärblacka Sigge farà del suo meglio per raggiungere il suo traguardo. E lo farà secondo un approccio scientifico alla faccenda che lo vede mettere in elenco su un quaderno le cose da evitare (e magari anche quelle da fare).
Il racconto di questi cinquantanove giorni vissuti intensamente tra nonne in pajette e visoni impagliati, tra cetlioli e salsicce surgelate, tra nani da giardino rubati e gare automobilistiche clandestine, tra ruzzoloni sui roller e riprese cinematografiche un po' pulp.


Imperdibile. Per svariate ragioni. La prima e la più evidente è la qualità della scrittura, che noi apprezziamo attraverso una traduzione impeccabile.
La seconda è il tono impresso alla narrazione: una leggerezza che prende forza dall'ironia e dalla comicità, a tratti surreale, ma nel contempo da una evidente partecipazione emotiva di chi scrive, nei confronti di tutti i suoi personaggi e riguardo alla questione di fondo. In una modalità di sospensione di giudizio, tutta nordica. Neanche un cedimento per tutte le trecento pagine.
La terza ragione che lo rende speciale è l'intreccio narrativo: anche qui nessuna debolezza, al contrario una tensione forte che sostiene la lettura. Un plot fitto fitto di fatti che si susseguono e si incastrano ad arte l'uno dopo l'altro, creando nella storia in sé una robusta rete di avvenimenti che sono la base solida su cui poggiano i piedi, loro, i personaggi. Questi, e credo sia la qualità migliore del libro, costituiscono una galleria molto varia di caratteri umani. Tutti a loro modo unici.
A partire dalla più vecchia, la nonna che ha sempre uno sguardo aperto e attento nei confronti del mondo che la circonda. Guai a chiamarla nonna o mamma, in virtù del fatto che questi appellativi ne sminuirebbero il suo essere persona, Charlotte è una donna serena: nell'assecondare i desideri dei suoi tre nipoti, nell'essere un supporto per la figlia disoccupata e sotto stress , nell'ospitare l'unico pensionante del suo Royal Grand Golden Hotel, Krille Meringa che, dal canto suo è un visionario regista sempre in cerca del suo primo film. Questa anziana signora in tuta di pelle o strass è una donna decisamente stravagante, ma molto equilibrata interiormente e accogliente nei confronti degli altri. Il suo ruolo è quindi quello di naturale dispensatrice di buoni consigli per Sigge. Fino ad arrivare alle più piccole del gruppo: da una parte Bobo che tra un'ossessione per i cetrioli e una per gli animali impagliati di sua nonna, si barcamena come può, anche linguisticamente parlando, per poi stupire tutti alla fine e dall'altra Majken che, al contrario di Sigge, ha una gran parlantina ed è una vera catalizzatrice di attenzioni e di amicizie, nonostante non sappia esprimersi se non urlando. Tra questi due estremi anagrafici trovano spazio un gruppetto di adulti, ognuno con la propria idiosincrasia, ognuno peculiare a suo modo.
E poi c'è lei, la ragazzina dai capelli turchesi, la giornalista attenta del Blacka News: Juno. Sorta di deus ex machina della crescita in consapevolezza da parte di Sigge, su di lei si potrebbero scrivere pagine, ma si lascerebbe indietro sempre qualche dettaglio importante e sarebbe un peccato. Lei, ennesimo personaggio a suo modo originale, sa qualcosa su cui Sigge è ancora lì che rimugina. Chissà se dipende dal fatto che spesso a 12 anni sono le ragazzine ad arrivare prima a tagliare i traguardi? 
 
Carla



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RAGAZZI SELVAGGI


Sembra una storia come altre, dedicate al tema del bullismo, ma non lo è: ‘Ragazzi selvaggi’ di Luca Azzolini, pubblicato recentemente da De Agostini, è un esperimento ben riuscito di trasformare un’esperienza vissuta in un testo letterario che va ben oltre la testimonianza di fatti realmente avvenuti e più o meno trasfigurati.
Seguiamo le storie di tre personaggi: Luca, che racconta la sua parte di storia in prima persona, è un ragazzino che ha vissuto i tre anni delle scuole medie come un incubo, conta i giorni che lo separano dalla fine dell’ultimo anno sperando di rendersi invisibile alla banda di bulli che lo ha preso di mira; poi c’è il soggetto collettivo, i bulli della stessa classe di Luca, quattro ragazzi che per motivi diversi non possono che recitare la parte che si sono ritagliati: i ragazzi senza limiti e senza regole, alle cui angherie tutti devono sottostare; infine, c’è Mattia, un ragazzino di prima, che riesce a trovare il coraggio di ribellarsi, spalleggiato com’è da tutta la sua classe; a lui la vita sembra sorridere, con il primo amore che sboccia e un grande talento fra le mani.
Ogni giorno, segnato come pagina di un almanacco, vede queste tre voci intrecciarsi, con un’altalena di sentimenti, di emozioni, di tradimenti e di confessioni, nel microcosmo di un gruppo di ragazzine e ragazzini che vivono in un paese in provincia di Mantova, fra il Mincio e il Po.
Siamo nel 1997, diversi da oggi i giochi, le compilation di brani musicali, gli idoli televisivi.
Ma le dinamiche all’interno di un gruppo di ragazzi sono sempre quelle: la sopraffazione, la sfida continua a superare tutti i limiti possibili, e dall’altra le vittime, maschi o femmine che siano, così desolatamente indifesi di fronte alla prepotenza. In mezzo, i tanti spettatori, adulti o coetanei, che non vedono, non capiscono, non immaginano il lato tragico di una dinamica che sembra doversi riproporre all’infinito.
L’azione si compie tutta nel mese di maggio, quindi a poche settimane dalla fine della scuola; Luca cerca di sfuggire alle trappole dei suoi persecutori, grazie anche all’appoggio della sua unica amica , Marika. La banda di bulli si ingegna a trovare sempre nuovi modi per umiliare le proprie vittime, mentre Mattia insegue il sogno di quel sentimento così potente e sconosciuto che lo lega a Clara, sua compagna di scuola.
Solo che Marika, ad un certo punto, si ribella pubblicamente, Luca non la sostiene, anzi rivela un suo segreto. Marika verrà punita, ma deve esserlo anche Luca. Massimo, Alberto, Lorenzo e Mirco passano le giornate a cercare di trovare lo scherzo più grande che sia mai stato realizzato in quella scuola. Ma quello che hanno in mente non è una goliardata, vogliono sabotare la bici di Luca, solo che Luca negli ultimi giorni non esce nemmeno di casa e quindi cambiano obbiettivo.
Le storie di bullismo non sono certo rare e spesso mostrano un tono didascalico, ben attente a separare il bene dal male. Qui c’è un’importante dose di autenticità, una presa diretta sugli stati d’animo, le dinamiche incontrollate, l’incosciente superficialità dei ragazzini che rende il racconto vivo, credibile, efficace.
E’ un racconto ad altezza ragazzi, il mondo adulto è uno spettatore alquanto inconsapevole e distante. Non ci sono dei veri cattivi, gli stessi bulli ci appaiono piccoli, spaventati aspiranti gangster da quattro soldi e pagheranno il prezzo delle loro imprese.
Le vittime, viste con l’occhio adulto, hanno la soluzione a portata di mano, ma è proprio questo il brutto dell’essere giovani, insicuri, inesperti e molto soli: le vittime, ragazze o ragazzi che siano, non riescono a vedere quanto siano fragili i loro stessi carnefici, resi forti solo dalla paura altrui.
Ho trovato anche molto bella la ricostruzione d’ambiente, la bassa padana con il suo paesaggio così dominato dall’acqua, le sue campagne , le biciclette che volano sugli argini.
Luca Azzolini ha al suo attivo numerosi romanzi fantasy e di avventura, dedicati a ragazze e ragazzi. Qui mi sembra saldamente e felicemente ancorato alla realtà.
Consiglio la lettura a ragazze e ragazzi, che vogliano guardarsi un po’ allo specchio, a partire dai dodici anni; ma lo consiglio anche a genitori e insegnanti che abbiano voglia di aprire gli occhi.

Eleonora


“Ragazzi selvaggi”, L. Azzolini, De Agostini 2021




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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DELLA FILOSOFIA E DEL TEMPO CHE PASSA 

Murdo. Il libro dei sogni impossibili, Alex Cousseau, Éva Loffredo
(trad. Simone Barillari)
L'Ippocampo 2021



ILLUSTRATI 
 
"10.
Ho sempre sognato di infilarmi in una busta da lettere.
Con una torta alle fragole, qualche candelina e dei fiammiferi.
Sulla busta ci sarebbe l'indirizzo di un amico. Gli lascerei aprire la cassetta delle lettere, poi accenderei le candeline. La busta prenderebbe fuoco.
Il mio amico ci soffierebbe su.
E io, in mezzo alle fragole, griderei: 'Tanti auguri!'"


Questo è il decimo sogno di Murdo, uno yeti che esiste e che - tra i tanti suoi sogni - vuole esistere fuori da un libro e vivere su montagne che non siano di carta. In barba a tutti quelli che credono che gli yeti non esistano, lui da grande grande sogna di avere un bambino, uguale a lui, ma più piccolo. Lo chiamerà Junior e lui lo chiamerà papà, ma sogna anche di essere qualcun altro, in un gioco complicato di scambi tra passati di persone diverse.
 

Murdo esiste e la prova provata sta nel fatto che è in grado di concepire, almeno in questo libro, 59 sogni impossibili: attraversare uno specchio, farsi un panino con tutto, girarsi un pianeta tra le mani, abitare nella scarpa di un gigante, essere obbedito da un fiume, aprire un museo di sospiri, nascondersi dietro una parola e fare merenda con un'isola....
Di certo vorrebbe incontrare quella persona che per la prima volta lo ha definito abominevole uomo delle nevi. Quel qualcuno non dimostra di essere gentile, né di intendersene, dato che lui da yeti alla neve preferisce di gran lunga sassi ed erba. E anche definirlo 'uomo' non gli pare una grande idea: sarebbe un po' come dire all'uomo che è lo spaventoso scarafaggio delle valli, o il bieco pidocchio delle città, senza per questo urtare la suscettibilità di pidocchi e e scarafaggi, ben inteso.


Questo è uno di quei libri che l'istinto e l'esperienza mi suggerivano di far decantare. Molti ne parlavano con parole elogiative, come di un libro fenomeno, cosa che di norma mi fa stare sempre un passo indietro rispetto alla prima linea. E mentre accade che il tempo passi, il libro non viene sepolto da altri, al contrario resta sempre lì a portata di mano. In questi ultimi due mesi è capitato più volte di riprenderlo per successive altre letture. Sempre con un velo di sospetto e di prudenza critica, l'ho riletto - per intero dall'1 al 59 - con l'intento di arrivare a una conclusione: si tratta effettivamente di una gradevole operazione letteraria, mascherata da libro per bambini? Un libro in realtà godibile solo da un pubblico di adulti, perché ai bambini passa allegramente sulla testa, senza nemmeno sfiorarla? Oppure, oppure potrebbe essere un buon libro di filosofia per tutti, bambini compresi?
 

Con il tempo e con la riflessione, ciò che accade è che a ogni nuova lettura emergono elementi che lo rendono sempre più interessante e soprattutto indelebile, in particolare nel suo aspetto così marcatamente grafico, caratterizzato per di più da una una scelta di pochi colori molto calibrata, anche loro indelebili.
Anche se nella bibliografia di Alex Cousseau non ci sono libri che i bambini non abbiano potuto apprezzare, pur nella loro complessità, da Dentro me aIl re senza reame, resto del mio parere: non tutti e 59 i sogni mi convincono appieno. Trovo più felici quelli in cui Cousseau si muove disinvolto sul sottile crinale tra realtà e assurdo, oppure quando gioca con il concetto di capovolgimento, oppure quando passa repentino da un'idea a una concretezza, da una forma grafica alla sua concettualizzazione più estrema.
 

 
Ecco in questi esiste un quid accessibile che li possono far diventare terreno di confronto, a casa o a scuola, in una lettura centellinata e condivisa. Potrebbe essere bello ragionare con bambini e bambine del silenzio dei sassi a cui raccontare le proprie confidenze, oppure della necessità che abbiamo degli altri per ricordarci chi siamo. Potrebbe essere bello infilarsi nei tanti giochi che lo yeti immagina sulla forma delle lettere che si generano sotto i nostri occhi.
Provare, non resta altro da fare.


Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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DEI COLORI E DELLE COSE

‘Zehra. La ragazza che dipingeva la guerra’ è un romanzo liberamente ispirato alle vicende di Zehra Doğan, artista curda incarcerata in Turchia per aver diffuso l’immagine di un suo dipinto, raffigurante le distruzioni provocate dall’esercito turco.

L’azione si svolge nella città di Diyarbakir, nel Kurdistan turco, città molto antica e considerata la ‘capitale’ di quella regione.
La vita in quella città, nei fatti occupata militarmente dall’esercito turco, è raccontata con vivacità dall’autrice, Antonella De Biasi: le scuole, i campi, il mercato tutto rimanda ad una vita piuttosto lontana dalla tecnologia ma piena di cultura e di speranze .
L’autrice utilizza i colori per dare i titoli ai capitoli, divisi in due parti: nella prima parte racconta la vita libera della protagonista che, da bambina, immagina di viaggiare per il mondo e diventare una vera pittrice, affidando i propri sogni alle acque del Tigri: qui a guidarci nel mondo di Zehra sono i colori dei fiori e dei frutti di questa terra ricca di bellezze storiche e naturali, fino ad arrivare al grigio antracite della guerra, dei cannoni, delle bombe.
Aver rappresentato artisticamente e aver diffuso l’immagine di questa distruzione è il reato per il quale la ragazza viene arrestata, incarcerata e condannata a più di due anni di reclusione.


La detenzione occupa la seconda parte del racconto e i nomi dei capitoli sono quelli degli elementi da cui trarre fortunosamente dei pigmenti.
In carcere Zehra non ha nulla e così s’ingegna, fabbricando pennelli con i capelli e pigmenti dagli alimenti forniti dal rancio del carcere: verde prezzemolo, arancio curcuma, il rosso del pomodoro o del sangue mestruale. Usa carta da pacchi, fogli di giornale, tessuti, qualsiasi supporto va bene.
La sua fama varca le mura opprimenti del carcere, Zehra Doğan diventa il simbolo dell’oppressione del popolo curdo, diversi artisti si muovono per chiederne la liberazione, da Bansky a Ai Weiwei.
Nel 2019 viene rilasciata.



Ma la vicenda del popolo curdo resta lì, diviso fra più stati, negato nella propria identità: nel territorio turco i curdi non possono parlare la propria lingua, cantare le proprie canzoni, raccontare ai più giovani la propria storia. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale l’idea stessa della nazione curda è stata messa nel cassetto, dividendone i territori in 4 stati diversi: Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Antonella De Biasi è molto abile nel mescolare queste e tante altre informazioni sulla cultura curda, alle vicende personali e straordinarie di una giovane artista, oggi universalmente apprezzata nel mondo dell’arte.
Al termine del volume, un utile glossario e una ancor più utile bibliografia per tutti quei ragazzi e ragazze che avessero voglia di approfondire la storia di questo popolo perseguitato, cui aggiungerei, per la popolarità che ha conseguito e per l’immediatezza del linguaggio, ‘Kobane calling’, reportage a fumetti del viaggio compiuto da Michele Rech nella regione del Rojava.



Tutte le immagini che arricchiscono il volume sono di Zehra Doğan.
La lettura di questo romanzo può essere consigliata a ragazze e ragazzi consapevoli di quello che accade nel mondo, ma anche a quelli attratti dalle vicende di personaggi straordinari, a partire dai dodici anni; ma ne consiglio la lettura anche a lettori adulti, che si siano dimenticati di una delle vicende che maggiormente infiammano il Vicino Oriente.

Eleonora


“Zehra. La ragazza che dipingeva la guerra”, A. De Biasi, con i disegni di Zehra Doğan, Mondadori 2021





LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ESSERE DI CASA

Anastasia, di nuovo!, Lois Lowry (trad. Enrico Santachiara)
21Lettere 2021



NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)


"'In periferia!' esclamò Anastasia. 'Ci trasferiremo in periferia? Non voglio crederci . Non voglio credere che mi abbiate davvero fatto questo. Appena finisco il mio budino mi butto dalla finestra'. 'Siamo al piano terra' le ricordò sua madre. 'È da anni che salti giù dalla finestra di camera tua. La prima volta che lo hai fatto avevi tre anni e non volevi più fare il sonnellino'. 'Già'. Anastasia se lo ricordava bene. 'Quando sei venuta in camera mia per svegliarmi e non mi hai trovato, hai pensato che mi avessero rapita. E io invece ero fuori a raccogliere i tuoi tulipani'. 'Avrei potuto ucciderti. Non mi erano mai venuti dei tulipani così belli.'"


Un trasferimento è all'orizzonte. Da un appartamento nel centro di Cambridge, dove c'è il MIT e Harvard e dove si vede Boston sullo sfondo, a una casa nella periferia della città dove la qualità della vita, almeno per come la pensano i genitori di Anastasia, sarà migliore: un po' di verde intorno, una casa più spaziosa. Lei non è dello stesso parere. Quello che le sembra di sapere sull'argomento - supposizioni avventate secondo suo padre - lo ha appreso dai libri e dalla tv: in periferia vivono bambini tutti uguali che piagnucolano sui carrelli dei supermercati, signore con i bigodini rosa in testa, che se la fanno con i mariti delle vicine, le case sono arredate con mobili abbinati che non prevedono gli scaffali per i libri, ma solo tv giganti, coppe di frutta finta sui tavoli del soggiorno, e alle pareti solo poster della Sierra Nevada e, a tavola, in periferia si mangia cibo precotto consumato direttamente dalla teglia....
Nonostante Anastasia cerchi in tutti i modi di convincere i suoi del grande errore che stanno per fare, nonostante lei convinca anche il suo fratellino Sam a mettersi di traverso, il progetto dei genitori va avanti. Fino al momento in cui dal padre di Anastasia viene compilata l'ennesima lista con le cose che ognuno vorrebbe trovare nella casa nuova: una stanza piena di luce per dipingere, è la richiesta della madre, uno studio con alti scaffali per il padre, un cortile per giocare per Sam e per Anastasia, convinta così di chiedere l'impossibile (circostanza che li tratterrebbe a Cambridge giocoforza), la casa dovrebbe avere una torre...
Questa è la storia dell'estate dei dodici anni di una ragazzina del Massachusetts raccontata dall'alto del suo metro e settanta.


Grossomodo venti anni fa Mondadori pubblicava, nell'ottica di creare collane per precise categorie di lettori e lettrici, una serie dedicata a questa ragazzina. Nella prima storia, che Lois Lowry scrisse nel 1979, Anastasia aveva ancora nove o dieci anni e suo fratello Sam era appena nato. Spinta dai suoi lettori, al principio degli anni Ottanta, la Lowry la riprende in mano il personaggio e va avanti fino al 1995 e fino al 1999 si dedica al piccolo Sam. 
Anastasia, di nuovo! con un sottile gioco di ironia sul titolo,segna questo passaggio: Anastasia adesso ha 12 anni.
I libri Mondadori,riconoscibilissimi, con quelle copertine illustrate da Cinzia Ghigliano, sono stati una dozzina, fedeli a ogni uscita americana, compresi quelli su Sam.
Poi di Anastasia si perdono le tracce. Ma, mai dire mai.
Adesso ricompare, la Anastasia di dodici anni, da tutt'altra parte: un editore sideralmente lontano da Mondadori, riprende in mano il catalogo della Lowry - ad eccezione dei libri che le hanno portato la Newbery The giver(e i suoi sequel) e Conta le stelle che tutti noi abbiamo letto e amato - e pubblicain perfetta simmetria il suo ultimo romanzo All'Orizzonte (2020) e Un'estate da morire (1977), il suo primo, nella collana 'ragazzi' che ha come obiettivo 6 titoli all'anno. 
Che Lois Lowry scriva magnificamente (e Santachiara si dimostra all'altezza) è cosa nota e confermata, se fosse necessario, dalle due Newbery di cui è stata insignita. 
In Anastasia, di nuovo! - in particolare -  colpisce la sua capacità di dare spessore alle questioni di fondo, usando sostanzialmente un unico codice narrativo: il dialogo. Conosciamo Anastasia e la sua famiglia, gli amici, i vicini di casa attraverso quello che si dicono gli uni con gli altri. Come se la Lowry avesse acceso nella sua testa un registratore che con fedeltà riporta le parole (e quindi anche i pensieri) di ciascuno. In questa operazione lei è capace di mantenere una giusta distanza dai suoi personaggi, ma nello stesso tempo è lei stessa a incarnarli (la prefazione che il libro riporta è illuminante in tal senso), come altre volte ha fatto.
Per intenderci, già nella prima pagina del libro le prime 10 righe sono occupate da un dialogo serrato, come la maggioranza di quelli che la Lowry costruisce tra i membri della famiglia. Le ultime righe, a completamento, ci dicono già molto. Ci restituiscono una famiglia solida, in cui l'ironia è il registro comunicativo preferito che tutti sono in grado di utilizzare, una famiglia in cui ci si rispetta, ci si vuol bene, ci si ascolta. Una famiglia 'normale', della borghesia colta americana con una madre pittrice e un padre professore universitario, e due figli in crescita.
In questo senso la Lowry è molto 'americana' nella sua scrittura incalzante, ragione per la quale i suoi libri, dai Sappington in poi, sono sempre molto apprezzati dal pubblico dei più giovani.
Anastasia, di nuovo!non fa eccezione. Ciò che risalta in primo piano, nella sua scrittura, è la scatola scenica: ovverosia vediamo ciò che accade e lo sentiamo accadere, come se fossimo dietro l'obiettivo di una cinepresa o seduti sulle poltrone di un teatro.
Abile nella sua costruzione dei personaggi attraverso piccoli gesti, per esempio il tamburellare di Anastasia con le dita sulle pareti del corridoio tutte le volte che lo percorre; gesti che si ripetono con il compito di rendere coerente il contesto e chi lo abita e di mettere il lettore nella posizione rassicurante di essere già 'uno di casa'.
Nessuna voce fuori campo che spiega il perché delle cose che stanno accadendo. Evviva.
Questa scelta narrativa non esclude affatto che il lettore si ponga davanti a un certo numero di questioni, diciamo teoriche, interessanti. La prima e la più evidente ha a che fare con il cambiamento, l'inquietudine che segna il passaggio da un luogo conosciuto a uno pieno di incognite, il distacco da persone e luoghi che fino a ieri erano certezze. Ecco cose così. Si aggiungono interessanti riflessioni su quanto di noi ci portiamo dietro nell'entrare in una dimensione tutta nuova: in questa prospettiva ci sono pagine bellissime sulle copertine gialle e sui pesci rossi e sulle carte da parati. L'altra grande questione ruota intorno alla paura che il cambiamento genera. E non mi riferisco solo a quella di Anastasia, ma anche a quella della adorabile quanto scontrosa Gertrustein. In una perfetta simmetria, sullo sfondo infine c'è la grande questione: l'insicurezza di una adolescente che sperimenta sulla propria pelle l'affacciarsi di nuove sensazioni, di sguardi differenti, di trasformazioni del proprio stare con gli altri. E così anche qui c'è la curiosità verso il nuovo che si affaccia ma anche fortissimo il desiderio di non lasciare indietro ciò che è stato fino a oggi.
Da aggiungere alla collezione dei bei libri targati Lowry che, a breve, si allungherà ancora.


Carla

 

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UNA STORIA DIFFICILE



Marco Magnone, autore insieme a Fabio Geda della saga ‘Berlin’, affronta nel suo ultimo romanzo, ‘Fino alla fine del fiato’, una delle più grandi paure: la strage messa in atto da un singolo, o da un piccolo gruppo, ai danni di persone incolpevoli.
Lo spunto è dato dall’episodio, tristemente noto, di Breivik, l’estremista di destra che nel 2011 uccise sessantanove persone, per lo più ragazze e ragazzi che partecipavano ad un campo estivo del partito socialista norvegese.
La storia viene trasposta in un campeggio sulle montagne vicine al paese di Castiglione; non è un campeggio qualsiasi, da molti anni i due organizzatori, Nando e René, ne hanno fatto un luogo d’incontro per discutere insieme di argomenti importanti, invitando anche personalità del giornalismo e della cultura.
L’Isola, il nome di questo campeggio molto spartano, non prevede cellulari, giochi elettronici e altre fonti tecnologiche di distrazione: la cosa più importante è stare insieme, parlare, immaginare anche un mondo migliore.
Non è esattamente questo lo spirito con cui tanti ragazzi e ragazze partecipano, allettati soprattutto da un tempo libero lontano dalla famiglia.
I personaggi principali della storia sono tre ragazzi: Seba, il suo migliore amico Filo e sua sorella , Marti, di cui Seba è innamorato.
La prima parte del romanzo racconta proprio dei legami che si intrecciano fra ragazze e ragazzi: chi cerca nuovi amici, chi sogna storie d’amore, comunque misurandosi con i propri limiti e le proprie abilità. Nonostante l’attenzione sia concentrata su questi tre personaggi, il cui punto di vista si alterna di capitolo in capitolo, l’azione è spesso corale, mostrando le diverse dinamiche di questo gruppo.
Arriva però il giorno in cui una persona qualsiasi, illividita dalla perdita del lavoro e dalla solitudine, decide di pareggiare i conti con il mondo, uccidendo la persona che ritiene responsabile della sua rovina. Solo che quella perversa sensazione di potere, data dall’imbracciare il fucile, lo induce a colpire ancora, dando la caccia a chi tenta di fuggire.
Tutto il mondo di speranze, progetti, amori nascosti e amicizie rivelate va in mille pezzi; resta la paura primordiale di essere predati, resta il coraggio di qualcuno, l’impotenza, la solitudine. E, alla fine, la conta di chi non c’è più.
Il romanzo per certi versi è sorprendente: riesce a passare con grande fluidità da un registro intimista, con l’acuta descrizione degli stati d’animo dei vari personaggi, ad un altro che ha il sapore del thriller, con un incalzare degli eventi che non dà tregua al lettore, incatenato alla pagina dal continuo cambio di scenario, che inquadra i diversi personaggi, delineandone la sorte. E’ ben riuscita anche la descrizione della montagna, con la sua bellezza, i suoi odori, le sue insidie.
La narrazione scorre veloce fino a un finale che vede vittime e sopravvissuti legati per sempre dal terribile senso di colpa per essere vivi.
Non è un romanzo consolatorio, anche se nel finale cerca di indicare una via per tornare a vivere. E’ una storia molto dura, che racconta con efficace realismo le dinamiche di una situazione che, oltre alla strage di Breivik, fa pensare alle sparatorie nelle scuole americane. Qui il carnefice è una persona in cerca di vendetta, in Norvegia la strage è stato un atto politico.
Ho un’unica, grande perplessità: perché raccontare questa storia, che espone i giovani lettori e lettrici alla rappresentazione di uno dei peggiori incubi? Qui il Male non è metafisico, non appartiene al mondo fantastico delle ombre, qui si incarna in una persona qualunque, che come tale è indistinguibile dal mondo cui i ragazzi appartengono. E, se è agghiacciante la banalità del male, lo è ancora di più l’impotenza che le vittime sperimentano di fronte a esso.
Può quindi essere proposto a ragazze e ragazzi maturi, con almeno quattordici anni, evitando accuratamente le prevedibili obiezioni dei genitori.
Lettura impegnativa, coinvolgente, fonte di salutari discussioni.

Eleonora


“Fino alla fine del fiato”, M. Magnone, Mondadori 2021




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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CLICHY E CLICHÉ
 
Una storia senza cliché, Davide Calì, Anna Aparicio Català
Edizioni Clichy 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
"È la storia di un cavaliere che andava a salvare una...
Ah no! Basta con i cavalieri che vanno sempre a salvare le principesse!
È un cliché sessista.
Le principesse sono capacissime di salvarsi da sole!
Ok, ok, allora è la storia di un cavaliere che andava a uccidere un drago cattivo...
Perché cattivo? anche questo è un po' un clichè, no?"


Continua così lo slalom di questo dialogo. Il cavaliere che salva una principessa o uccide un drago sono entrambe soluzioni che non portano a nulla. Forse è meglio dirottare il racconto nel Far West, pensa la voce narrante, con un cowboy che spara a cavallo di un cavallo mentre galoppa in un canyon. Ma anche qui la direzione presa non sembra incontrare il favore di chi sta ascoltando e quindi alla sua rimostranza che sono sempre i maschi i protagonisti, fa sì che il narratore dirotti su una storia di una strega. Ahi, altra trappola: perché le femmine nelle storie sono sempre principesse o streghe? Si torna rapidi nel Far West e il cowboy è in realtà una ragazza dalle lunghe trecce tutta vestita di rosa...
 
 
 
Il cavallo sottodimensionato, un abbigliamento inadeguato sono tutti ostacoli che fanno perdere smalto al narratore... che si dichiara sconfitto e la storia passa nella voce di chi prima stava ascoltando.
Attenzione però che chi non è bravo a fare lo slalom tra i cliché è anche spesso e volentieri un bacchettone...
Ne usciranno i nostri eroi?

Vincente l'idea, di matrice rodariana, quella di tenere su una storia solo su un dialogo.
Due voci, fuori campo fino a due pagine dalla fine.
Nelle orecchie torna l'eco di A sbagliare le storieche ha fatto ridere legioni di ragazzini e ragazzine. Qui la situazione è lievemente mutata, non c'è l'aggravante dell'errore dettato da una memoria fallace di un nonno, ma invece l'inciampo continuo di un probabile genitore che al tavolo da disegno sta faticosamente mettendo insieme materiale per una storia da raccontare e illustrare e come 'tester' usa una probabile figlia, decisamente emancipata. L'altro elemento che con Rodari e la sua 'grammatica' ha molto a che fare è il continuo ribaltamento, cambiamento di direzione della narrazione, però sempre nutrito di un immaginario condiviso: in questo caso, fiabe e western. D'altronde se tutto deve ruotare intorno alla demolizione degli stereotipi, cosa c'è di meglio? E visto che di cliché si parla la scelta si fa obbligata: da un lato cavalieri e principesse o streghe delle fiabe e dall'altra cowboy e saloon di un fumetto o un film western. Il gioco è tutto lì, invertendo i due cliché si otterrà una ragazza cowboy o una cavaliera. Salvo poi scontrarsi con il politicamente corretto di un adulto e con le tisane alla verbena.
E a questo non c'è rimedio.
La cosa che colpisce in questo libro è il tono. Un tono condiviso che vede da una parte Davide Calì e dall'altra Anna Aparicio Català intendersi parecchio (peraltro sono già al loro terzo o quarto libro insieme).
Speculare al tono scanzonato che Davide Calì mette in bocca ai due interlocutori, c'è quello folle delle illustrazioni. 
 

Purtroppo qui meno che altrove, la botanica invasiva di Anna Aparicio Català (che tanto mi ricorda quella di Moreau o di Crowther, nella stilizzazione delle forme e nel suo rigoglio) fa capoccella solo in alcune tavole, tuttavia rimane la sua assoluta libertà nell'utilizzare la doppia pagina come uno spazio in cui compiere le proprie evoluzioni acrobatiche e cromatiche. Elementi che giganteggiano, altri che si snodano con fare sinuoso, siano essi chiome o sentieri nei boschi. 
 

Su tutto si dipana una costruzione dell'immagine molto complessa, piena di dettagli geniali, ben al di là dell'assurdo: con bisonti che sonnecchiano sul tetto o cavalli che servono dietro il bancone di un saloon.
Insomma, il tutto è molto divertente! Molto allegro! Molto sottile in una serie di snodi delicati e nel finale che non porta a niente, come c'era da augurarsi che fosse, visto l'intento falsamente pedagogico!
 

E chi deve intendere, intenda.
A parte tutto ciò, un bell'esercizio di ironia, nella speranza che anche gli adulti la sappiano cogliere. A tal punto che mi fa ridere e mi pare divertente persino il fatto che un libro sui cliché lo pubblichi Clichy...
 
Carla


Noterella al margine. Se qualcuno non avesse intercettato mai una immagine di questa giovanissima e talentuosa illustratrice catalana, sappia che la ragazza cowboy la si può considerare una sua sosia su carta.


 

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FANTASMI GIAPPONESI


Alla nuova, avvolgente ondata di amore per il mondo giapponese appartiene di diritto ‘Storie di fantasmi del Giappone’, tratto dal testo di Lafcadio Hearn con le immagini di Benjamin Lacombe. L’editore italiano, L’Ippocampo, grazie alla traduzione dal francese di Ottavio Fatica, ci regala la versione coniata da Editions Soleil.
Si tratta di un libro illustrato curato in ogni dettaglio, impreziosito dal lavoro di Lacombe che non si limita alle grandi tavole, che prendono una o due pagine, ma anche nelle piccole immagini a piè di pagina, i capolettera, come un contrappunto visivo alla narrazione evocativa e misteriosa di Hearn.
La biografia dello scrittore è singolare: irlandese, nato in Grecia nel 1850 e poi vissuto in Irlanda e negli Stati Uniti, dove iniziò la sua attività di giornalista. Viaggiò molto anche per lavoro e così approdò in Giappone, dove mise definitivamente radici, sposando la figlia di un samurai e naturalizzandosi con il nome di Yakumo Koizumi. Il rapporto con il Giappone e le sue tradizioni non fu affatto superficiale e quindi i suoi testi dedicati alle leggende nipponiche hanno un grande valore, tanto da ispirare anche film e opere teatrali.
 

I racconti raccolti in questo volume sono abbastanza eterogenei: si parla di fantasmi, di vampiri le cui teste si separano dal corpo, nottetempo, per andare a caccia di vittime, di folletti feroci, di anime perdute che richiedono l’adeguata sepoltura, di amori che attraversano i secoli, inseguendo le successive reincarnazioni.
Si tratta, in generale, di racconti tradizionali, alcuni dei quali hanno delle consonanze nelle nostre fiabe o in alcuni miti.
Ho trovato particolarmente originale ‘Il ragazzo che dipingeva gatti’, il cui protagonista sconfigge, del tutto inconsapevolmente, un folletto, in realtà ferocissimo, grazie ai suoi gatti dipinti, che nottetempo prendono vita e si trasformano in predatori ancora più feroci.
 

Assolutamente spiazzante, invece, ‘Sulla montagna di crani umani’, che racconta di una scalata raccapricciante sulle pendici di un monte fatto di teschi umani; un maestro buddhista mostra al suo allievo quell’infinità di crani, che non sono altro che l’espressione dei desideri, dei fallimenti, delle imprese delle sue vite precedenti.
Più familiari le storie d’amore impossibili fra umani e creature misteriose, rigorosamente femminili, che incarnano anime in pena in attesa del loro amato, che per raggiungerle non può che varcare la soglia del tempo.
Lacombe si trova a suo agio in questo immaginario, fra l’horror e l’amore romantico; asseconda il racconto, adattando il suo stile ad alcuni stilemi della pittura giapponese.
Dunque suggestioni molto diverse, che qua o là ricordano alcuni aspetti delle storie di fantasmi, di cui la letteratura anglosassone è così ricca: anime in pena, vendicative, ossessive, che entrano ed escono dalla vita dei comuni mortali, sono sicuramente atmosfere che riscuotono un grande interesse nei lettori più accorti di manga, nuovamente in grandissima crescita.
 

Credo che ad apprezzare questo libro saranno soprattutto i ragazzi e le ragazze che si sono maggiormente calati nella cultura giapponese, e non sono pochi. Ma ne consiglio la lettura anche a chi voglia farsene un’idea, attraverso un libro di grande pregio.
 
Eleonora


“Storie di fantasmi del Giappone”, L. Hearn, ill. di B. Lacombe, L’ippocampo 2021





LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ULLALLÀ, I BUKOWSKI!
 
La straordinaria estate della famiglia Bukowski, Will Gmehling
(trad. Angela Ricci)
La nuova Frontiera Junior 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)


"Io e Katinka non abbiamo perso tempo e ci siamo messi a nuotare fino al bordo della vasca, dove nel frattempo il bambino era finito sott'acqua. Si vedevano soltanto i capelli. Mi sono immerso anch'io l'ho preso per le braccia e l'ho riportato a galla. È stato abbastanza facile. La testa del bambino è spuntata di nuovo fuori dall'acqua, ma lui era immobile e per una attimo abbiamo avuto paura che fosse morto. Poi però ha cominciato a piangere ed è diventato tutto rosso."


Tutto comincia qui: mentre i fratelli Bukowski stanno trascorrendo la loro giornata nella piscina coperta con l'intento di insegnare a nuotare al più piccolo dei tre, Robbie, assistono alla caduta accidentale in acqua di un altro bambinetto. Come premio per il pronto intervento di salvataggio viene loro regalata una tessera gratuita che dà loro accesso per tutto il periodo estivo alla piscina scoperta.
A parte la bellezza e la felicità di ricevere un premio, per la famiglia dei tre Bukowski che non naviga nell'oro e che di vacanze non se ne può permettere, quella tessera significa moltissimo: un'estate diversa per i tre ragazzini e anche per mamma e papà e, forse, anche per lo zio d'America, Carl.
E così sarà. Ogni giorno - con la pioggia o con il sole - i tre fratelli passano le loro vacanze estive in quella piscina. E una volta liberi dai loro lavori, arrivano anche i grandi.
Gli asciugamani, un pugnetto di monete per un po' di patatine o un gelato, il pranzo portato da casa e tutto il tempo da passare sul prato in silenzio a guardare le nuvole o chiacchierando, magari anche in francese, per fare nuove amicizie e magari anche innamorarsi, oppure nuotando o cercando il coraggio di fare il ripidissimo scivolo o tuffarsi nel vuoto per fare colpo su qualcuno.
I tre fratelli Bukowski, Robbie di sette anni, Katinka di otto e Alf, voce narrante, di dieci, si prefiggono una serie di obiettivi da raggiungere a stagione conclusa: imparare a nuotare, fare 20 vasche di seguito a stile, tuffarsi dal trampolino dei dieci metri. Ma soprattutto, entrare di soppiatto, e fare un bel bagno notturno in barba al burbero guardiano. 
Ci riusciranno?


Il titolo originale del libro, che peraltro ha vinto niente meno che lo Jugendliteraturpreis, suona un po' diverso, si parla di piscina scoperta, di estate e di cielo, ma non c'è cenno a qualcosa di 'straordinario'.
E su questa necessità di voler sottolineare il carattere di eccezionalità che ha l'estate dei Bukowski si possono fare due riflessioni.
La prima riguarda il binomio perfetto, almeno nell'immaginario di molti, del tempo di vacanza estiva con il concetto di 'fuori dalle consuetudini'. Chiunque spera sempre di associare alla propria vacanza, ovvero letteralmente a quel periodo vuoto, 'vacante' da impegni, la sensazione di eccezionalità. E sebbene gli adulti imparino presto che tale binomio non sempre è realizzabile, al contrario i ragazzini non ne dubitano mai. Neanche per un secondo. Per loro è del tutto naturale che la vacanza sia portatrice di eventi straordinari. E non è una illusione. Per loro è veramente così ed è del tutto marginale dove la vacanza abbia luogo, perché la vacanza per un bambino è di fatto uno stato dello spirito. E anche i tre Bukowski non fanno eccezione.
La seconda riflessione è derivante dalla prima e ha a che fare con la scrittura di questo racconto. Dato per assodato il fatto che per i ragazzini nello stato di vacanza si è in una condizione straordinaria, qui Gmehling dimostra - attraverso una scrittura pacata e al limite della pedanteria - come, pur raccontando la quotidianità (fatta eccezione per la fuga notturna) di una famiglia normale e di un'estate passata nella piscina scoperta del quartiere, si possa costruire 'qualcosa' di indimenticabile.
Va detto comunque che se la loro estate in piscina diventa indimenticabile per loro come per noi, altrettanto si può dire per il bell'incontro con i tre fratelli. Diversissimi tra loro, anche se legatissimi, i piccoli Bukowski hanno un loro personalissimo modo di stare nel mondo: Robbie, il mio preferito, è un sognatore piuttosto silenzioso che sa vedere sempre cosa ci sia al di là dell'apparenza. Grandi capacità empatiche e visionarie. Katinka, al contrario, è tutta proiettata verso la costruzione dell'immagine di sé, essere in tutto e per tutto come una modella francese: ullallà. Alf è il più confuso dei tre ed è lì che arranca con qualche successo nelle sue prime relazioni sociali. Sullo sfondo, gli adulti. Se da un lato va riconosciuto a Gmehling di aver saputo dare corpo a una bella famiglia, con i Bukowski, al contrario sembra meno convincente la costruzione dei personaggi di secondo piano, dal bagnino burbero, al calciatore fanatico. Rassicurante sapere che il loro effimero passaggio non lascerà traccia nel secondo libro che, si spera, arrivi prima o poi anche lui da queste parti.
 
Carla



FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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NI OLVIDO NI PERDÓN


Luis Sepúlveda è stato una delle vittime eccellenti del covid, lasciandoci l’anno scorso all’improvviso.
A ricordarlo alla vasta schiera dei suoi lettori e lettrici più giovani ha pensato la sua traduttrice italiana, Ilide Carmignani, con un libro stampato per i tipi di Salani, il marchio che insieme a Guanda ha portato i libri dell’autore cileno in Italia. Il titolo, ‘Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba’, allude alla storia di una vita avventurosa e alle mille storie che Lucho ne ha saputo trarre.
L’autrice, che così profondamente lo ha conosciuto, assume lo stile favolistico, che ci è così familiare, dell’autore cileno per raccontare la sua vita avventurosa, piena di dolore e di passione e così ricca di esperienze straordinarie. I suoi libri, a partire dal primo, ‘Il vecchio che leggeva romanzi d’amore’, per finire al notissimo ‘Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare’ e alle altre favole per ragazzi, sono specchio delle sue esperienze di vita, dei viaggi compiuti, dei mari attraversati, delle radici mai recise.
Sepúlveda aveva nelle sue ascendenze gli indiani mapuche, una nonna basca, un nonno anarchico andaluso, e poi una nonna italiana e così via, un incredibile unione di tradizioni che però convergevano tutte in una scelta di campo precisa e incrollabile; stare sempre dalla parte dei più deboli, dalla parte della giustizia sociale.
La sua giovinezza, influenzata dalle vicende di Che Guevara in Sud America, ha coinciso con l’esperienza democratica del Cile di Allende. Come giovane militante della guardia del corpo del presidente socialista, ha conosciuto l’arresto, la tortura, l’esilio. Ma non ha mai desistito.
Non ha dimenticato e non ha perdonato, non solo i crimini di cui si sono macchiate le dittature che negli anni settanta e ottanta hanno deturpato l’America Latina, ma anche l’azzeramento delle speranze di una generazione di giovani pieni di entusiasmo e di passione.
Nel corso degli anni ha vissuto con gli indios shuar, in Amazzonia, con una missione dell’Unesco, ha partecipato alle prime battaglie di Greenpeace, imbarcandosi sulle gloriose navi che intralciavano le baleniere nei mari del Nord.
Poi il ritorno in Cile e infine, la Spagna dove ha vissuto fino alla fine dei suoi giorni.
Ha vissuto due vite familiari, con Carmen Yàñez, sposata in Cile giovanissimo e poi ritrovata decenni dopo; e una famiglia tedesca, nel periodo di Amburgo. Tanti figli, tantissimi nipoti.
E gatti, cominciando da Zorba, il gatto che ha ispirato il protagonista de ‘La gabbianella’, ma citando anche il gatto parigino di Osvaldo Soriano
Per non parlare, poi, degli incontri e sodalizi letterari, da Neruda a Cortazar, a Coloane, Soriano e tanti altri.
Lo stile scelto dall’autrice, come detto sopra, riprende il tono confidenziale con cui Sepúlveda scriveva le sue storie per ragazzi; qui si immagina Lucho ad Amburgo, chino su una macchina da scrivere Underwood, la stessa usata da Hemingway, intento a raccontare la sua vita, mentre il gatto Diderot lo affianca, chiedendogli chiarimenti e spiegazioni.
In questo racconto malinconico, perché alla fine Lucho se ne è andato, c’è l’essenza della sua vita e dei suoi libri, che sono mescolati insieme in modo inscindibile. C’è dunque la sua identità molteplice, la difesa dei diritti del popolo mapuche, presente in due storie per ragazzi ; c’è la sua vocazione di viaggiatore instancabile, ma consapevole delle sue radici e c’è, sopra tutto, la dirittura morale, che non consente di dimenticare e di perdonare.
No, non tutti i governi sono uguali, l’ingiustizia non è connaturata all’essere umano, e c’è un giudizio storico, che è anche umano, che condanna inesorabilmente i regimi che si sono macchiati di crimini infami.
Questo forse è il punto più difficile da spiegare ai più giovani, così poco avvezzi all’indignazione, allo sdegno; la biografia di Lucho può essere davvero un buon inizio per guardare al mondo, e alla sua storia, con maggiore chiarezza.
Consiglio caldamente la lettura a ragazze e ragazzi, che magari sono cresciuti insieme alla ‘Gabbianella’, dai dodici anni in poi.

Eleonora

“Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba”, I. Carmignani, Salani 2012






LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI, DI NUOVO

Una casa sulle ruote, Susin Nielsen (trad. Claudia Valentini)
Il Castoro 2020



NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)


"'Indirizzo?' Mi sono guardato i piedi. Indossavo gli stivali da pioggia, senza calzini. Non c'era stato il tempo di cercarne un paio. Constable Lee si è sporta verso di me. aveva le spalle cascanti. Pessima postura. 'Quando abbiamo preso la vostra chiamata stasera, Felix, sembrava che viveste entrambi lì.' Oh, quanto avrei voluto che mi madre fosse con me. Avrebbe avuto subito pronta una spiegazione più che plausibile. Ma io non sono come lei. Non ho un talento innato per la manipolazione della verità.
Così ho continuato a fissare il pavimento. Constable Lee ha ripreso a battere sulla tastiera, sebbene io non avessi detto una parola. 'Felix' mi ha chiamato con tono gentile 'con me puoi parlare... ''Ho fame'."


Felix, dodici anni e tre quarti è in una stazione di polizia, perché con Astrid che è sua madre hanno avuto una serata turbolenta a causa di due balordi che, ubriachi, giravano intorno al loro furgone, ovvero la loro casa.
Da quattro mesi lui e sua madre, in gran segreto, vivono in un Westfalia che Abelard, ex fidanzato della madre, le ha lasciato quando è partito per l'India.
Una vera e propria parabola discendente in fatto di abitazioni e condizioni di vita. All'inizio, lasciato anche l'ultimo monolocale nel seminterrato, vivere su una casa a ruote poteva anche avere il sapore dell'avventura, ma a lungo andare vivere in uno spazio così esiguo, freddo e senza bagno, non è piacevole. Mangiare scatolette, spesso rubacchiate qua e là da Astrid che non riesce a trovarsi un lavoro, lavarsi nei bagni dei locali o della scuola, riscaldarsi nelle biblioteche non mette di buon umore nell'uno né l'altra. Per trovare un senso a tutto questo entrambi si dicono che è solo una situazione temporanea, che però non sembra concludersi, ma anzi complicarsi.
Astrid, a suo modo, è una brava madre, estrosa, creativa, divertente anche se decisamente inaffidabile. Ha un carattere molto deciso e una visione del mondo e una interpretazione della verità molto personale, cosa che a lungo andare sta logorando la fiducia di Felix ed entrando in conflitto con tutti i più saldi principi di questo ragazzino. A ben vedere le uniche valvole di sfogo per questo ragazzino sono i suoi due grandi amici, Dylan e Winnie, e il quiz a premi Chi Cosa Dove Quando. E non è poco.
Questa è la storia dettagliata dei suoi ultimi quattro mesi di vita, dall'inizio d'agosto quando è salito sul Westfalia per la prima volta con il suo tomte e Astrid fino al 27 novembre, a meno di una settimana dalla sua partecipazione al quiz, quando ne sono scesi entrambi, scortati da una pattuglia di agenti. Le ultime 50 pagine sono il racconto di ciò che è successo dopo...


Ironia della sorte questo libro, come i due protagonisti della storia, ha vissuto nell'ombra, per ben più di quattro mesi. Ma come è accaduto anche a Felix, a un certo punto ha avuto l'opportunità di uscire di nuovo allo scoperto. E da quel momento non ce n'è stato più per nessuno. Va da sé che averlo apprezzato così tanto ha fatto sì che il senso di colpa di chi scrive per averlo lasciato nell'ombra è grande: paragonabile a quello di Astrid che non riesce a dare al figlio Felix quello che meriterebbe, amore e corso intensivo di francese a parte.
Susin Nielsen è una sicurezza, una garanzia di qualità. Qui con una maturità ancora più profonda, se possibile.
Si riconfermano le sue cifre: la profondità nel raccontare la complessità, la capacità di introspezione psicologica che lascia davvero basiti, chissà se è un fatto di S.d.O.?
E ancora, l'ironia che alleggerisce sempre tutto, la scrittura 'naturale' che Claudia Valentini, sua traduttrice storica, ci restituisce in tutta la sua freschezza. La costruzione di un plot che è di ferro. La rara arte di non mollare mai il proprio lettore, al contrario di lasciarlo sempre in trepidante attesa, tra una sessione di lettura e l'altra.
Si riconferma il fatto di mettere in un solo libro molte questioni: in primis, la fragilità degli adulti, le loro immaturità, e inadeguatezze. Ma anche le difficoltà che possono presentarsi, inaspettate, nella vita di chiunque; ma anche le famiglie monogenitoriali; l'omosessualità; il senso ultimo dell'amicizia; la lealtà; la dignità personale; l'accettazione dell'altro; le priorità valoriali e la loro irrinunciabilità; la solidarietà; l'affettività; il mal di vivere. Tutti temoni su cui la Nielsen scava in profondità, ne racconta le varie prospettive, senza mai giudicare. I suoi personaggi, le situazioni non sono mai sotto accusa, nonostante spesso verrebbe la voglia di stigmatizzare questo o quel comportamento. Di tale compito la Nielsen lascia che siano i suoi lettori a farsene carico, a libro chiuso, a storia finita.
Ma allora che cosa ci fa dire che questo libro è ancora migliore degli altri?
Due cose. La prima: l'assenza assoluta di vellutata facilità. In una trama bella complessa, non c'è occasione che non venga colta per offrire complessità di visione. È difficile da spiegare, ma in sintesi si può ben dire che la Nielsen sia un talento a 'increspare', 'rendere scabre le superfici', far 'baluginare' personaggi, luoghi, situazioni.
La seconda: il fatto che almeno per cinque o sei volte, nel leggerlo, non è possibile frenare la commozione. Proprio non è umanamente possibile.
Tutto quello pensato fin qui contribuisce ovviamente a confermare una sua grande capacità di mettere nero su bianco la sua empatia diffusa, non solo S.d.O quindi, ma forse la spiegazione più convincente a questa condizione si annida in due dettagli che sono rispettivamente nella prima pagina, la dedica in corsivo a Eleanor, e nell'ultima dei ringraziamenti, il West Point Cycles di Vancouver...
Non resta altro da fare che consigliare di leggerle, queste due pagine, magari anche con le 275 che sono in mezzo e che le tengono lontane, ma idealmente contigue.


Carla




 

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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RICKY BLOOM


Uno dei maggiori pericoli, quando ci si basa su storie vere, è quello di costruire una trama con una debordante finalità didascalica, direttamente o indirettamente volta a sottolineare ‘la morale della favola’.
Karol Ruth Silverstein raddoppia il rischio parlando della propria esperienza personale, l’essersi ammalata in adolescenza di artrite reumatoide.
Più e più volte abbiamo incontrato, nella letteratura per ragazzi, personaggi con difetti, limitazioni, traumi o caratteristiche tali da indurre la solitudine e l’isolamento. Primo fra tutti Wonder, ma anche Fish boy, Melody e così continuando; spesso l’intento dell’autore o dell’autrice è dare dignità e visibilità al sogno dell’emancipazione dai propri limiti.
Bene, in ‘Le parole di Erica Bloom’, pubblicato da Edt Giralangolo, questo non avviene e sono infinitamente grata all’autrice per la sobrietà e l’equilibrio con cui tratta una situazione, rara sì, ma estremamente invalidante.
La protagonista, Erica detta Ricky, si trova ad affrontare contemporaneamente la nuova condizione di malata e la separazione dei genitori. Vive nella ‘tana da scapolo’ del padre, dormendo su uno scomodissimo divano letto. Va in una nuova scuola dove è costretta a ripetere l’ultimo anno delle medie. Ma quando la conosciamo, in realtà sta marinando la scuola; da un mese sta a casa di nascosto, rannicchiata sullo scomodo divano, trovando sollievo in lunghi bagni caldi. La sua vita, dopo l’esplosione della malattia, è punteggiata dal dolore che ogni singola articolazione provoca muovendosi.
Ricky viene inevitabilmente scoperta, riportata nell’orrida scuola, dove si sente sbeffeggiata dai suoi compagni e non compresa dagli insegnanti. Per non perdere l’anno, dovrà recuperare tutto il tempo perso e nel farlo scoprirà che non tutti gli insegnanti sono ottusi, che non tutte le ragazze sono Barbie, sadicamente belle, che fra i ragazzi c’è qualcuno che la può capire.
Il racconto descrive con realismo il travaglio di una ragazzina che nel giro di poco tempo si trova catapultata in un’altra vita: la difficoltà a muoversi, la dipendenza da cure lunghissime e frustranti, la certezza che da quella malattia non si guarisce. La prima reazione, molto umana, è la vergogna: vergogna di essere lenta, goffa, di poter fare tanti movimenti prima naturali. La vergogna è la porta che consente ai bulli, e alle bulle, di esercitare il loro potere di interdizione, di esclusione. Dunque, vergogna e solitudine. La seconda reazione è la rabbia, che fa esplodere Ricky in un florilegio di parolacce, che sopra ogni cosa esprimono il suo rifiuto di contatto con il mondo.
Riappropriarsi delle parole, del loro senso e del loro valore; comprendere la violenza del silenzio fa parte di un percorso tracciato dal suo insegnante di riferimento, che con i suoi strumenti le consente di trovare le parole adatte per raccontare la sua situazione e i suoi sentimenti.
Come sempre, nel finale c’è forse un eccesso di ottimismo, necessaria compensazione di una situazione di per sé molto frustrante; ma quello che ho apprezzato di più di questo romanzo è l’ironia, il senso della misura, la capacità di declinare il dramma in commedia, esplorando con grande sensibilità la presa di coscienza di questa ragazzina.
Karol Ruth Silverstein ha una penna felice, la lettura scorre via veloce senza eccessi di enfasi, ma al contrario con meritevole leggerezza, fornendoci un realistico ritratto del mondo giovanile. Sono convinta che tante ragazze e ragazzi leggerebbero con piacere questo romanzo, che racconta la loro vita senza compiacimenti. Ma non so quante mamme e zie regalerebbero una storia così, con un argomento così difficile e con un linguaggio colorito, in cui il turpiloquio non è un’inutile volgarità, ma l’espressione di uno stato d’animo, di una effettiva impotenza di fronte ad un cambiamento così radicale.
Per questo, consiglio caldamente la lettura a ragazze e ragazzi dai quattordici anni in poi e la consiglio anche a quegli adulti che vogliano capire un po’ di più il mondo degli/delle adolescenti.
 
Eleonora


“Le parole di Erica Bloom”, K.R. Silverstein, Edt Giralangolo 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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LA SPERANZA E I SUOI PANINI PER IL VIAGGIO
 
Ci conosciamo? Sentimenti, emozioni e altre creature,
Tina Oziewicz, Alexandra Zając (trad. Valentina Parisi)
Terre di mezzo 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)


La curiosità si arrampica più in alto che può, in cima a un albero, su un tetto o su un camino. [...] L'ansia è un giocoliere. [...] La pazienza ha un bel giardino.[...] La compassione raccoglie lumache dal marciapiede.


Il terrore si nasconde in un posto davvero introvabile: una lattina arrugginita che è abbandonata in un angolo buio, sotto l'armadio e da una fessura sbircia fuori il mondo. E la paura? Lei si mimetizza con la carta da parati per non essere vista. Mentre il coraggio se ne sta spaparanzato in una radura in mezzo alla foresta. La gratitudine fa un maglione e la serenità fa le coccole a un cane, mentre la rabbia, al contrario, esplode.


Si tratta di un catalogo di 31 tra sentimenti, emozioni e altre creature. Potenzialmente un libro pericolosissimo, in particolare per tutti i 'segugi' sempre in cerca di libri assertivi sull'argomento.
Il primo pericolo si annida nella circostanza che il libro dichiara, nel suo sottotitolo italiano, di cosa tratterà all'interno. In qualche modo questo sottotitolo per un'insegnante-segugio ha la medesima funzione dell'indumento con l'odore della persona scomparsa per il tartufo di un cane poliziotto. Questa pericolosità si stempera in quel 'altre creature' misteriose che potrebbero mandare fuori pista l'insegnante-segugio. Meno male.
 

 
Il secondo grande pericolo continua ad annidarsi nel medesimo sottotitolo italiano, ovvero nel mettere insieme sentimenti ed emozioni. Questo perché sarebbe bene che almeno l'insegnante-segugio avesse consapevolezza della loro differenza.Non si chiede a un bambino di saper distinguere tra le tre categorie, ma potrebbe succedere che sia lui a interrogare l'adulto in tal senso. E a quel punto l'insegnante-segugio, sperando ne abbia le competenze, dovrebbe poter essere in grado di rispondere. Le emozioni sono qualcosa che ha a che fare con la chimica corporea e sono in linea di massima di rapido passaggio e tutto sommato insopprimibili. Per governarle, ovvero addomesticarle, gestirle arrivano per l'appunto i sentimenti. Che hanno a che fare molto poco con la chimica, mentre moltissimo con l'elaborazione mentale, l'educazione e finanche la cultura. Sarebbe utile che l'insegnante-segugio sapesse distinguere tra attrazione e amore, tra gioia e felicità. Questo perché uno dei suoi compiti dovrebbe proprio essere quello di educare (si badi bene non insegnare) ai sentimenti. Sulle emozioni, invece, non c'è molto da fare, a parte registrarle.
Superati i due pericoli del sottotitolo, c'è da augurarsi che l'insegnante-segugio si faccia solleticare dal titolo in sé, che è una bella domanda, che rimane aperta, apertissima fino alla fine. Evviva le domande.
A questo punto non resta che aprire il libro e scoprire i 31 soggetti messi a catalogo. 
 

 
Nella sequenza sono mischiati. E questo è un primo pregio. Ovvero si passa dall'emozione che salta sul trampolino, al sentimento che lavora ai ferri. Per poi approdare nella strana creatura che con il vento nei capelli chiude gli occhi di fronte a un trivio...
L'altro valore di cui il libro è portatore sta nella scelta degli esempi illustrativi.
Alcuni esempi sono molto felici ed è anche molto interessante la loro modulazione di intensità. Il terrore sta chiuso in una lattina arrugginita, in un angolo buio sotto l'armadio. Accidenti, funziona. E lo fa con immediatezza: la forza del terrore è subito palpabile in tutta la sua esasperazione - quella ruggine, quel buio, quell'angolo - soprattutto se messa a confronto con la paura che, con molta più pacatezza, si mimetizza tra i fiori della carta da parati. Mentre dell'ansia si percepisce all'istante la sensazione di niente terra sotto i piedi. E in quegli occhi stralunati.
 
 
In più di un caso quindi si possono quasi percepire nella loro fisicità le diverse emozioni e le loro declinazioni corporee (in cui tutti possono riconoscersi): la vergogna con le mani sugli occhi.
In altri casi, il fatto di essere emozione o sentimento abusati nell'editoria per l'infanzia non ha giovato: per intenderci la rappresentazione della rabbia o della felicità non spostano un granché.
Di nuovo nella sfera dei sentimenti e delle altre creature ci sono gli esempi più interessanti, per originalità di relazione tra testo e immagine, per originalità nell'esemplificazione e nelle posture: la compassione accucciata con le sue lumachine di strada, l'ospitalità che spignatta tra le pentole, la nostalgia di spalle con la sua sciarpa, la solitudine, persa in un mare di sabbia. Quasi impercettibile allo sguardo. Ecco è forse questa la chiave. Mimare le emozioni. In tal modo lo spettro delle mille sfumature si allarga e ognuno potrà decidere di riconoscersi, senza 'farsi male'.
 

Fortunatamente, così come è stato concepito, c'è la speranza (con i suoi panini) che l'insegnante-segugio lo riappoggi sullo scaffale per lasciarlo a chi ai libri non chiede certezze.


Carla




FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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 SFUMATURE DI GIALLO


Ho già parlato della intelligente, anche se non originale, operazione condotta dall’editore Feltrinelli sul proprio catalogo: la creazione di una nuova collana economica per ragazzi, che contiene sia titoli recenti che riproposte di libri andati a finire fuori commercio.
All’interno di questa programmazione editoriale, prende forma anche una sotto-collana, dedicata ai gialli per ragazzi, nella fascia d’età delle scuole medie. Fra i primi titoli in collana compare un successo Feltrinelli, ‘L’occhio del corvo’e altri titoli ripresi da altri editori.
Spicca ‘Febbre gialla’, di Carlo Lucarelli, pubblicato da E.Elle nel lontano 1997: siamo a Bologna, il nostro protagonista, Vittorio, è un giovane agente di polizia e se volete farvi un’idea del personaggio, pensate a Coliandro, il personaggio già creato da Lucarelli qualche anno prima: un ragazzo un po’ guascone, molto attento a essere sempre alla moda, secondo la sua personale interpretazione, irresistibilmente attratto dalle grazie femminili, sarebbe anche un bravo poliziotto se non fosse decisamente maldestro.
Nel ‘caso’ in questione, Vittorio è alle prese con la mafia cinese che tiene prigionieri decine di bambini nei laboratori di sartoria; un bambino è riuscito a scappare e nessuno riesce a trovarlo. Ad aiutare il nostro poliziotto, affetto da una febbre crescente, ci pensano la sorellina più piccola, decisamente in gamba, e una bella poliziotta cinese.
Ci sono tutti gli ingredienti giusti di una storia ‘gialla’ che si rispetti: colpi di scena, inseguimenti, cattivi molto cattivi e una grande dose di ironia, che parte dalla descrizione del personaggio principale per finire sulle sue disavventure. L’ambientazione è squisitamente bolognese, così come qualche episodico intercalare. 
 

Meno azione e più indagine in un altro ‘classico’, ripescato da Feltrinelli: ‘Ultimo atto’, di Christopher Pike, già pubblicato da Mondadori nel 1992 nella collana Giallo Junior: siamo in una cittadina californiana, la protagonista è Melanie, da poco trasferita insieme al padre e ancora disorientata; non ha fatto grandi amicizie, si sente un pesce fuor d’acqua, lavora il pomeriggio in un bar per aiutare il magro bilancio familiare. Entrare nel gruppo di ragazzi della scuola che sta preparando uno spettacolo le sembra la cosa migliore che le potesse capitare e invece sarà l’inizio di un incubo. Nella scena madre dello spettacolo deve sparare dei colpi a salve contro un altro personaggio, interpretato dalla più bella ragazza della scuola. Solo che la ragazza muore per davvero e Melanie viene arrestata. Per cavarsi dai guai, in attesa del processo, comincia a investigare per conto proprio alla ricerca del vero colpevole.
Qui dunque, più che l’azione concitata prevale la ricerca di indizi che portino all’individuazione del colpevole, sullo sfondo di una cittadina americana di provincia e con l’intreccio di relazioni, fatte di amori non corrisposti, gelosie, tradimenti, tutto all’altezza di liceali, presi dalle feste scolastiche, le recite e così via.
Dopo un paio di decenni dominati dal fantasy, che ancora è molto gradito al pubblico di giovani lettrici e lettori, è un’ottima cosa che vengano riproposti testi di quella narrativa impropriamente chiamata ‘di genere’, se non altro per allargare gli orizzonti dei lettori e per contribuire ad affinarne il gusto, la capacità di discriminare un buon testo, qualunque sia la tipologia di trama che utilizza.
Perfetti per la lettura sotto l’ombrellone, consiglio questi e altri gialli a ragazze e ragazzi di almeno dodici anni.
 
Eleonora


“Febbre gialla”, C. Lucarelli, Feltrinelli 2021
“Ultimo atto”, C. Pike, Feltrinelli 2021



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