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FAMMI UNA DOMANDA!

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UN’IDEA DI ENCICLOPEDIA


Rimpiante o meno, le vecchie Enciclopedie per ragazzi appartengono a un passato (editoriale) lontano; sono state sostituite da monografie, più o meno agili, che hanno sperimentato linguaggi diversi.
Resta il fatto che la produzione editoriale, soprattutto per la fascia d’età fra i 10 e i 14 anni, è molto discontinua, con alcune lodevoli eccezioni.
A questo vuoto prova a mettere rimedio Il Castoro, casa editrice sempre più poliedrica, da un’idea del gruppo Book on a tree. La proposta è ambiziosa e ben strutturata, almeno così sembra a giudicare dalle prime due uscite e dal piano editoriale che prevede quindi volumi corrispondenti ad altrettante domande. Lo staff è di prim’ordine con Pierdomenico Baccalario e Federico Taddia, coadiuvati di volta in volta da titolatissimi esperti. Dunque, la doppia garanzia di contenuti validi e di scrittura efficace e piacevole.
Gli argomenti trattati sono molteplici e vanno da temi squisitamente scientifici, fisica, astronomia, biologia, alle cosiddette scienze umane. Per ora sono usciti due volumi: ‘A cosa servono i soldi?’, con il contributo di Simona Paravani-Mellinghoff, e ‘’Cosa c’è nella mia testa?’, con il contributo di Luca Bonfanti.
Per capire meglio il senso di questa proposta, vediamo più da vicino il volume dedicato all’economia, ‘A cosa servono i soldi?’: il volume, di formato agile, con un numero di pagine non eccessivo, affronta tutti gli argomenti intorno al tema del denaro, parlando quindi di lavoro, di impresa, di banche, di mercato, di sostenibilità. I capitoli sono brevi, le definizioni essenziali, le spiegazioni sono affiancate dalle illustrazioni di Gud.
Argomenti abbastanza complessi, che metterebbero in difficoltà più di un genitore o insegnante, sono trattati con un linguaggio molto semplice, preciso e sintetico. Sicuramente la lettrice o il lettore che volessero farsi un’idea di cosa sia la finanza o l’impresa, o il lavoro salariato, troverebbero qui delle risposte comprensibili e adeguate, con qualche accenno alle problematicità dei singoli argomenti. Tuttavia, mi è sembrato proprio su questo punto, di trovare delle timidezze, degli accenni un po’ elusivi. Sono testi molto assertivi, che definiscono e schematizzano, come è giusto che sia quando si danno delle informazioni; gli autori finiscono il testo augurandosi di aver suscitato molte domande, ma, in fondo, ne hanno indicate poche. Faccio un esempio, laddove si parla di sostenibilità della produzione, si accenna all’impatto ambientale. Sarebbe bastato fare l’esempio dell’acciaieria di Taranto per mostrare, in termini molto concreti e attuali, il conflitto fra necessità economiche e salute pubblica. Oppure, laddove si parla della funzione dello Stato o del mercato, non si accenna al fatto che sui rispettivi ruoli ci sono opinioni molto diverse. Oppure, ancora, lo stesso sviluppo tecnologico, di cui siamo tanto fieri, si fonda sullo sfruttamento elementare delle ricchezze e della forza lavoro dei paesi poveri, alimentandone la povertà. Diventa, quindi, una pura petitio principii l’affermazione dell’obbiettivo della riduzione della povertà a livello globale.
Un esempio di divulgazione più aperta ai diversi problemi delle discipline è dato dalla collana della De Agostini. In questi testi l’obbiettivo principale è sfrondare gli argomenti dalle false credenze, i sentito-dire, le approssimazioni che spesso circolano in rete. E, contestualmente, proporre un metodo per vagliare le risposte alternative, perché di idee diverse e contrastanti ce ne sono sempre e un buon libro di divulgazione, per questa fascia d’età, dovrebbe mettere l’accento proprio su queste.
Non che in questa libro manchino gli accenni, ma sono degli incisi, con alcuni silenzi, come quelli citati sopra, di troppo.
I titoli dei prossimi volumi sono molto interessanti e davvero ricchi di domande possibili; mi aspetto quindi di veder crescere questa collana che merita l’interesse di ragazze e ragazzi, ma anche degli insegnanti che ne potrebbero fare largo uso.
 
Eleonora


“A cosa servono i soldi?”, P. Baccalario, F. Taddia, S. Paravani-Mellinghoff, Il Castoro 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ORRIBILMENTE MAGNIFICO 
 
La zia ha adottato un licantropo, Saki, Quentin Blake
(trad. Massimo Birattari)
Salani 2021


NARRATIVA PER MEDI (da 9 anni)


"'Ti darò io qualche lettera di presentazione per tutte le persone che conosco dal quelle parti. Alcune di loro, a quanto ricordo, sono molto simpatiche.' Framton si domandò se la signora Sappleton, alla quale era venuto a presentare una di quelle lettere, rientrava nella categoria delle persone simpatiche."
 
Per curarsi un po' i nervi esauriti Framton Nuttel ha deciso di dare retta ai consigli della sorella e così è partito per la campagna dove trascorrere un periodo di riposo. Per agevolarlo nelle sue relazioni sociali, la sorella lo fornisce di lettere di presentazione a suoi conoscenti. Ad accoglierlo però non c'è la signora Sappleton in persona, ma la giovane nipote, Vera, che lo mette subito al corrente della tragedia che ha colpito la famiglia: la scomparsa del marito e di entrambi i fratelli della signora Sappleton, usciti una mattina per andare con i cani a caccia di beccaccini e mai più tornati dalla palude. Questa è la ragione per cui tutti i giorni la portafinestra che dà sulla campagna deve rimanere aperta: la zia della ragazza, evidentemente uscita di senno per il dolore, li aspetta ancora... Così racconta la compunta quindicenne.
Costernato, il signor Nuttel di lì a poco conosce di persona la signora Sappleton che lo informa, come se fosse ordinaria amministrazione, che la finestra è lì aperta nell'attesa del ritorno dei tre uomini dalla battuta di caccia.
I convenevoli vanno avanti fino al momento in cui, in lontananza si scorgono tre uomini con i cani da caccia al seguito che si stanno avvicinando alla villa per farvi ritorno...
A questo punto Framton Nuttel ha la certezza di avere davanti dei fantasmi e l'unica cosa che pensa sia saggio fare è scappare il più lontano possibile.
Ma spesso l'apparenza e la verità non coincidono...


Un meccanismo narrativo, questo costruito in La finestra aperta, che ha il carattere della genialità. La cosa che accade dopo la prima lettura è che nel rileggerlo una seconda volta, con l'intento di condividerlo con qualcun altro - irrefrenabile è il desiderio di metterne a parte chiunque passi di lì - nulla può essere più come prima. E' come se si stesse leggendo la stessa storia che però non è più la stessa. Un corto circuito niente male.
Qui non è dato dire di più. L'unica cosa che si suggerisce con forza è di provare personalmente l'esperienza.
Con questo piccolo gioiello della letteratura, per l'appunto uno dei migliori racconti fulminanti di Saki, apre il piccolo libro Salani, nella collana Gl'Istrici +, in economica a distanza di quasi vent'anni dalla sua prima edizione.
Una cosa va detta subito: Saki è un scrittore salvavita, un po' come quei farmaci che, se sei cardiopatico serio, devi avere sempre con te. Ecco, con lo stesso criterio di necessità, i racconti di Saki, letteratura britannica di altissima qualità a cavallo tra Ottocento e Novecento ignorata dai più, non dovrebbe mai mancare nelle tasche, sui comodini, nelle librerie, sui tavoli, nelle borse o negli zaini, negli ebook di tutte quelle persone che sanno o quanto meno intuiscono che una buona storia ben scritta sia utile alla vita tanto quanto l'aria e l'acqua.
Saki, nonostante abbia campato soli 46 anni, è riuscito a produrre una sufficiente quantità di racconti molto brevi, che per un motivo o per un altro, hanno la capacità di mettere il loro lettore in una condizione di felicità e benessere diffusi.
La qualità sta nel suo modo di raccontare, tra l'umorismo e l'orrore, che non arriva mai alla cattiveria per se stessa, ma è capace di incidere in modo indelebile le virtù ma soprattutto i vizi dell'umanità. E questo accade, sebbene il contesto della stragrande maggioranza dei suoi racconti sia la provincia inglese, la borghesia edwardiana sicura del fatto proprio, forte di un impero britannico invincibile. Saki guarda sempre con uno sguardo di bonaria ironia, con una qualche indulgenza o gentilezza i suoi personaggi e lascia ai suoi lettori il compito di trarre le dovute conseguenze circa i loro destini non sempre fortunati.
Incarnazione del più puro humor inglese, Saki è forse uno dei migliori narratori di infanzie, per quel suo sguardo sempre pieno di stupore e per quella sua capacità di immaginare la perfezione del mondo sempre sull'orlo del precipizio.
Per questo motivo spesso i protagonisti dei suoi racconti sono bambini e bambine, fanciulle o ragazzini. Ingenui, bene educati, ma nello stesso tempo forti della loro onnipotenza, essi dimostrano di avere una vena sadica, lievemente inquietante, che li rende 'orribilmente' buoni. Di norma sono contornati da zie inappuntabili in apparenza, ma severissime e dispotiche nell'animo e ottuse non poco.
Può sembrare un cliché, ma a ben guardare è lo specchio del baratro interpretativo che separa i grandi e piccoli nella loro lettura della realtà: da una parte il mondo delle regole, delle convenzioni, delle certezze, dall'altro il mondo del possibile, dell'immaginazione, dell'invenzione.
Questa schiera di personaggi, bambini/bambine e zie, fortuna vuole che abbiano preso residenza nell'editoria per l'infanzia in taluni sporadici episodi.
Nell'ordine, da anni si possono leggere: Il narratore, Il ripostiglio, Sredni Vashtar. A questi tre (che compaiono anche nella raccolta di Salani) si aggiungono ora La finestra aperta, Il maiale, La ghirlandetta, Gabriel-Ernest, Il metodo Schartz-Metterklume. E così si sale a otto.
La conclusione qual è? Che Saki va letto sempre e comunque perché è orribilmente magnifico.


Noterella al margine.
Per chi volesse proprio esagerare con Saki, si consiglia, per questi tempi di incertezza, la lettura quotidiana dei Racconti che Il Saggiatore ha pubblicato nel 2017 per un totale di 662 pagine.
 
Carla



FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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BABELE 
 

François Place è un grande creatore di universi, universi visivi e narrativi, su due registri che si intrecciano perfettamente. Ritorna in libreria con un albo spettacolare, pubblicato da L’ippocampo editore, intitolato ‘Re e Regine di Babele’.
La narrazione non può che avere un tono leggendario, quasi fiabesco: racconta la storia di una roccia a picco sul mare, ai confini del mondo. Lì vive, da tempo immemorabile, un eremita, che abita una grotta insieme alle capre selvatiche. Re Nimrod viene condotto lì dall’inseguimento, fallito, ad un cervo bianco, che appare e scompare nelle tavole in cui Place descrive il nuovo mondo che il Re vorrà costruire proprio lì. Nel nuovo palazzo, che si erge sempre più alto, vivrà insieme all’amata moglie Zelia. Il loro lungo regno, fatto di prosperità e di pace, non trova degni successori, che si dibattono fra assurdi progetti e battaglie fratricide.
 

Durante il regno di Nimrod XII nel sottosuolo della torre vien trovata una vena di argento, subito sfruttata, non per il benessere del popolo , ma per placare l’avidità del sovrano. Ne seguono lotte fratricide che disintegrano il regno fino a che Nimrod XV, detto il Re di Ferro, non riesce a riunificarlo, morendo però poco dopo. A lui succede la moglie Berenice, con cui inizia una dinastia di sovrane illuminate, che ricostruiscono la torre come un luogo cosmopolita, centro di studi e luogo di commerci con i paesi più lontani. E’ un’epoca d’oro, in cui Babele è luogo di pellegrinaggi di sapienti e di esploratori, dove crescono arte e scienza.
 

La dodicesima sovrana di questa lunga stirpe di regine, Berenice, decide che gli uomini non hanno bisogno d’altro e se ne va in groppa al cervo bianco. La roccia, con le sue grotte e le sue rovine di un passato glorioso, ritorna al vecchio eremita, la cui vita si perde nella notte dei tempi.
In questo racconto rivive la capacità immaginativa de ‘Gli Ultimi giganti’, così come si rinnova la capacità dell’autore di costruire universi fantastici coerenti e credibili, metafore elaborate del nostro mondo, della nostra storia. Così come ne ‘Il segreto d’Orbae’si intrecciava l’amore per la conoscenza con la potenza dell’amore fra esseri umani, con lo straordinario personaggio femminile di Ziyara, anche qui si contrappone il mondo maschile, potente, sì, ma anche portatore di distruzione, a quello femminile, portatore di sapienza e di giustizia.
 
 
Più che un approccio antropologico, mi sembra emerga un riconoscimento del fallimento di un’idea di potere e di forza, che, alla fine, per quanto siano grandi le imprese compiute, non può che auto distruggersi. Al contrario, l’immagine della femminilità è identificata con la saggezza di chi non soggiace al desiderio di sopraffazione.
Un riconoscimento che suona molto amaro per i tempi che non sono mai maturi per esprimere forti leadership femminili.
Questo grande respiro, questa visionarietà, che va oltre il racconto puro e semplice, non può che rispecchiarsi nelle grandi tavole che lo ospitano, lo racchiudono al loro interno, grandiose e dettagliate, con il consueto gusto per il particolare che l’autore ha sempre espresso nei suoi lavori. Acquerello, o ecoline, e china danno alle tavole levità e ricchezza di dettagli, fra i quali il giovane lettore o la giovane lettrice possono piacevolmente perdersi. Tanti i riferimenti e le citazioni alla storia dei regni europei, fatta di dinastie e guerre permanenti, nello stesso tempo di magnificenza e splendore.
 

Lettura caldamente consigliata a lettori e lettrici di tutte le età, a partire dai sei anni.
 
Eleonora


“Re e Regine di Babele”, F. Place, L’Ippocampo edizioni 2021




Article 1

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LA GEOMETRIA DELLA MATASSA DI PANE
 

 

Nasce in Vietnam, ma cresce in Corea, terra decisamente più social, almeno nel mondo occidentale, e si presenta sulla barra di destra del mio schermo, un paio di settimane fa.
La sua perfezione colpisce me e, apprendo in seguito, milioni di altri.
Esce un video totalmente silenzioso, di 9 minuti e 50. Gli unici suoni sono quelli provocati dalle mani sulla pasta, dal taglio con il coppapasta, dal coltello sui mirtilli. Un piccolo capolavoro di perfezione nella pulizia e nella sicurezza dei gesti, nella cura dei tempi e delle inquadrature. La semplicità essenziale delle suppellettili impiegate denunciano una cucina casalinga. Fa eccezione un piano di lavoro a circonferenze graduate e concentriche che denuncia una certa professionalità. E genera una qualche invidia.
Parte la sfida e partono le solite due settimane di prove, sconfitte e miracoli, lievi modifiche che producono la seguente ricetta.


Ingredienti
340 gr di farina da pane
5 gr di sale
3 gr di lievito di birra istantaneo
80 ml di latte tiepido
30 gr di zucchero
1 uovo
100 ml di panna (oppure 80 ml di latte e 30 gr. di burro sciolto)


Per la farcitura
5 o 6 noci sminuzzate a coltello
un pugnetto di uvetta ammollata nel brandy o nell'acqua
cannella
 
 
In un bicchierino mettete il latte tiepido e il lievito e lasciate agire per 5 minuti.
In una ciotolina mettete le uvette a rinvenire.
Prendete una teglia da 20 a cerniera, ungete tutto l'interno con il burro e sulla base mettete un cerchio di carta forno, unta anch'essa. Mettete in frigo.
Nel frattempo in una capiente ciotola mescolate la farina con il sale, lo zucchero, la panna (o il latte con il burro), l'uovo e il lievito con il latte. Mescolate con cura fino a ottenere un composto elastico. se dovesse servire, ogni tanto spolveratelo di farina perché perda in collosità con le mani durante la lavorazione. Fatene una sfera e mettetela a riposare per 3 ore (fino al raddoppio del suo volume) in una ciotola lievemente unta e coperta.
A questo punto capovolgetela e lasciatela cadere sul piano leggermente infarinato. Non lavoratela assolutamente, limitatevi a comprimerla leggermente in modo da ottenere una 'focaccia' circolare che con il coppa pasta dividerete in 5 archi di circonferenza, ovvero spicchi per i non geometri, uguali di peso. A questo punto lavorateli portando i vertici verso l'interno in modo da arrivare a ottenere un panetto simile a una sferetta. Fatele riposare per un quarto d'ora.
Ora mischiate le noci, con le uvette e con la cannella e fatene un unico composto. E lasciatele lì.
Riprendete le vostre sfere e stendetele leggermente con il matterello in una unica direzione su una superficie un po' infarinata, una per volta in modo da ottenere delle ellissi. Con il coppapasta cominciate a incidere la pasta a striscioline traloro parallele lungo l'asse verticale per tutta la metà superiore dell'ellisse. Più vicini fate i tagli, meglio sarà nella resa finale.
 

Nella metà sottostante dell'ellisse (+ o -), quella non incisa (potete anche sconfinare sulle incisioni, ma di poco) spennellate la superficie con del burro morbido, spruzzatevi un pizzico di zucchero e poi disponete lontano dai bordi un quinto dell'impasto fatto con le noci, l'uvetta e la cannella. Ripiegate verso l'interno i bordi a contenere l'impasto e contemporaneamente arrotolate l'intera ellisse. Otterrete così un prisma cilindrico con la superficie incisa. Ripetete la sequenza per tutte le altre sfere.
Recuperate dal frigo la teglia e lungo la circonferenza disponete in orizzontale i cinque prismi. Fateli riposare per almeno un'ora, in modo che riparta la loro lievitazione. Nel frattempo portate a temperatura il forno a 170°.
Quando i prismi sono cresciuti quasi del doppio, spennellateli delicatamente con del latte lungo la parte superiore, nel verso delle linee parallele.

Infornate e fate cuocere per 20/25 minuti, finché non raggiunge il massimo gonfiore e quasi si chiude il cerchio centrale. E finché non diventa di un bel colore caldo la superficie.
Sfornate, aprite la cerniera e fate freddare per qualche minuto.
Poi attaccate pure a dipanare la vostra matassa.
 
 
Un'accortezza, se non lo mangiate tutto in una unica soluzione, conviene stivarlo in un contenitore a pressione, perché patisce un po' il nostro clima secco. Che, invece, in Vietnam mi risulta non essere contemplato.
 
Carla


 

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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L'ULTIMO STARK
 
Animali che nessuno ha visto tranne noi 
Ulf Stark, Linda Bondestam(trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)


"L'escaloppo
 
Un grande fiume,
una tana di tasso,
un Escaloppo solo sul masso.
Nel mondo tutto sta insieme.
Io invece no."


A seguire c'è l'Ummalia che la luce si porta via. E poi arriva Un altro che non si sa come nel corpo di un altro è andato a finire. Seguono i Kakaki, il Nomadino sempre in giro e mai contento, il Gnoccantropo che è gigantesco ma nei suoi sogni si vede leggero. Al contrario il Giallalà leggero lo è e tutto sommato felice di passare il suo tempo ad acchiappare zanzare. Il bumbumpo è ingombrante e non piace a nessuno. Poi c'è il Dorano e il Lumarone, il pesce Guaguà che tutto sembra tranne che un pesce. C'è anche lo Zitto che non fa mai un fiato e la malinconica Quinella sul bordo di uno stagno che patisce un po' la solitudine, mentre qualche metro più in là il Letargale si gode l'ultimo giro prima del riposo invernale. 
 

E quando il sole volge al tramonto è il Saltuccio che si dà lo slancio e nel cielo alto sparisce così. Più rari sono gli ospiti del Monte Bu che solo ogni sette anni dal basso vanno all'insù per gridare in coro, non si dice che cosa, e poi prendono e tornano all'ingiù. Con il favore delle tenebre compare anche lei, l'Ombrarella, forse la più bella, libera ballerina per l'intera notte con passi leggeri e che, se la guardi bene, vedi che ha i denti neri!
 Ma il migliore di tutti è lui: il Bipolare che in autunno cerca gli abbracci per farsi consolare, mentre a primavera si sente robusto e va avanti contento per tutta l'estate, ma al successivo autunno tornano le lacrime. E la vita è solo un gran giro.


Ci sono passioni nella vita di ognuno. Personalmente nutro quella per le liste. Mi sembrano un modo così geniale e contemporaneamente elementare di raccontare il mondo, che le trovo irresistibili. La loro genialità si nasconde nello scatto di pensiero che si produce nel metterle secondo una sequenza che solo in rarissimi casi può considerarsi casuale. E sono elementari perché tecnicamente sono alla portata di tutti. Chi non è in grado di elencare, di costruire una lista, a seconda delle proprie competenze ed esigenze: da quella della spesa all'inventario di un museo, o quella che mette in sequenza le procedure per il lancio di un satellite in orbita?
Per esplorare la questione, che si presenta tutt'altro che marginale, si può agevolmente leggere il librone di Umberto Eco, La vertigine della lista, su cui mi è capitato di ragionare altrove. Nel primo albo che Iperborea pubblica, bellissimo e raffinato come sempre anche nella confezione telata, a firma di Ulf Stark e Linda Bondestam, c'è una lista o, per meglio dire, è una lista.
 

Ventisette creature animali che nessuno, tranne Stark che le descrive e Bondestam che le disegna, ha mai incontrato. Così parrebbe.
Come in tutte le liste che abbiano un senso, anche in questa esistono uno o più criteri comuni che tengono legati i singoli lemmi, come fossero perle attraversate da un filo. Il primo e più evidente dei quali è il fatto che sono animali inesistenti, il secondo è che sono divertenti e il terzo è che sono in linea di massima un po' scontenti. O per mole, o per aspetto, o per solitudine o per timidezza, o per paura non sono mai completamente appagati e la loro esistenza pare sempre un po' in salita. Se questo da un lato genera il sorriso dall'altro fa nascere un senso di tenerezza che dalla simpatia sfocia nell'empatia perché a ben vedere in ciascuno di loro è possibile cogliere parte delle nostre quotidiane insoddisfazioni. Sembrano essere malesseri conosciuti. Non si tratta mai di casi 'incurabili'. Stark, come di solito, usa mezze tonalità, ovvero si muove nella sfera delle inquietudini, e lo fa, come di solito, con grande lucidità: la solitudine che intristisce l'Escaloppo e fa piacere al Solitello, o fa urlare nel cielo notturno il Lumarone, oppure parlare alla sua immagine riflessa la Quinella; oppure l'attesa di chissà cosa per gli Aspettaespera o quella del buio per l'Ombrarella; c'è la nostalgia per il tempo andato che è il cruccio dello Gneiss o la perenne insoddisfazione del Nomadino. 
 
 
Ma non tutti, dal Bipolare in giù, avrebbero bisogno di una bella chiacchierata dallo psicologo o dallo psicanalista. Ci sono creature che pur nel loro passaggio effimero sul pianeta, sanno trarne comunque gioia. Si sanno accontentare, come il Giallalà o la magnifica Giornaliera, altri ancora sanno leggere la bellezza nel colore e nel calore, come il Dorano o il Gigatlante. Tutti condividono la consapevolezza della propria imperfezione e soprattutto della propria transitorietà.
Stark, d'altronde, è un uomo del Nord: profondo, ma non solare. È il suo bello, verrebbe da aggiungere.
 

Insomma siamo di fronte a una sapiente lista/catalogo di varia umanità che può essere letta a diversi livelli. Magari i bambini più piccoli apprezzeranno e rideranno forte delle singole descrizioni in rima, che Laura Cangemi ha ricomposto in un italiano egregio, si divertiranno del lato folle della questione, delle illustrazioni luminose. I più grandi, finanche gli adulti, potranno invece interrogarsi, con quel sorriso cui si alludeva al principio, sulle questioni che si intravedono sul fondo. E in questa ottica 'leggeranno' - a posteriori - anche il titolo con occhi e mente diversi, laddove quel 'noi' non si riferisce ai soli Stark e Bondestam, ma ci chiama in causa tutti.
E questo, gente, è l'ultimo Stark.

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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ALMA DEL VENTO



Lo straordinario viaggio di due ragazzi in fuga sulle onde della libertà’, pubblicato da Mondadori, è l’ultimo romanzo pubblicato in Italia di Timothée de Fombelle, anche questa volta con l’ausilio delle illustrazioni di François Place. E che romanzo!
Dopo prove non all’altezza del romanzo che ha portato l’autore all’attenzione del pubblico italiano, ‘Tobia. Un millimetro e mezzo di coraggio’, pubblicato nel 2006 per i tipi delle edizioni San Paolo, ecco finalmente un romanzo di grande respiro, costruito con sapiente perizia, ricco di avventura e di riflessioni sul mondo coloniale.
La trama, come nei suoi migliori romanzi, non è lineare e intreccia tre linee narrative: la storia di Alma, intrepida ragazzina appartenente ad un popolo africano ai confini del mito; la storia di Joseph, imbarcato sulla nave negriera comandata dal feroce Capitano Gardel; e quella di Amélie Bassac, la figlia dell’armatore della Douce Amélie, la nave attorno alla quale si incrociano i destini dei tre ragazzi; Amélie, coinvolta nel complotto ordito dal contabile del padre, si trova a doversi imbarcare, alla volta delle Americhe, per rintracciare il veliero di sua proprietà, e su cui si svolge buona parte dell’azione.
La storia che seguiamo con maggiore chiarezza è quella di Alma, da quando, per seguire le tracce del fratellino, fuggito in sella al cavallo bianco con cui avevano imparato a vivere, lascia la sua terra: una valle chiusa da un passaggio impenetrabile, che solo con la stagione delle piogge può essere attraversato. In quella valle vive isolata la sua famiglia: il padre, ex mercante di schiavi, la madre, ultima del popolo degli Oko, portatori di segreti poteri, e il fratello più grande.
Appena il fratellino più piccolo fugge, Alma si mette sulle sue tracce e così farà il padre, ignaro della fuga di Alma. I cacciatori Ashanti, nel frattempo, raggiungono la valle e fanno prigionieri Nao e suo figlio.
Nello stesso tempo Joseph, imbarcato sulla Douce Amélie, cerca di convincere il Capitano di essere in possesso di informazioni importanti sul leggendario tesoro del pirata Luc de Lerne; spinto dall’avidità, il Capitano segue le indicazioni del ragazzino, che sulla nave incontra il carpentiere Poussin, che ha ben altri motivi per essere lì. Sta infatti indagando sulla morte sospetta di suo figlio e dell’amico che lo stava istruendo.
C’è dunque forte il sapore dell’avventura, quella degli intrighi e dei colpi di scena, delle storie di mare e di pirati, ma c’è anche il ritratto impietoso dei grandi imperi coloniali, siamo nel 1786, della tratta degli schiavi africani, della disumanità che ha accompagnato la grandezza degli stati europei.
Uno dei ‘tesori’ più preziosi imbarcati sulla nave era rappresentato da casse piene di biancheria, portate in America perché si riteneva che lavate nelle lontane lande americane sarebbero tornate indietro più bianche che mai; mentre nella stiva viaggiavo ammassati i futuri schiavi delle piantagioni di cotone. Raffinatezza e orrore, la grande civiltà fondata sullo sfruttamento e il commercio degli schiavi.
Il romanzo, come dicevo, ha una struttura complessa, ma come in ‘Tobia’, c’è un ritmo serrato che tiene incollati alla pagina, e un grande respiro, che unisce la ricostruzione realistica della tratta degli schiavi nell’Africa Occidentale, con i luoghi, i porti, gli usi e gli attori di questo disumano mercato, ma nello stesso tempo una vena fantastica, che rende giustizia ai popoli così a lungo sfruttati.
Sono molti i colpi di scena e non tutte le linee narrative si intrecciano perfettamente nel finale, facendo pensare, ed è un bel pensiero, ad un possibile seguito.
E’ un romanzo davvero apprezzabile per la forza del suo racconto e per la capacità narrativa dell’autore, ma anche per l’originalità dell’ambientazione scelta, uno di quei romanzi che si fatica ad abbandonare.
Lettura caldamente consigliata a ragazze e ragazzi riflessivi, amanti dell’avventura, a partire dai dodici anni.

Eleonora


“Alma del vento. Lo straordinario viaggio di due ragazzi in fuga sulle onde della libertà”, T. de Fombelle, ill. F. Place, Mondadori 2021




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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DEI PICCOLI
 
Bilù, Alexis Deacon (trad. Loredana Baldinucci)
Il Castoro, 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)
 
"Bilù non doveva trovarsi lì.
Si era persa. Nessuno sembrava capirla.
Alcuni non si fermavano nemmeno ad ascoltare.
Poi, da lontano le sembrò di udire la sua mamma che la chiamava..."


Gialla. Tre occhi, e delle orecchie spropositate. Dietro di lei, in un luogo deserto del pianeta, c'è un'astronave fumante che per metà è affondata nel terreno.
Incidente spaziale.
Sola, si mette in cammino, cerca lì intorno. Il primo incontro con i conigli o l'albero si rivela un fiasco, per non dire di quello con un turbine di foglie. Da lontano, Bilù intravede una grande città tutta illuminata. Forse quel trillo che sente potrebbe proprio essere quello della sua mamma... ma no, è solo una vuota cabina in cui un telefono suona a vuoto. I passanti per strada la ignorano, ma forse quei cuccioli che dormono in un cartone potrebbero fare al caso suo... ma no, il padrone la scaccia. Forse quei piccolini che saltano a corda potrebbero fare al caso suo...ma sì. Ma poi invece no, perché la vecchia maestra dalle tette cadenti la separa da loro anche se giocavano bene assieme.
Di nuovo da sola, ma con un loro giocattolo in mano, Bilù guarda il cielo buio e la luna e le pare di sentire che la mamma la stia chiamando...


Proprio quest'anno Beegu, Bilù in italiano, compie diciott'anni. Pubblicato nel 2003 è forse uno dei libri migliori che Alexis Deacon abbia mai concepito e realizzato. Di sicuro rappresenta il manifesto della sua poetica di autore. E non solo. 
 

Per come è costruita la sua architettura narrativa è assolutamente perfetto. Come Deacon insegna, per scrivere un buon libro, bisogna avere una buona storia da raccontare. E spesso, è sempre lui a dirlo, una buona storia nasce da una collisione. Una collisione, una invasione di campo. In sostanza, in un contesto dato, occorre prevedere l'inserimento di un oggetto che con quel contesto non abbia nulla a che vedere. Durante una sua conferenza, Deacon ha spiegato con molta chiarezza che cosa intendesse dire. Se scrivo una storia con un pilota che guida un aeroplano non sto dicendo nulla di sensazionale, ma se nella cabina di quel velivolo metto un coniglio, ho già un buon punto di partenza, quanto meno promettente e di certo 'interessante' per il suo essere anomalo, imprevisto.
Portato all'ennessima potenza, in Bilù abbiamo una 'invasione di campo': una creaturina che arriva sulla Terra dallo spazio. Il resto viene da sé. Si tratta a ogni pagina di una nuova scoperta e di un ripetuto gioco degli equivoci. Ogni volta Bilù cerca di instaurare un qualsiasi tipo di contatto che la faccia sentire meno sola e meno diversa da tutto ciò che la circonda. Senza esito. Superate le prime delusioni, con i conigli e con le foglie e l'albero, riceve dei veri e propri rifiuti che si concretizzano in allontanamenti, in nome del suo essere aliena, fuori contesto, appunto. Questo non fa che generare in lei il desiderio di casa (E.T., telefono, casa...) con il relativo ennesimo equivoco e fraintendimento riguardo alla cabina telefonica. Gli unici che dimostrano autentico interesse nei suoi confronti sono dei bambini che giocano nel cortile di una scuola. Con loro scatta immediatamente l'intesa. Si riconoscono tra loro come simili: infatti appartengono tutti alla categoria cuccioli e come tali inevitabilmente si attraggono, se non altro per curiosità non preconcetta. L'allontamento forzato, per la seconda volta, ripropone il tema della nostalgia di casa. Stavolta niente cabina telefonica, ma luna piena in cielo. Lo schema narrativo è molto preciso e cadenzato con un forte senso di equilibrio.
Il finale, consolatorio, che mi sto vietando di raccontare, chiude alla perfezione, dando anche tutti gli elementi per costruire il senso ultimo della storia.
 
 
Deacon con molta nettezza si schiera dalla parte dei piccoli. I grandi ne escono con le ossa rotte in questa minuscola storia e, per paradosso, è proprio la sua esilità a conferirle il valore di apologo.
Bilù nasce nella testa di Deacon, ragionando su cosa significhi arrivare in un posto del tutto estraneo, come era successo a lui nel trasferirsi a Londra (quella cabina telefonica non sta lì per caso).
 
 
Su che forma dare al suo alieno, ha lavorato molto. E la risultante è una creatura tutto sommato solo abbozzata che però ha una mimica corporea molto potente: una lingua parlata con le orecchie. Se Bilù è volutamente abbozzata, al contrario le figure dei bambini (ma metterei anche quelle della maestra dispotica) sono volumetriche, con un disegno al tratto, ed espongono un vero repertorio di movimenti in scena. Nelle loro espressioni hanno qualcosa di grandioso e misterioso. 
 

La linea di Deacon è nello stesso tempo matura espressione di grande tecnica e capacità mimetica, ma nello stesso tempo sa essere riassuntiva, quasi ingenua. Circostanza questa che crea una sorta di vibrazione visuale da una pagina all'altra - come per esempio se si confrontano quella con il padrone dei cuccioli di cane e quella nell'asilo. Quasi non sembrano appartenere alla stessa mano. Anche la tecnica di colorare le tavole ha qualcosa di sensazionale: la carta su cui compare il disegno viene oliata per renderla trasparente e il pigmento viene dato sul retro del foglio in modo da lasciare in primo piano la linea e attenuare l'impatto del colore.
Un testo costruito su il minimo indispensabile di parole che però lascia - al pari del disegno - un segno indelebile nel cuore di chi legge.
Immediatemente Bilù genera un sentimento di tenerezza nel suo essere così fuori posto. Questo stato d'animo si rinforza a ogni giro di pagina, nel ripetersi di incomprensioni e allontanamenti. In questo Deacon dimostra di sapere utilizzare molto bene il ritmo che il giro di pagina dà alla storia, lasciando che, ogni volta si crei una sorta di iato, un tempo sospeso per i secondi necessari a girare il foglio, prima di sapere se continuare a prendersi a cuore la triste storia della creaturina gialla, oppure, se eventualmente tirare un sospiro di sollievo.
 

Considerata la circostanza che Deacon esce dall'Accademia di Brighton nel 2001 e che nel 2002 pubblica il suo primo libro illustrato per bambini dal titolo Slow Loris che vince all'istante il Blue Peter Book Award e che a distanza di anni viene considerato uno tra i cento migliori libri di sempre, e considerato il fatto che Beegu/Bilù, di solo un anno posteriore, viene premiato come miglior libro illustrato dell'anno per il NYTimes, e selezionato per la Kate Greenaway Medal forse Alexis Deacon, che Booktrust considera uno dei migliori illustratori inglesi di sempre, non va perso di vista...
 
Carla
 
Noterella al margine. Considerato che Deacon per molti anni non ha lavorato a causa di un suo problema personale, e che quindi in assoluto non sono molti i suoi libri in circolazione, tuttavia si sappia che in Italia esistono solo tre titoli suoi: Cip e Croc (Settenove, 2015), Io sono Marcello Fringuello (Officina Libraria, 2015) e adesso Bilù.

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

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FRA MENZOGNE E VERITA’

Non so quanto appassionino i giovani lettori e le giovani lettrici, ma le questioni che sto per trattare mi appassionano da tempi immemorabili. E’ possibile distinguere fra verità, per quanto relativizzate, e menzogne, si tratti di ‘fake’ che girano sul web o antiche credenze popolari? Ha senso seminare spirito critico e metodo scientifico, in un mondo che sembra dominato dal prevalere del ‘senso comune’, in qualsiasi modo, anche fraudolento, esso si determini?
Alla nobile schiera dei paladini della verità si annoverano gli autori dei libri che vi propongo, Graziano Ciocca e Daniele Aristarco.


Il primo, biologo e divulgatore, è autore di ‘Bufale Bestiali. Perché gli animali non sono quello che crediamo’, pubblicato da De Agostini, nella collana di divulgazione dedicata a lettrici e lettori dai dodici anni in poi.
Di cosa parla questo libro, arricchito dalle vignette del fumettista Lorenzo De Felici? Di una serie di luoghi comuni e credenze relative agli animali, dal suicidio di massa dei lemming al cimitero degli elefanti per arrivare ai super-poteri ‘bestiali’ dei supereroi. Il libro, che affronta numerosi argomenti, smonta le affermazioni fallaci, raccontandone la genesi e dimostrandone l’assenza di basi reali: un po’ per tradizione, molto per la tendenza a trovare risposte semplici a questioni complesse, spesso e volentieri ci accontentiamo dei luoghi comuni per spiegare alcuni comportamenti animali. Un esempio su tutti: lo struzzo che per nascondersi da un predatore, nasconde la testa nel terreno. Non falso, falsissimo: in realtà lo struzzo, il maschio a guardia del nido, si china per occuparsi delle uova, mentre può tranquillamente affrontare un predatore, essendo velocissimo e anche agguerrito. Di esempi di questo genere ce ne sono moltissimi.
Quello che trovo interessante, oltre la capacità di sostenere un testo abbastanza lungo con uno stile ironico e preciso allo stesso tempo, è l’individuare la linea di demarcazione fra una convinzione nata dal senso comune, o dalla tradizione, o anche dal patrimonio fiabesco, ed una derivante da osservazione e metodo, cioè dal confronto di dati. Quello che sappiamo oggi, ed è ‘provvisoriamente vero’, come dice l’autore citando un testo di fisica, nasce dal paziente lavoro di osservazione, catalogazione e interpretazione svolto dai tanti biologi, specialisti nelle diverse branche.



Alla disanima delle ‘bufale’, è anche dedicato il libro di Daniele Aristarco, con le illustrazioni di Giancarlo Ascari e Pia Valentinis, ‘Fake. Non è vero ma ci credo. Il libro, pubblicato da Einaudi ragazzi nel 2018, analizza il meccanismo di costruzione delle ‘false notizie’, come nascono e con quali strumenti vengono fatte accettare da chi è in grado di manipolare i mass media. 


Gli esempi sono tanti: il finto attacco alla radio di una cittadina tedesca ad opera di soldati polacchi, in realtà agenti segreti nazisti, che diede il via all’occupazione della Polonia e, di fatto, alla Seconda Guerra Mondiale; la gigantesca burla dei cerchi nel grano, opera di due pensionati americani, che ha dato il via ad una delle più durature ‘fake’ sulla presenza di extra-terrestri sul nostro pianeta; per finire con la gigantesca frottola sulla presunta cospirazione dietro al ‘finto’ sbarco sulla luna; la serie di false notizie relative ai migranti, che hanno sostenuto le campagne elettorali di alcuni partiti. In ultimo, ma non meno importante, la dimostrazione di come i cosiddetti cookies, espressione della pubblicità comportamentale, cerchino di trasformarci nel consumatore perfetto.
Importantissimo insegnare ai lettori e alle lettrici più giovani il metodo per smascherare le false notizie: la ricerca sulle fonti, il confronto con siti e personalità autorevoli e con opinioni differenti. Tutto quello che non ha a che fare con reazioni emotive o con l’adesione acritica a opinioni che non fanno che confermare quello di cui siamo già convinti, ma si fondano sull’analisi razionale, nei limiti del possibile, dei fatti.
Abbiamo ben visto, durante la pandemia, lo scontro fra chi proponeva opinioni (compreso ‘coviddi non ce n’è’) e chi tentava un approccio scientifico con tutti i limiti della scienza di fronte a qualcosa di sconosciuto.
Questo mi sembra il punto cruciale: non uno scontro fra ‘fedi’, fra credenze e opinioni contrapposti, ma fra metodi di conoscenza, fra chi si accontenta del senso comune e chi cerca le ragioni delle cose.
La ragione scientifica è fatta di domande e di risposte approssimative, di dubbi e di nuove risposte, che magari non rassicurano quanto potrebbe fare una clamorosa ‘bufala’; è fatta di ricerca continua e di infinita curiosità per un mondo che continua a meravigliare , e a spaventare, di quando in quando.
Letture consigliate caldamente, dai dodici ai novantanove anni, a quei ragazzi e quelle ragazze che vogliono vivere con gli occhi ben aperti.

Eleonora


“Bufale bestiali. Perché gli animali non sono quelli che crediamo”, G. Ciocca, Ill. L. De Felici, De Agostini 2021

“Fake. Non è vero ma ci credo”, D. Aristarco, Ill . G. Ascari e P. Valentinis, Einaudi Ragazzi 2018



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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DIVENTARE CONIGLIO
 
L'ombra di ognuno, Mélanie Rutten (trad. Sara Saorin)
Camelozampa 2021

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)
 
"è la storia...
... di un Cervo preoccupato,
... di un Coniglietto che vuole diventare grande,
... di un Soldato in guerra,
... di un Gatto che fa sempre lo stesso sogno,
... di un Libro che vuole sapere tutto e di un'ombra."


Il Coniglietto arriva nella vita del Cervo come una ventata, o forse come una tempesta. Fatto sta che il Cervo ha dovuto imparare tutto, perché il Coniglietto conta su di lui. Ma non solo: quando si fa male il piccolo anche il grande patisce, o quando il grande è in pensiero si preoccupa anche il piccolo. Condividono il sonno, il gioco dei legnetti per costruire, e sebbene il Cervo sappia che arriverà il giorno in cui Coniglietto se ne andrà, e sebbene lo inciti, dentro di sé spera che quel momento non arrivi poi troppo in fretta. Soli, con l'universo che gira loro intorno, sono lì abbracciati a rassicurarsi a vicenda sul fatto che ci saranno sempre l'uno per l'altro.
Passa il tempo fino al giorno dell'arrivo del Soldato che brandisce la spada perché è in guerra con tutto, ma con il Coniglio, all'urlo di Da soli da soli, fanno subito squadra.
E di tempo ne passa dell'altro fino al momento dell'incontro con il Gatto che cerca qualcosa, un pallone che ora è dentro un buio cespuglio. Anche lui diventa subito parte del gruppo, perché sa raccontare storie.
 
 
E mentre tutto questo succede, da un'altra parte del bosco Cervo è chinato per raccogliere legnetti ed è adesso che incontra il Libro che parla parla parla. Cervo quasi non lo ascolta. Ha la testa in altri pensieri: la discussione avuta con Coniglietto che se n'è andato perché ha deciso di diventare grande da solo.
E mentre tutto questo succede... c'è un'ombra che osserva da lontano.


Poco meno di otto anni fa, Mélanie Rutten vedeva pubblicato il suo quinto libro, L'ombre de chacun, con la sua casa editrice di riferimento, MeMo.
E, all'epoca, molti se ne innamorarono. Per diversi motivi.
Per chi la conosceva già, questo libro segnava una svolta. Verso una direzione di profondità di racconto, di complessità di struttura narrativa che fino a quel momento, nei suoi libri non si era ancora mai vista.
Per chi non la conosceva ancora, la cosa che saltò all'occhio fu in primo luogo il disegno e il colore, la composizione della pagina e la complessa architettura del racconto. I personaggi, animali antropomorfi, che creano un racconto corale. E naturalmente anche il tema trattato.
 

Il libro ebbe molto successo, vinse diversi premi importanti, tra cui la menzione al BRAW 2014, e lentamente ma inesorabilmente venne pubblicato anche in altri paesi, compresa Cina, Corea e Stati Uniti.
Se si procede con ordine, volendosi anche basare sulle motivazioni di chi l'ha premiato, l'argomento più menzionato è il disegno: si notano subito la linea di contorno a china, fluida quanto espressiva (verrebbe da chiedersi quanto bene la Rutten abbia imparato dalla Crowther), e immediatamente l'attenzione si focalizza sul colore.
Un acquerello molto leggero, pieno di trasparenze e con una gamma cromatica piena di sfumature, ma nel contempo vivacissima ed emotivamente significativa.
 

Anche un profano noterà quanto la Rutten sembra far sue le teorie espressioniste, dai Fauves fino a Kandinsky (e aggiungerei a Klee), che considerano i colori in diretta relazione con gli stati della psiche.
Con il colore, Mélanie Rutten applica il medesimo principio, e apparentemente anche la stessa palette. Non importa quanto consapevolmente ciò accada.
Questo valore allusivo coinvolge anche la forma. Una per tutte, si guardi la tavola finale che raffigura un vero a proprio abbraccio fatto di alberi e foglie.
 

Il secondo elemento che colpisce è la mise en page. Per quegli anni rappresenta abbastanza una novità la scansione in piccoli bozzetti, anche sei per pagina, che si alternano a figure scontornate e libere sul bianco del foglio, a tavole a piena pagina o addirittura a doppia pagina (solo due). Si allungano o si arrotondano a seconda dell'esigenza narrativa. Tuttavia, nel 2013, è un terreno di esplorazione che la Rutten sta già percorrendo da qualche anno, forse sulla scia di Kitty Crowther, la sua maestra, che nel 1998 già lo utilizzava in Il mio amico Jim, di recente ripubblicato e ritradotto con Marameo.
L'architettura del racconto è l'altro elemento di valore (che per esempio alcuni importanti critici americani non dimostrano di aver apprezzato appieno). Mélanie Rutten crea un fuoco nella narrazione che è rappresentato dal rapporto tra il Cervo e il Coniglio. E da lì parte. Quindi lo abbandona temporaneamente per concentrarsi sugli altri personaggi. Il lettore segue Coniglio nei suoi nuovi incontri, e solo dopo può tornare a seguire Cervo nelle sue riflessioni malinconiche che esplicita nell'incontro con Libro. Solo al quinto racconto, chi legge ha un quadro un po' più chiaro di cosa sia successo tra i due. Per ancora un bel po' di pagine i racconti si concentrano sulle dinamiche di relazione che legano Coniglio e gli altri; li si può seguire nel loro percorso avventuroso. 
 

E solo a tre o quattro pagine dalla fine il quadro appare nella sua completezza.
A ben guardare i disegni, però, molti elementi ritornano e diventano essi stessi chiavi di interpretazione, ben più che i silenzi delle parole. Una per tutti: la macchinina rossa.
Tutta questa complessità ha eccitato il pubblico europeo, meno quello americano... Peggio per loro.
Penultimo elemento da notare la grazia dei personaggi, autentiche rapresentazioni del nostro sentire, del nostro agire da umani.
Ed ecco che si arriva alla questione di fondo, ovvero il tema trattato. E qui però il libro, a mio avviso, dimostra tutti i suoi anni. O per meglio dire, volendolo guardare con gli occhi e la testa nel 2021, dimostra certe ingenuità che nel 2013 forse non lo erano neanche. Forse.
Cerchiamo di distinguere. La questione che preme alla Rutten, stando a sue proprie dichiarazioni, è quella di raccontare le difficoltà che comporta la crescita; passare dall'esser Coniglietto al diventare Coniglio.
Difficoltà di chi è piccolo e vuole diventare grande e difficoltà speculari di chi è grande e non vorrebbe lasciare andare anzitempo i piccoli di cui si prende cura. 
 

Sebbene lei stessa dica che i personaggi, da indefiniti a un certo punto dimostrano di essere in grado di alzarsi e di cominciare ad andare da soli, in questo caso si sono messi in piedi un minuto dopo che lei aveva deciso a tavolino un tema da affrontare. Ovverosia loro nascono in qualche misura al servizio della storia e della tesi che si vuole dimostrare. E non viceversa. E questo non giova loro e neanche alla storia. Impercettibilmente, e forse magari solo a un lettore smaliziato da anni di letture, si avverte un'ombra didascalica, se non altro nella dimostrazione del teorema di partenza. La stessa sensazione la si percepisce nell'utilizzo che fa la Rutten dei simboli. Troppo simbolici, verrebbe da dire: l'uovo, il vulcano, il Libro stesso. Prevedibile la sorpresa che si ha nel momento in cui il soldato si toglie l'elmo... ma forse nel 2013 aveva una forza dirompente differente.
Felicissima invece è la costruzione dei personaggi, quando dimenticano di dover dimostrare qualcosa e sono personificazioni di bambini veri. Quella sì che, a distanza di anni, non mette neanche una ruga. Le loro domande, le loro risposte, le loro canzoni sono ancora oggi terra fertile, in pieno sole.
In questo senso, vale davvero tutto il libro, il brevissimo scambio di Coniglio con Soldato, dopo una notte passata sotto le stelle:
"Non dirò niente. Del segreto della tua borsa""Grazie" risponde Soldato.
Lì, applausi a scena aperta.


Carla
 
Noterella al margine. Come di consueto, Mélanie Rutten non lascia andare i suoi personaggi più amati. E così ben altri due libri sono la prosecuzione di questo.

ECCEZION FATTA!

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COMUNQUE, CI SONO


Le violette, che giù hanno la e chiusa mentre su hanno quella e aperta, crescono dove hanno modo di farlo.
E si chiamano anche mammole... che sia su che giù, si dice uguale.
Potete trovarle brade o a ciuffi nei giardini, oppure - come sono quelle che incontro io tornando a casa, crescono, fitte fitte, in un triangolino strappato all'asfalto proprio a sinistra del mio portone. Sono lì, ordinate, non sconfinano mai oltre la recinzione dell'aiuola. Un po' come se avessero un forte senso della disciplina, ma anche proprio un gran piacere di stare assieme.
Fioriscono quando si sentono pronte. Bum, tutte insieme: viola.
E poi più nulla, solo una distesa di foglie belle verdi, con sempre qualcuna nascosta che si attarda.
E tu che le conosci sai che è solo una questione di tempo. Aspettare in silenzio, ogni tanto una sbirciatina, ma con lo sguardo tranquillo perché loro, comunque, ci sono. Le violette sono una sicurezza.


Valentina Pellizzoni ha scritto di violette: del loro colore viola e delle loro abitudini e delle loro abilità di muoversi lungo le gallerie delle talpe. Ne ha scritto perché le stanno molto simpatiche e ne sa un sacco su di loro (secondo me, sa anche parecchio delle talpe e di qualche toporagno). Anche Valentina, infatti, sa che a loro piace stare in gruppo, e che quando se ne trova una lontana dalle altre dipende dal fatto che ha giocato a soglioletta e ha perso. Soglioletta, con la e larga larga, è un gioco che sembra nascondino, ma a rovescio. A nascondersi è una e tutte le altre la cercano per poi nascondersi con lei. Valentina dice che è una roba da violette e da bambini. Anche di bambini Valentina ne sa tanto. 
 

 
Tutto, o quasi tutto, quello che sa delle violette, lo ha scritto su delle pagine di carta e poi è arrivata Silvia Molteni e ha fatto le figure intorno. A vedere come le ha disegnate, mi pare che anche a Silvia siano simpatiche le violette. A dire il vero a lei piacciono tanto anche i boschi, i prati, gli alberi, i fiori, le foglie, e anche le radici. E tutti quei piccoli animali che gironzolano là intorno. Infatti nelle figure ci ha messo anche due talpe, una libellula, una farfalla, una lumaca e un'ape. E un gatto nero dal pelo lungo, che chiameremo Nino.
 

Il libro è piccolo e sottile - sta comodo in una tasca - e non c'era spazio per altri animali e poi, comunque, questa è la storia delle violette.


Valentina Pellizzoni scrive spesso cose carine. E di solito è un piacere leggere i suoi racconti, che sono pezzetti di vita. Pezzi della sua e di coloro che ha o ha avuto intorno. E di solito, dopo il fatto seguono un po' di righe di ragionamento o anche solo una parola che chiude e mette lì il suo pensiero.
Le cose che mi piacciono di queste sue piccole storie, le stesse che riconosco nel Viola delle violette, sono due. Da una parte la voce che le racconta. Un po' come se uscissero sotto forma di suono prima che si segno, nel loro primo concepimento e stesura e, solo dopo, si adattassero a diventare testo. Mantengono quel po' di indisciplina lessicale e grammaticale che ci concediamo nel parlare, che rende il racconto scritto prima di tutto un racconto: qualcosa che se vuole essere, deve passare per il suono e l'oralità.
Il titolo stesso è una bandiera di questo. Suona, prima di tutto.
La seconda cosa viene anch'essa dal profondo. Ed ha a che fare con gli occhi, con lo sguardo. Valentina, forse grazie agli occhiali che porta, vede benissimo. Vede cose anche piccolissime e cose invisibili a chi è distratto. E da questo suo sguardo si fa incidere, segnare il pensiero e anche un po' l'anima. È brava Valentina ad aver cura, sempre, dei dettagli, e a 'ricamarli', metterli insieme in un quadro che non ti può lasciare indifferente. In altre parole, Valentina è capace di guardarsi intorno e di vedere ciò che c'è anche tutto l'altro che ci potrebbe essere. E dovunque tu ti trovi (e credo che tutti coloro che hanno fatto sì che questo libro da tasca esistesse concordino con me), hai la sensazione che lei ti stia prendendo per mano per fartelo vedere anche a te.
Un po' come le violette che Silvia mette sulle scale e che suggeriscono un percorso a quelle due gambe che si affacciano.
 

Devo essere sincera che a me non importa la distanza che ci tiene lontane, lei su io giù, perché dentro lo so che persone così, come la Vale, comunque, ci sono. Un po' come le violette e, come le violette, belle.
E va bene così.


Carla
 
Il viola delle violette, Valentina Pellizzoni, Silvia Molteni, 
Garage edizioni 2021

 

FAMMI UNA DOMANDA!

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UNO SGUARDO SUL MONDO


"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” Il Saggiatore, Galileo Galilei.


Per parlare correttamente dell’’Atlante geo-grafico’ di Regina Giménez, pubblicato da Topipittori, bisogna distinguere il cosa e il come.
L’argomento trattato, il ‘cosa’, concerne la Terra, il suo posto nel Cosmo, e la sua struttura. La trattazione ha le caratteristiche sintetiche degli atlanti, che molto basano sulle immagini, qui con le caratteristiche dell’info-grafica. Il libro appartiene alla collana PiNO di divulgazione scientifica, nella versione ‘Super’: si tratta di un libro di grande formato, dotato di una novantina di pagine (cucite!).
Ha una suddivisione in capitoli che rispecchia un’impostazione didattica molto logica e coerente: la Terra vista nello spazio, quindi l’Universo, le Galassie, il Sistema Solare, il Sole e il nostro pianeta. E poi come è fatta, la Terra, dagli strati dell’atmosfera agli strati del pianeta, alle placche e i terremoti e i vulcani, i continenti e gli oceani, le vette più alte e gli abissi più profondi.
 

Acqua salata e acqua dolce, climi e ambienti, per finire, inevitabilmente, con l’impatto umano sugli equilibri climatici.
Dunque un’impostazione che potremmo definire anche schematica, molto chiara nella sua logica, che corrisponde perfettamente con il desiderio di ordine di bambine e bambini. Definizioni semplici, senza diluire il loro significato, linguaggio preciso e molto lineare rendono accessibili anche i concetti e i termini più astratti. L’immagine svolge un ruolo fondamentale ed è schematica tanto quanto la frase che la spiega. Un cerchio grande per il sole, uno molto più piccolo per la Terra; linee, grafici, relazioni fra grandezze rese in scala, in modo immediatamente comprensibile.
Ed eccoci arrivati al ‘come’: Regina Giménezè un’artista affermata, con uno stile pittorico molto definito, che si sposa perfettamente con le necessità esplicative di un libro di divulgazione.
 

Il suo universo è geometrico, richiama alcune opere di Kandinskij, laddove il gioco dei cerchi di diverse dimensioni costruisce lo spazio. Qui propone le sue immagini con le necessarie imperfezioni, i tratti a matita che traspaiono, senza mai perdere in precisione. Si potrebbe a lungo filosofare sul rapporto fra arte e scienza, rapporto sempre vitale e che qui trova una bella esternazione. Ma quello che è più importante, qui, è che questo linguaggio, che risponde alle necessità di equilibrio di forme e di colori, è perfettamente funzionale alla missione che si è data: spiegare l’Universo ai bambini, per quel poco che ne sappiamo. Realizzando un piccolo miracolo: essere perfettamente fruibile dai bambini, anche alle prime armi nell’affrontare il Cosmo, ma, nello stesso tempo, essere un’apprezzabile prova d’artista.
E questo è quello che succede con i libri ben fatti, ben pensati, ben progettati, ben realizzati.
Complimenti all’autrice e all’editore per un’opera che lascerà il segno.
Lettura consigliata, molto caldamente, per bambine e bambini dai sei ai novantanove anni.
 
Eleonora


“Atlante geo-grafico”, R. Giménez, Topipittori 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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AMARE IL MARE
 
Il fato di Fausto. Una favola dipinta, Oliver Jeffers
Zoolibri 2021


ILLUSTRATI
 
"C'era una volta un uomo convinto di possedere ogni cosa e per questo deciso a fare la conta dei suoi averi.
'Tu sei mio', disse Fausto al fiore. 'Sì,' disse il fiore, 'Io sono tuo'.
Contento, Fausto andò oltre.
'Tu sei mia' disse alla pecora. 'Sì,' disse la pecora, 'Credo di sì'.
Sentendosi soddisfatto, Fausto andò oltre."

Incontrò un albero a cui dichiarò ancora una volta 'tu sei mio' e l'albero inchinò i suoi rami in segno di sottomissione. Poi si considerò proprietario di un campo, di una foresta e di un lago. E persino di una montagna che, da parte sua, tentò di opporsi, ma quando vide la rabbia e i pugni stretti di Fausto, cedette anche lei. A questo punto il potere di Fausto era ai suoi stessi occhi enorme, tanto da fargli pensare che anche il mare dovesse sottomettersi al suo dominio. Ma il mare tacque e, solo dopo molti strepiti di Fausto, rispose con la calma propria di un mare calmo che senza amore e comprensione non si possiede nulla. Fausto cercò di sostenere, mentendo, che il suo amore e la sua comprensione per il mare erano enormi, ma non smise di pestare i piedi o di stringere i pugni. Ma è davvero possibile pestare i piedi sulla superficie dell'acqua?


Oliver Jeffers in una delle sue maggiori eccellenze.
Su una fitta rete di riferimenti costruisce una storia che assume all'istante il carattere archetipico della favola e inizia come una fiaba. La favola d'altronde ha il merito, nonché il compito, di parlare una lingua universale e di farlo con poche ma esatte parole. Non sono forse questi alcuni degli elementi utili, ovvero necessari, per creare un albo illustrato? Brevità, chiarezza e senso?
E questo è un fatto.
 

I riferimenti, che i lettori più piccoli non hanno neanche bisogno di cogliere, sono invece fondamentali per tutti coloro che apprezzano e studiano questo autore, riconoscendogli un talento fuori dal comune e un pensiero di spessore.
Il primo riferimento spunta già nel titolo: quel Fausto non sembra lì a caso, ma parrebbe un riferimento a un Fausto altrettanto letterario che, come questo, ha dimostrato di non aver saputo porre limite alla propria bramosia.
Il secondo riferimento - decisamente il più importante - è nella dedica iniziale cui fa da specchio il breve racconto, una poesia in verità, di Kurt Vonnegut scritta un paio d'anni prima di morire e dedicata alla memoria di Joe Heller e alla sua saggezza nel definire la vera ricchezza e, in qualche modo, la felicità che ne deriva.
Il terzo riferimento, meno lampante ma altrettanto forte, è in quell'albero e in ricorda tanto l'albero di Silverstein, il giving tree, anche quello, come quello di Jeffers inchinato alla volontà dell'uomo, fino all'atto di annientarsi del tutto, per amore. Il fiore, rosa, e la pecora scettica richiamano inevitabilmente la rosa e la pecora conosciute nei discorsi del Piccolo Principe, anche in quel caso si stava parlando d'amore. Saint-Exupéry, come anche la tradizione fiabesca russa o dei Grimm, peraltro, sembra attraversare l'intera questione che pone il libro, a proposito di non riuscire a mettere freno al desiderio di possedere qualsiasi cosa (il re che vuole il sole e l'uomo d'affari che pretende le stelle o la moglie del pescatore con il pesciolino d'oro).
Tutto questo attraversare grandi storie scritte da altri ha il merito di rendere ancora più archetipico e profondo l'apologo di Jeffers.
La questione che il libro solleva è, a dir poco, enorme. Eppure con la semplicità cui ci ha abituato, anche in questo caso, attraverso poche ma precise e adatte parole, Jeffers ci porta in cima. Ognuno avrà modo di vedere lontano.
"Il mare fu triste per lui, ma continuò a essere mare."
E il fiore, a essere fiore.
 
 
Non si può non notare che il valore di ammonimento morale che lo stesso Jeffers vuole imprimere all'intero racconto è costruito in modo del tutto originale. Il fatto che a me pare straordinario è che lo raggiunga attraverso una serie di soluzioni che non sono speculative, ma, al contrario, soprattutto formali: per esempio il vuoto in cui fa muovere Fausto, l'evidenza e la potenza dell'esiguo testo, che sembra scritto 'a mano' a grandi lettere, anch'esso con quelle imperfezioni tipiche della stampa litografica. Sembra davvero inciso nella pietra. E lascio dedurre agli altri il senso di questa scelta. 
 

A questo si aggiunge una scansione delle pagine che è un fuoco d'artificio di invenzione, un vero jonglage fatto con i pieni e vuoti che si alternano sui fogli: pagine bianche a simboleggiare la pesantezza del silenzio e dello sconcerto e pagine piene di blu del mare a simboleggiare la distensione e la sicurezza di chi sa di possedere la vera forza; giri di pagina sfruttati al massimo, per creare la giusta attesa del lettore che ascolta e vede; un disegno che è nel contempo simbolo e concretezza: laddove vediamo una rosa, una montagna e un lago messi in sequenza verticale, al centro del foglio oppure una gamba residua di Fausto che esce di pagina, nell'atto di abbandonare la scena, oppure, poco più di un dito inquisitore che spunta da destra a intimidire la pecora a sinistra. E come se già questo non fosse sufficiente, Jeffers dà il meglio di sé nell'espressività potentissima del viso e dei gesti del collerico e insaziabile Fausto: piccoli scarti delle gambe, pugni all'aria, occhi fuori dalle orbite. Un vero catalogo che ogni illustratore dovrebbe studiare come uno studente di medicina in una lezione di anatomia all'università.
 

Un ulteriore contributo alla potenza del messaggio che esso contiene lo dà il colore. In questo la serigrafia ha fatto la sua parte. Grossomodo per metà del libro sono solo il marrone e il rosa a dominare la pagina. Poi, in corrispondenza della svolta che prende la storia, si contaminano con gli altri due colori che predominano nella seconda parte: i due primari, il giallo e il blu.
 
Che a questo libro Jeffers ci abbia tenuto in modo particolare, lo testimonia il processo creativo. A parte i risguardi marmorizzati di Jemma Lewis, tutte le tavole sono state realizzate con la tecnica della litografia tradizionale, nella stamperia parigina di Idem Press che ha sede a Montparnasse e dove, per i cultori, sono acquistabili a 600 euro l'una.


Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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ANCORA SUL PRIMA E SUL DOPO


Dopo l’eccellente rappresentazione del tempo data da Anne-Margot Ramstein e Matthias Aregui in‘Prima Dopo’, lo stesso editore, L’Ippocampo, propone un illustrato di Bernadette Gervais: ‘In 4 tempi’.
Qui, infatti, la sequenza temporale è scandita dai quattro riquadri che riempiono la pagina di destra, mentre in quella di sinistra il ritmo è esplicitato dai quattro punti in cui si sviluppa l’azione.
In questo modo 1. un bocciolo 2. si schiude, 3. cadono i sepali e 4. il papavero sboccia.
 

Fosse tutto così, sarebbe probabilmente un lavoro apprezzabile soprattutto dal punto di vista formale. In realtà l’autrice si diverte, e molto, a costruire delle piccole storie: un’anatra che passa da sola, poi, nella sequenza successiva, passa insieme ad un’altra e infine, nella terza sequenza, i due passano seguiti dagli anatroccoli.
Altre volte, le tavole collegate fra loro, con lo stesso soggetto, che non sono mai collocate consecutivamente, ripetono un’azione che appare sempre uguale: la chiocciola che parte e poi passa, sempre lentissimamente.
 

Talvolta viene descritta, sempre in quattro tempi, un’azione velocissima: la lepre che corre o il riccio che, spaventato, si appallottola; altre volte si seguono i cambiamenti indotti dal passare del tempo: la fioritura di un bocciolo o una pera che prima matura e poi marcisce.
Ma tutte queste sequenze sono comunque espressione del passare del tempo, un tempo lineare, talvolta accelerato, altre volte rallentato dall’azione di soggetti lentissimi. Un tempo ritmato e razionalizzato nella scansione in quattro parti, comunque orientato dal passato al presente.
Il lettore e la lettrice più piccoli si divertiranno un mondo a ricostruire le storie, così come le ha pensate l’autrice : quanto tempo, o meglio quante pagine impiega la lumaca per arrivare da un lato all’altro del foglio? E il gatto ad andare e tornare?
 

Ma credo ci si possa divertire moltissimo anche a inventarsele le storie, su questo schema ritmico e semplice.
Meno astratto di ‘Prima Dopo’, questo è un albo godibilissimo a tutte le età: formalmente ineccepibile, coi rigorosi fondi neri della pagina a sinistra e con la geometrica leggibilità delle immagini di destra; la scansione in quattro tempi invita alla ricerca della differenza del dettaglio, qualche volta macroscopico, altre volte no, che denota il passaggio di stato. I più piccoli potranno interpretare al meglio l’aspetto giocoso, i più grandi potranno perdersi in intriganti riflessioni sul tempo, sulla sua soggettività e sullo scorrere ineluttabile dal prima al dopo. Sul tempo si potrebbero dire molte altre cose e lo si potrebbe descrivere in modi diversi, per esempio supponendone la ciclicità; ma questo mi sembra un ottimo, razionalissimo, inizio.
Lettura consigliata a lettrici e lettori dai cinque anni in poi.
 
Eleonora
 
“In 4 tempi”, B. Gervais, L’Ippocampo edizioni 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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REFOLO A TRIESTE
 
Un pinguino a Trieste, Chiara Carminati
Bompiani 2021


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
 
"L'Europaè salpata. Mi sono sentito tremare lo stomaco, ma questa volta non per colpa del mal di mare. Stranamente la mia anguilla sembrava addormentata, forse proprio perché, grazie alla sua stazza, la nave era molto più stabile rispetto alle piccole barche dei pescatori. Ma intuivo che con la nave salpava anche la mia vita, verso una destinazione sconosciuta. Per la prima volta avevo preso una decisione tutta mia."
 
È il 1953, è marzo. Refolo, all'anagrafe Nicolò D'Este di quindici anni, si è appena imbarcato come piccolo di camera sulla grande motonave Europa, diretta a Città del Capo. Nonostante il fatto che soffra il mal di mare, quel ragazzino ha un motivo improrogabile per imbarcarsi. Quel motivo lo ha appena fatto scappare di casa, quella dove abita con lo zio - che lo ha accolto l'anno prima, in fuga da Lussino dove era nato e dove viveva con i nonni - e Irma, una giovane sarta, che affitta una cameretta sopra l'osteria dello zio.
Sebbene con lo zio Franco e con Irma, Nicolò nella sua nuova vita triestina, abbia ricostruito una parvenza di piccolo nucleo di affetti, tuttavia non ha smesso di credere che suo padre, mai tornato dalla sua prigionia in Africa, sia vivo da qualche parte. Complice un vecchio ritaglio di giornale riemerso da una scatola rossa nascosta dietro l'armadio dello zio, Nicolò adesso ha la certezza che suo padre sia tra i pochissimi superstiti del Nova Scotia, affondato nel 1942 da un sommergibile tedesco davanti alla costa di Durban, in Sudafrica.
Suo padre è vivo e lui parte per cercarlo.
Questa è la storia del viaggio di Nicolò imbarcato come tuttofare su una nave che fa la spola tra Trieste e Città del Capo, ma è anche quella della passeggera Susanna, una ragazzina dai grandi occhi verdi, ma è anche la storia del passeggero Marco, giovane pinguino clandestino.


Quando c'è da raccontare belle storie 'friulane', la cosa migliore che si può fare è chiamare Chiara Carminati e affidarle a lei. 
Oppure sperare che sia lei a volerle scrivere.
Non si può dimenticare Fuori fuocodel 2014, in cui raccontava la prima guerra mondiale attraverso lo sguardo delle donne rimaste a casa ad aspettare. Quella era una storia tutta di 'terra'.
Questa invece è una storia tutta di 'acqua'.
Trieste negli anni Cinquanta è lo scenario, ma la storia parte dall'isola contesa di Lussino dove una coppia di vecchi, con l'arrivo dei titini, affida il nipote - orfano di madre - a una delle tante famiglie di italiani che tentano la fuga in barca. I nonni vogliono che arrivi sano a salvo a Trieste dove ad aspettarlo c'è lo zio Franco, oste dal grande e malandato cuore, che lo accoglie come un figlio.
Questo è l'innesco, basato su una precisa circostanza storica, per un racconto di invenzione che si costruisce in un intreccio complesso di molti altri frammenti di vita vissuta, ovvero di storie vere.
Di almeno tre, Lussino a parte, ne esiste ampia documentazione.
La grande nave Europa, del Loyd Triestino, che dal 1951 faceva servizio celere verso Città del Capo, una volta al mese, in tandem con la sua corrispondente, Africa.
La nave inglese Nova Scotia che il 28 novembre 1942 mentre trasportava prigionieri di guerra, fu affondata da un sottomarino tedesco. E dei suoi pochi superstiti.
Il pinguino Marco 'rapito' per gioco da giovani membri dell'equipaggio dell'Europa e poi, preso in carico dal nostromo Barrera che se ne prese cura per poi affidarlo felicemente all'Acquario della città di Trieste dove visse, atteggiandosi spesso come un umano (applauso per l'allusiva copertina), fino al 1985.
Come molte delle cose triestine, anche questa storia è attraversata da un vento, ovvero si caratterizza per i continui cambiamenti di scenario, come di solito succede quando a soffiare è un vento bello teso. Si parte dalla piccola Lussino occupata dai soldati di Tito, poi si passa alla Trieste neutrale piena di soldati americani, poi si salpa verso il Sud Africa e si attraversa il Mediterraneo, poi si arriva nei quartieri multietnici di Città del Capo. E con la stessa naturalezza, veniamo condotti tra la gente semplice che bazzica le osterie e le pescherie di Trieste, ma anche tra le persone ricche che passano l'Equatore in una cabina di prima classe in un viaggio di piacere, con l'unico obiettivo di alloggiare nei grandi alberghi delle metropoli sudafricane e lì visitare caffè alla moda.
Non tutti sarebbero stati capaci di costruire con la necessaria chiarezza e naturalezza una storia così articolata. Non tutti sarebbero stati capaci di tenere i lettori per metà libro sulle spine seguendo il viaggio di andata di un ragazzino, e per l'altra metà altrettanto in trepidazione per il viaggio di ritorno di un pinguino. Non tutti sarebbero stati capaci di costruire una vera famiglia con uno zio, un nipote orfano e una giovane e bella pensionante. Non tutti sarebbero stati capaci di scrivere le venti pagine centrali del libro - di cui nulla va detto qui - con tanta potenza emotiva e nel contempo con tanta coerenza narrativa. Non tutti sarebbero stati capaci di riempire il racconto, a ogni possibile occasione di vere e proprie visioni: a partire da cose come per esempio
"i suoi occhi mi correvano sul viso come mosche confuse".
Oppure
"I suoi capelli avevano un colore che sembrava un sapore,
come fossero fatti di cannella"
Non tutti sarebbero stati capaci di regalare al lettore dei piccoli 'camei' di prosa poetica, a partire dal contenuto del tascapane - di cui nulla va detto qui - di quel ragazzino.
Non tutti, ma lei sì.


Carla


Noterella al margine. Quando lessi Fuori fuocoricordo che pensai che fosse nato da un desiderio di Chiara Carminati di raccontare una storia, magari di famiglia, invece appresi che era stata Beatrice Masini a proporle, a grandi linee, il soggetto. Così anche questa volta, non riesco a non pensare che la scintilla originaria sia stata della Masini. Va da sé che questo non scalfisce minimamente il valore di questa storia e di chi l'ha scritta.

FAMMI UNA DOMANDA!

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IMPERATIVI CATEGORICI


Alba Sala, in arte Maestra Alba, è un’insegnante di scuola primaria che negli ultimi anni si è dedicata in particolare all’insegnamento della filosofia; da questa esperienza è nata la collana Piccoli Filosofi, pubblicata dall’editore Sonda.
E’ stato da poco pubblicato il terzo volumetto, dedicato a ‘Quel criticone di Kant’, con le stesse caratteristiche dei precedenti: un testo molto snello, intercalato da giochi e attività che prendono spunto dal testo, il font ad alta leggibilità, un linguaggio molto semplice, adatto a lettrici e lettori fra la quarta e la quinta elementare. C’è, ovviamente un largo spazio preso dalle illustrazioni, a cura di Valeria De Caterini, che esplicitano alcune parti del testo o propongono i giochi ad esso collegati.
Buona parte del testo è occupato, come è comprensibile, dalla biografia del filosofo tedesco, anche se in poche pagine l’autrice riesce a dar conto per sommi capi del suo pensiero e, cosa ancor più importante, riesce a renderne la modernità.
Quando si sceglie la strada di raccontare la storia del pensiero, o la storia dell’arte, attraverso le singole personalità, inevitabilmente si sconta il fatto di non poter fare troppi riferimenti al contesto, ai dibattiti presenti in quel momento, alle idee in conflitto fra loro. Ne viene fuori una fotografia, una sorta di fermo-immagine che ritrae il filosofo nella sua originalità, ma non nelle sue connessioni con altri filosofi e, soprattutto, con i dibattiti scientifici dell’epoca.
La descrizione che la Maestra Alba propone di Kant, nell’essere divertente e piena di curiosità, racconta bene un’epoca, uno stile di vita, racconta con ironia l’infanzia, gli studi, la vita familiare, le piccole manie e le ossessioni.
Se la parte più strettamente teorica non può che risultare un po’ ostica, nonostante tutte le semplificazioni del caso, mi sembra decisamente più riuscita la spiegazione del legame che c’è fra la filosofia kantiana e la Rivoluzione Francese, con quei principi di diritti universali e di sovranità popolare che ancora sono alla base delle democrazie occidentali.
Lo sforzo di raccontare ai bambini e alle bambine il pensiero filosofico è encomiabile, soprattutto nel renderlo fruibile anche dagli alunni delle elementari. Resto tuttavia perplessa dall’uso così esteso delle biografie per introdurre concetti e ragionamenti che, avulsi dal contesto in cui sono nati, possono risultare astratti.
Quali sono le domande che sostengono le opere di Kant, qui accennate sono soprattutto la ‘Critica della Ragion pura’, ‘La Critica della Ragion Pratica’ e la ‘Critica del giudizio’? Soprattutto quali risposte parevano insufficienti al loro autore? Perché è così importante la scienza newtoniana?
Non si può capire Kant se non si conosce almeno un po’ quella che viene chiamata Rivoluzione Scientifica, che da Copernico arriva ai giorni nostri e che ha radicalmente trasformato il nostro modo di vedere il mondo e il nostro posto in esso.
Si può raccontare tutto questo ai bambini? Penso proprio di sì, con la dovuta sintesi e il necessario linguaggio, proprio per stimolare quella propensione alle domande che per fortuna abbonda nella testa di bambine e bambini.
In conclusione, vedo questa collana più come valido ausilio didattico, in un contesto narrativo più ampio, che come strumento di lettura autonoma. Ne consiglio l’uso, quindi, a maestre e maestri coraggiosi che non temano di confrontarsi con i quesiti filosofici.
 
Eleonora
 
“Quel criticone di Kant”, Maestra Alba, Sonda 2021





LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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IL COLORE EMOTIVO
 
Il germoglio che non voleva crescere, Britta Teckentrup
(trad. Sante Bandirali)
Uovonero Edizioni 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)
 
"Formica aveva ragione. Ben presto il seme mise delle piccole radici e cominciarono ad apparire delle foglioline verdi.
La sua vita stava cominciando.
Sembrava molto delicato e fragile.
Formica e Coccinella se ne innamorarono immediatamente."

Quel seme aveva impiegato più tempo degli altri a germogliare e quindi quando comincia a crescere le foglie degli altri gli fanno ombra. Così diventa per lui necessario mettersi in cammino verso il sole. Tutti gli animali del prato, da piccoli a grandi, lo sostengono e lo aiutano come possono. Formica e Coccinella sono davvero orgogliose di come da piccolo germoglio diventi una pianta sempre più robusta e determinata che attraversa l'ombra in cerca del sole. Finalmente quando anche la piccola piantina riesce a sentirne il calore sulle foglie si si rende finalmente conto che quello è il suo posto sulla terra.

Felice, diventa ogni giorno qualcos'altro: una bella pianta che produce boccioli che poi diventano fiori, si riempie di bellissime foglie e durante l'estate è casa per molti animali. Quegli stessi che lo avevano sostenuto quando era piccolo germoglio. Loro non la dimenticheranno neanche quando l'autunno le dora le foglie e il vento la fa ondeggiare e le porta via i semi, verso il loro proprio destino. E' in arrivo l'inverno e con lui il silenzio e il freddo della neve che tutto copre, anche la pianta. Piccolo topo con gli altri amici animali esprimono il desiderio di ritrovarla alla primavera successiva. Accadrà? 
 
Il colore in un libro un po' come la musica in un film: guida emotivamente. E' dalla metà dell'Ottocento che lo si dimostra nell'arte.
Lo stesso si può dire della luce.
 

Britta Teckentrup lo sa e nei suoi libri se ne serve spesso e volentieri.
Su un testo esile che racconta il percorso faticoso di un seme, più lento di altri, verso il suo diventare pianta, l'elemento che colpisce è l'impatto forte che proprio il colore e la luce - molto più che parole, disegno o composizione - hanno anche a livello narrativo. 
 

Un bambino, anche nel silenzio delle parole, sarebbe in grado di leggere la luce e sentire il suono dello scorrere delle stagioni, il passaggio dall'ombra attutita di un sottobosco, alla luce piena di un prato illuminato dal sole e brulicante di piccoli suoni emessi dalla miriade di animaletti che ronzano. Nei toni caldi del marrone coglie invece l'autunno e nei toni freddi dell'azzurro e del grigio percepisce le intemperie in arrivo: il suono della pioggia, il soffio del vento teso e infine la neve che porta il silenzio, attutendo i suoni, fino al silenzio, e le forme coprendole. 
 

In questo senso, i libri di Britta Teckentrup possono essere considerati, nella maggioranza dei casi, come esperienze estetiche dello sguardo: una sorta di percorso verso il riconoscimento e apprezzamento della bellezza.
Il suo metodo compositivo, non dissimile da quello che ha utilizzato Eric Carle anche se con risultati ben diversi già negli anni Sessanta, si basa sulla realizzazione di veri e propri pattern di colore, quindi ritagliati e ricomposti, e qui sta la differenza con Carle, per poi essere rielaborati al computer. Circostanza che le permette di sovrapporli, una volta passati allo scanner e rielaborati, su un unico livello in modo da ottenere quel particolare affetto 'nebbioso' che rappresenta una sorta di sua firma.
Si riconferma la sua predilezione per la creazione di scenari in ombra, ombra che qui più che altrove vediamo in dialogo con il suo opposto, la luce.
 

Entrambe protagoniste assolute, questa volta dichiaratamente, anche nella costruzione narrativa.
Dei colori 'emotivi' la prima cosa che l'occhio percepisce è la sagoma e, solo in un secondo momento, l'occhio va a indagare il dettaglio che è sempre molto puntuale: le farfalle.
E in un terzo momento ascolta le parole che raccontano di un ciclo naturale e nel contempo di una difficoltà superata, grazie a una squadra di supporto.
E a proposito di questo, accanto all'indubitabile valore estetico che ti colpisce all'istante, forse val la pena fermarsi a guardare anche il senso ultimo di questo racconto. La tenacia per uscire dall'ombra e trovare il proprio posto al sole è una questione, ma il farlo in ritardo, con un ritmo diverso da quello comune è una questione ulteriore da mettere in circolo. Ma ancora, per farlo occorre l'impegno e il sostegno di tanti. Diventare grandi è un percorso personale sul quale però ha importanza anche il contributo degli altri. E dimostrare riconoscenza per questo è ancora un tema. 
 

E ultima ma non ultima forse è possibile fare anche una riflessione su come la Natura abbia leggi severe, ma nel contempo abbia in sé una potenza enorme che è all'origine della vita (vita che se è anche protetta con cura diventa più facile) e alla sua lotta per morire quando è il tempo giusto per farlo.
 
Carla

 

IL BANE

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Si tratta di una contaminazione tra due ricette: la prima è la matassa con la sua farcitura di noci e uvetta, di cui si è parlato nelle settimane scorse, e la seconda è la ricetta del pane alla banana, che si avvale di nuovo un video in assoluto silenzio e con un'estetica apprezabile per minimalismo. Il Banana bread loaf non deve essere confuso con il Banana bread che di fatto è un plum cake dolce.
Il pane alla banana cui mi ispiro viene anch'esso, come la matassa, dall'estremo Oriente, ovvero Corea e la sua caratteristica principale, che lo distingue in tutto è per tutto dal banana bread, consiste nel fatto che può essere mangiato come pane e essere accompagnato da cibi salati, senza perdere la propria dignità di pane. Qualcosa di simile al tanto amato pan brioche che alle feste dei bambini, finisce dopo un amen.
È buonissimo con i salumi, con la maionese e il formaggio, con i pomodori secchi sottolio. Una unica accortezza, il suo companatico non deve essere troppo magro, ovvero sta meglio con l'asiago che non con la ricotta, sta meglio con il salame e il prosciutto che non con la bresaola.
Va da sé che si accompagna altrettanto, ma con meno stupore del palato, con il dolce e quindi anche con la sua cugina marmellata di banane e arance caramellate e zenzero.
Tutto chiaro?


Ingredienti
350 gr farina 0
8 gr di lievito secco per salati
1 cucchiaino di sale
30 gr di zucchero
1 banana (100 gr circa)
100 ml di latte
1 uovo
40 gr di burro freddo a dadi


In una terrina mescolate tutti gli ingredienti in polvere quindi aggiungete l'uovo che avrete sbattuto precedentemente con il latte e quindi aggiungete la banana ridotta in poltiglia. A questo punto lavorate l'impasto per dei minuti (se avete la planetaria fatela lavorare al posto vostro per 2 o 3 minuti) fino ad ottenere un composto uniforme. Ora aggiungete poco per volta i dadi di burro freddo e continuate a mescolare fino a che non si amalgama tutto e si ottiene una palla che lascerete lievitare al calduccio per almeno due ore. Deve crescere molto, più del doppio del suo volume. A questo punto con un pugno la sgonfiate, la staccate con cura dalla ciotola che la conteneva e la disponete su un piano infarinato. La suddividete in 5 parti uguali, che lavorerete per ottenere panetti rotondi. Lasciateli riposare per 5 minuti quindi imburrate una teglia a cerniera da 20 cm. d diametro, mettete sul fondo un cerchio di carta forno, imburrato anch'esso e accendete il forno a 180°.


Riprendete le palline di impasto e stendetele con un matterello piccolo e ottenete delle ellissi, la cui metà andrà incisa con il coppapasta a listelle parallele, come abbiamo fatto per la matassa. Riarrotolate partendo dal basso le ellissi e disponetele, una dopo l'altra, lungo i bordi della teglia. Fate lievitare ancora per un'oretta e poi infornate e fate cuocere per 25/30 minuti, fino a che non è dorata la superficie. Toglietela dal forno e spennellate la parte superiore con del burro per lucidarla.
Ecco, è tutto. Enjoy!

Carla


 

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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STRANIERO


‘Stranger’ di Keren David, pubblicato recentemente da Giunti, è un romanzo a due voci, appartenenti alla stessa famiglia, separate da novant’anni: una è Emmy, la cui voce sentiamo dal lontano 1904 e l’altra è Megan, sua bis-nipote, nel 1994.
Se ci sono due piani temporali, che si alternano nelle pagine del romanzo, il luogo è lo stesso: la cittadina canadese di Astor, in Ontario. Nel 1904 Emmy ha 15 anni, è figlia di una madre single che lavora come medico, guardata con sospetto dalla comunità. Si imbatte, insieme a Sadie, in un giovane sconosciuto, che emerge dalla foresta completamente nudo e ricoperto di sangue; non sembra ricordare nulla, ma è ferito e quindi viene trasportato in ospedale e lì curato. Emmy ne segue la guarigione, riesce a convincere la madre a fargli completare la convalescenza a casa loro. Man mano che il giovane si riprende, Emmy lo istruisce, lo aiuta a trovare un lavoro grazie all’onnipresente signor Mitchell, proprietario del giornale locale in cui anche Emmy lavora. Inevitabile l’amore fra i due giovani, inevitabile la sua impossibilità. Il ritrovamento di una casupola, all’interno della foresta, fa scoprire anche il cadavere di un uomo e questo accende i sospetti sullo straniero che Emmy ha ribattezzato come Tom. Il giovane deve fuggire, cambiare identità e la sua fine è racchiusa in due lettere che provengono dall’Europa, durante la Prima Guerra Mondiale.
Emmy avrà comunque una lunga vita, almeno in apparenza felice, accanto ad Adam Harkness, che la ama da sempre.
Megan, l’altra protagonista, ha diciassette anni nel 1994, quando raggiunge la famiglia, gli Harkness, per un periodo di vacanza, dopo un aborto e la fine della relazione con il fidanzato; raggiunge il padre che sta ristrutturando la casa di famiglia, mentre la madre resta a Londra. I genitori sono divorziati e tutto sembra congiurare contro la felicità della ragazza. Durante il suo soggiorno, in seguito a dei lavori stradali, emergono i resti di una donna, al limitare della foresta. Megan indaga nelle vicende della città all’inizio del secolo. Sarà la morte della bisnonna Emily, o Emmy che dir si voglia, a farla entrare in possesso di alcune cassette, in cui la bisnonna racconta la storia di Tom e la sua. E’ ascoltando la sua voce che Megan riesce a riannodare tutti i fili della storia familiare, con un colpo di scena che in realtà è prevedibile fin dalle prima pagine del romanzo.
Come si vede da quanto detto, questo romanzo è essenzialmente una saga familiare, con molti personaggi, amori contrastati e amori felici, nascite clandestine e storie dai risvolti drammatici e violenti. C’è il mondo ancora quasi pionieristico dell’inizio del Novecento, e la modernità cosmopolita della fine del secolo scorso.
L’intreccio narrativo, che alterna le due voci, di Emmy e di Megan, entrambe narrate in prima persona, tiene; la storia si dipana mostrando le differenze fra il mondo chiuso e gretto della piccola comunità ai suoi albori e il mondo moderno, più libero e più tollerante, almeno in apparenza. Ma mostra anche la continuità nei drammi familiari: amori traditi, clandestini, gravidanze imbarazzanti e figli che ignorano gran parte delle vicende dei genitori.
E’ una lettura che coinvolge lettrici e lettori, al di sopra dei quattordici anni, con una trama che aggiunge una sapiente dose di mistero a una vicenda familiare complessa, dai risvolti drammatici, con un’ambientazione interessante, che richiama i tempi della conquista (e distruzione) dei territori selvaggi, per fare posto a cittadine popolate di centri commerciali.
E’ un buon romanzo, che conferma la qualità dell’indirizzo editoriale dato alla collana Waves, che la Giunti dedica ai lettori e alle lettrici adolescenti.
 
Eleonora


“Stranger”, K. David, giunti 2021



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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PER VIVERE FELICI E CONTENTI
 
Le avventure del topino Despereaux, Kate Di Camillo
(trad. Angela Ragusa)
Il Castoro, 2021


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)
 
"Despereaux starnutì.
Neanche tentò di difendersi. E come avrebbe potuto? tutto quello che gli zii avevano detto era la pura verità. Era ridicolmente piccolo, le sue orecchie erano oscenamente grandi. Era nato con gli occhi aperti. Ed era malaticcio. Tossiva e starnutiva così spesso che doveva portarsi sempre dietro un fazzoletto. Gli veniva la febbre. Sveniva a ogni rumore un po' troppo forte. E, a peggiorare le cose, non mostrava il minimo interesse per tutto quello che dovrebbe attirare un topo."


Il cibo non lo attrae, ma spesso si ferma inclinando la testa di lato per ascoltare un suono che definisce dolce come il miele... Vive nel castello dove un giorno sua madre Antoinette, da Parigi, arrivò nella valigia di un ambasciatore. Appena nato, unico sopravvissuto della nidiata, tutti si accorgono che in lui c'era qualcosa di diverso. Tutti in famiglia, compresi i suoi fratelli e la sorella, Champagne, Furlough e Merlot cercano di metterlo sulla retta via, ma senza esito. Despereaux è un'altra cosa: i libri non li rosicchia, li legge. Degli umani non ha paura, anzi se ne innamora...
Questa è la sua avventurosa e romantica storia che si intreccia con quella della principessa Pri, con quella di Chiaroscuro, un ratto che vive nelle segrete del castello e che invece di amare il buio predilige la luce, e con quella di Braciola Oink, una ragazzina che nessuno vuole e che - a furia di schiaffi - non sente quasi più dalle sue orecchie a cavolfiore.


Kate Di Camillo è uno di quei nomi che non andrebbe dimenticato. Al contrario, tenuto sempre a mente qualora si voglia consigliare letture non proprio elementari a giovani lettori o lettrici in erba. 
Potente narratrice, di solito con lei non ci si annoia.
Una delle cose che le riesce meglio di altre è quello di costruire piccole gallerie di personaggi per poi farli agire e soprattutto interloquire tra loro in modo da creare, quasi naturalmente, una profondità di luogo e tempo in cui l'azione prenda corpo e diventi credibile, anche se spesso e volentieri ha i contorni dell'assurdo.
Qui, per esempio, i personaggi - dai topi alle regine, dalle sguattere ai carcerieri - hanno tutti una loro precisa connotazione che li rende immediatamente 'visibili' e con questo 'credibili', anche se fanno o dicono cose che non sono minimamente possibili. Nel loro modo di parlare, nei loro atteggiamenti, nel loro aspetto diventano all'istante tridimensionali, ovvero vivi, pur nella loro essere meravigliosi. Costruito come un romanzo - diviso in quattro capitoli, tre dei quali dedicati ai protagonisti e un quarto dove tutto converge verso il gran finale - ma con il registro della fiaba, Le avventure del topolino Despereaux ha il pregio di essere nello stesso momento pieno di piccole perle di saggezza - un destino movimentato attende chiunque non si adegui a ciò che gli altri si aspettano da lui - e nel contempo di aspetti che appartengono alla magia, allo stupore: il contesto di un castello da fiaba pieno di luce nei saloni sfavillanti di ricchezza e di buio tetro nelle sue segrete sotterranee, pieno di animali e persone che dialogano e si intendono alla perfezione, di altissimi ideali cavallereschi e di bassissime perfidie.
Su tutto questo si profonde e infiltra, in ogni punto possibile, l'ironia, l'arguzia di cui Kate di Camillo è generosa dispensatrice, soprattutto attraverso le sue trovate linguistiche e i suoi dialoghi al fulmicotone.
Impossibile non essere con il sorriso stampato nel momento in cui ci presenta la puerpera francese alle prese con il suo ennesimo parto. Impossibile non ridere con il campionario di nomi e soprannomi, felicemente tradotti da Angela Ragusa, che qualificano i singoli personaggi: da Roscuro a Ola, passando per Furlough, dai loro vezzi e tic lessicali. Difficile dimenticare la scena madre della regina che muore di crepacuore per un ratto che dal lampadario le finisce nella zuppa. Oppure non sorridere nei goffi tentativi di un topetto di vestire i panni di un cavaliere senza macchia e senza paura. O ancora, trasecolare e nello stesso momento sorridere di fronte alla cattiveria assoluta che hanno fatto di una contadinella sognatrice, una sguattera sordastra.
Insomma un libro che si legge, pagina dopo pagina, senza alcuna possibilità di metterlo giù prima di arrivare all'apoteosi finale.
 
Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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 UNA STORIA D’ESTATE


La storia che racconta Giuseppe Festa in ‘I Lucci della via Lago’, pubblicato da poco da Salani, si svolge tutta in trentatre giorni, all’inizio dell’estate del 1982.
Si svolge a Predore sul Lago d’Iseo, dove il protagonista Mauri vive; ha appena superato gli esami di terza media e si appresta ad affrontare l’ennesima spensierata estate insieme al suo amico Brando e agli altri amici. Ma ci sono momenti, passaggi di vita che scompigliano le carte della consuetudine e impongono scelte difficili e prove da superare.
Fra i passatempi estivi del gruppo di ragazzi e ragazze, denominato ‘I Lucci’, che si riunisce intorno a Mauri c’è sicuramente la pesca: sono tutti ottimi nuotatori ed esperti nelle diverse tecniche di pesca. Brando e Mauri da tempo stanno dando la caccia a Pinna Mozza, un pesce persico gigantesco; così per festeggiare l’inizio delle vacanze, decidono di immergersi per tentare la sorte, cercando di catturarlo. Mauri si immerge per primo e fallisce la prova e poi si immerge Brando. Ma quest’ultimo non riemerge più. Vane le ricerche dei sommozzatori, del corpo di Brando non c’è traccia.
Dopo il primo momento di dolore, la vita nel piccolo borgo riprende lentamente la sua consueta fisionomia. E’ anche l’anno dei Mondiali di calcio, Mauri è un bravo giocatore e insieme agli altri si distrae davanti al televisore.
I ragazzi e le ragazze della banda dei Lucci ne combinano di tutti i colori, passano le giornate, ma anche le notti, fra una scorribanda e l’altra. In paese cominciano a comparire dei biglietti misteriosi, che sembrano scritti proprio da Brando. Mauri si convince che sia ancora vivo, magari intrappolato da qualche parte.
Le nuotate si alternano alle incursioni nella chiesa sconsacrata, o nella villa di una nobildonna, mettendo a rischio la propria incolumità; ma presto il caso metterà fine alle indagini, alle speranze e alle illusioni che Mauri ha comunque coltivato ben oltre il buonsenso.
Diventare grandi, abbandonando il mondo della Gente Bassa, come magistralmente ci ha raccontato Wu Ming 4 in ‘Il Piccolo Regno’, implica lasciare un universo parallelo, dotato di propri usi e costumi, linguaggi, regole del gioco. Diventare grandi è accettare la presa sulla realtà, accantonando sogni e pensiero magico.
E’ quello che fa Mauri, lasciandosi tanto e tanti alle spalle per un concretissimo contratto con una squadra di calcio.
Leggendo questo romanzo, pensato per i ragazzi e le ragazze delle medie, mi è sembrato di cogliere un’adesione inconsueta dell’autore a questa storia; ho sentito forte il profumo della nostalgia, il guardarsi indietro per rivedere, magari trasfigurata, la propria giovinezza. Questo credo sia il maggiore punto di forza: la freschezza delle descrizioni d’ambiente, i giochi, i luoghi, le abitudini scanzonate dei ragazzini liberi dalla scuola. E quell’anno lì, quello del Mondiale vinto dall’Italia di Bearzot, col Presidente Pertini sugli spalti, che in tanti ancora ricordiamo.
Tutto questo sembra molto lontano e credo che così lontano lo senta anche l’autore, con accenti che mi sono sembrati molto personali.
Tutti noi, ormai più che maturi, abbiamo lasciato alle spalle moltissime cose che oggi possiamo solo guardare da lontano; ma questo senso di distacco lo provano anche ragazze e ragazzi di oggi, tutte le volte che devono compiere una scelta e lasciarsi alle spalle qualcosa o qualcuno, un tempo importanti.
In ‘I lucci della via Lago’ c’è tutto questo, ma c’è anche azione, avventura, mistero, descritti con il consueto stile asciutto ed efficace che contraddistingue i romanzi firmati da Festa.
Lettura consigliata a ragazze e ragazzi, a partire dai dodici anni.
 
Eleonora
 
“I Lucci della via Lago”, G. Festa, Salani 2021



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