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OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

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I MAGNIFICI CINQUE
 
The Tunnel, Anthony Browne
Julia Mac Rae Books 1989 (Walker Books 1992)


ILLUSTRATI

"Once upon a time there lived a sister and a brother who were not at all alike.
In every way they were different. The sister stayed inside on her own, reading and dreaming. The brother played outside with his friends, laughing and shouting, throwing and kicking, roughing and tumbling."

Sono diversi in tutto e sempre, anche di notte. Mentre lui dorme saporitamente lei rimane sveglia a sentire i rumori del buio. Qualche volta lui sgattaiola nella camera di lei per farle paura, perché sa che la poverina ha fifa del buio.


Due fatti così, per di più fratelli, a metterli insieme è guerra fissa. Finché un giorno la madre li obbliga a uscire e a fare qualcosa insieme e -soprattutto- a essere gentili l'un con l'altra. Camminano per strada, lei con il suo libro in mano, lui con il pallone al piede. Lui è il più grande e quindi decide: per far due tiri si ferma in un angolo più tranquillo, accanto a un mucchio di spazzatura. Lei si siede e legge, ma è spaventata da quel posto, lui si annoia da solo con il pallone. Non gli resta che esplorare i dintorni. Ed ecco che sul fondo di un muretto coperto di erba si apre la bocca di un tunnel.
Andiamo a vedere cosa c'è al di là! No, è pericoloso, non dovremmo farlo!


Il tunnel costituisce per antonomasia l'icona del passaggio. Un passaggio non solo in senso fisico, ma anche e soprattutto un passaggio iniziatico verso un altrove o verso una condizione diversa. E anche questo libro magnifico non fa eccezione: il tunnel è un luogo fisico angusto e buio da attraversare con un misto di curiosità e di paura. Curioso Jack, timorosa Rose. È lo stesso Anthony Browne a scrivere che quei due, così diversi, rappresentano le facce di una stessa medaglia; sono le due espressioni contraddittorie di un unico sentire.
Nello stesso tempo, quel medesimo tunnel è elemento di raccordo tra un prima e un dopo. Di norma ciò che accade, attraversato il corridoio buio, ha a che fare poco con la realtà, lasciata all'entrata, ma moltissimo con l'immaginazione, il mistero. Addirittura con la magia; in questo senso non è un vezzo che l'incipit del libro sia preso a prestito dalle fiabe: once upon a time...
Davanti al Tunnel di Browne è impossibile non pensare alla porta seminascosta tra le foglie in un altro libro nodale The Garden of Abdul Gasazi scritto e illustrato da Chris Van Allsburg con dieci anni di anticipo rispetto a The Tunnel.
Per ragioni diverse, proprio in questi giorni i miei ragionamenti si stanno concentrando su questo tema: il passaggio, l'attraversamento di una immaginaria linea di confine che tiene separata la realtà da 'il resto'. E fino a questo momento mi pare che siano tutte degne di interesse le declinazioni che gli autori, a partire dal tunnel di Carrol all'armadio di Lewis, al giardino segreto di Burnett, fino a quello di Sendak che a Max chiede di varcare la soglia delle pareti di camera sua, hanno dato sull'argomento.
Nel medesimo tempo e nella medesima testa, la mia, si sta cercando di organizzare una quadra su Anthony Browne, in vista del Festival Tuttestorie a Cagliari, dove di lui si discuterà.
In sequenza ecco alcuni i nodi di interesse.


Il primo e il più significativo: le trasformazioni. Anthony Browne in molte occasioni ha dichiarato di essere sempre molto affascinato dalla trasformazione degli oggetti sotto gli occhi di un osservatore. In questo libro, che non è il più emblematico in tal senso, la trasformazione avviene massimamente, passato il tunnel, nel bosco che attraversa Rose. Senza voler contare la trasformazione che subisce Jack e la stessa Rose che da paurosa si trasforma in eroina. Il finale stesso si incardina su una metamorfosi.
La trasformazione in atto ha a che fare con il secondo nodo, ovvero con l'ambiguità di senso, o per meglio dire, di lettura.
A prescindere da ciò che avviene nel testo, è soprattutto nel disegno che la forma, trasformandosi, modificando i suoi contorni, assume un profilo che allo sguardo si rivela ambiguo. Questo genera nel lettore un interesse rinnovato (Milton Glaser, su questo ha incardinato la sua opera) e un'attenzione attiva. In The Tunnel gli alberi celano all'interno della loro silhouette figure di animali e parti del corpo umano, occhi occhieggianti e citazioni nonché molti altri profili di cui l'occhio in all'erta va in cerca. Trasformazione e ambiguità traggono origine da una passione innata di Browne: il gioco delle forme. Lo faceva da piccolo e non ha mai più smesso di girarci attorno: partire da un profilo di un oggetto e quindi trasformarlo per farlo diventare qualcos'altro. Può funzionare per similitudine oppure per addizione, ma il risultato non cambia. 


Che il gioco sia il registro prediletto di Browne lo testimoniano molti libri. A quello delle forme si deve aggiungere la ricerca delle differenze o delle analogie: immagini che differiscono tra loro solo per qualche dettaglio. Spesso, come per esempio in The Tunnel, si tratta di immagini che aprono o chiudono il libro, si pensi per esempio al gioco che fa con i risguardi.
Questi ultimi peraltro introducono il quarto argomento, ovvero la simbologia.
Rose ha dietro le spalle una carta da parati un po' vezzosa, come i ricami sul suo pullover, mentre Jack ha un duro muretto di mattoni (tema molto ricorrente nei suoi disegni). Oppure si pensi ai nomi dei protagonisti e alla loro allusività. Allusivo è il tessuto fitto di piccoli dettagli che come obiettivo ha quello di creare un'eco, una ridondanza su aspetti specifici. 


Per pura curiosità si contino i 'richiami' alla fiaba di Cappuccetto rosso.
Ed è qui che si arriva al quinto nodo: la relazione con i classici. In The Tunnel il riferimento, o addirittura l'omaggio a Carroll è sotto gli occhi di tutti, ma è con Cappuccetto rosso in particolare e con le fiabe in generale che Browne si sta confrontando, volutamente tacendolo nel testo. 


Riassumendo per punti, per chi abbia avuto la tenacia di leggere fino a qui e voglia verificare anche su altri libri di Browne la presenza dei 'magnifici' cinque, eccoli in sequenza
1) le trasformazioni
2) l'ambiguità
3) il gioco delle forme e il gioco di cercare le differenze
4) raccontar per simboli
5) il confronto con i classici

Altrimenti se ne riparla assieme a Tuttestorie....

Carla




FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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UNA GUERRA NELLA GUERRA


Avi, pseudonimo del pluripremiato scrittore americano Edward Irving Wortis, è conosciuto in Italia soprattutto per romanzi d’avventura come ‘Le avventure di Charlotte Doyle’, romanzi scritti con grande mestiere e inventiva.
In ‘La folle guerra dei bottoni’, pubblicato ora nella collana Feltrinelli up, cambia completamente registro, almeno rispetto a quanto già pubblicato in Italia. Si tratta, infatti, di un durissimo romanzo a sfondo storico, ambientato in un villaggio polacco durante la Prima Guerra Mondiale, che ha però al suo centro la vicenda di un gruppo di ragazzini e la loro folle lotta per la supremazia.
In breve, la trama: nel villaggio polacco stazionano militari russi, fino a quando non arriva l’esercito tedesco, preceduto da un bombardamento aereo. I russi si ritirano al di là della foresta vicina al villaggio. In questo lasso di tempo un gruppo di ragazzini, i cui esponenti principali sono Patryk, l’io narrante, e Jurek, dalla forte personalità e dalle grandi ambizioni. Un loro passatempo è gareggiare e fare prove di coraggio. Nasce l’idea di una nuova gara, il cui vincitore sarà proclamato re: rubare bottoni dalle uniformi dei soldati. Se all’inizio questo può apparire facile, con l’arrivo della guerra vera, l’occupazione tedesca e poi la battaglia finale fra russi e tedeschi, la sfida diventa sempre più pericolosa e carica di conseguenze anche tragiche.
Della tragedia questo romanzo richiama la struttura, laddove già nell’incipit sono enunciati i drammi che seguiranno e il lettore e la lettrice son lì, a ogni giro di pagina, a chiedersi quando e come si concretizzerà quello che non può non accadere.
Questo detto con una sintesi strettissima, perché mi preme raccontare i diversi approcci che il romanzo consente.
Il primo, forse il più immediato, è la descrizione della guerra, di una guerra di posizione in cui i civili sono spettatori e vittime nello stesso tempo, con il capovolgersi dei fronti, l’alternarsi di fasi di relativa tranquillità fino alla distruzione totale. Le vicende, i movimenti degli eserciti, le loro caratteristiche sono raccontati attraverso gli occhi del protagonista, il dodicenne Patrik, che in vita sua non si è mai allontanato dal villaggio e conosce ben poche cose del mondo. Lui, come gli altri abitanti, sa poco del perché di quel conflitto, sa solo che oggi a comandare sono i russi, domani saranno i tedeschi e poi i russi con i francesi e poi ci sarà solo la fuga. A differenza de ‘L’ultima alba di guerra’, il punto di vista resta fisso sui ragazzini, che assistono, e loro malgrado ne sono coinvolti, alle vicende militari.
Il secondo aspetto, forse più spiazzante, è proprio quello del gruppo di bambini o poco più, presi in una loro guerra, che non ha niente di spensierato e di giocoso. E’, in piccolo, una lotta per la supremazia fra Patrik, più ragionevole e maturo, e Jurek, figura inquietante, ma nello stesso tempo infantile. I ragazzi sono impauriti dalla sfida lanciata da Jurek, che viene ogni volta rilanciata dandosi obbiettivi via via più pericolosi, ma non riescono a sottrarvisi. Lo stesso Patryk in realtà accetta i continui rilanci, sperando di vincere e mettere fine alla contesa. Sembra che nessuno si renda conto veramente di quello che stanno provocando, una catena di eventi drammatici in cui si mescolano tradimenti, paura, coraggio, morte e salvezza. E’ centrale la fotografia di quel momento dell’adolescenza in cui la sfida alla morte acceca il raziocinio e induce ad alzare l’asticella sempre più in alto; non a caso è una narrazione tutta al maschile, in cui sono tratteggiati i diversi approcci al diventare grandi: il super-eroismo, la ragionevolezza, l’acquiescenza alla forza del capo.
Il terzo aspetto riguarda la figura di Jurek, eroe negativo, ma nello stesso tempo ragazzino fragile, preso da un delirio di onnipotenza che richiama ben più tragiche figure storiche. Jurek non si ferma davanti a nulla perché dal suo punto di vista vincere è più importante di sopravvivere; e vincere è raggiungere la supremazia su uno sparuto gruppetto di ragazzini spaventati.
L’esercizio del potere in quanto tale diventa una molla sufficiente a mettere a repentaglio la propria e l’altrui vita.
Come si vede, c’è molta materia di discussione, racchiusa in meno di duecento pagine che scorrono via in una narrazione avvincente, che inchioda alla pagina.
Da quello che ho detto si evince che questo romanzo è adatto per lettori e lettrici già maturi e consiglierei vivamente la lettura a partire dai tredici anni.

Eleonora

“La folle guerra dei bottoni”, Avi, Feltrinelli 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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FAR SCOMPARIRE LE GRINZE

Una per i Murphy, Lynda Mullaly Hunt (trad. Sante Bandirali)
Uovonero 2018


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)

"Questa donna mi fa paura. Sono stata picchiata e abbandonata. Sono stata inseguita dalle guardie di sicurezza e dai gestori dei casinò. Avvicinata da individui loschi nelle strade di Las Vegas. Ma nessuno mi ha mai fatto paura come questa signora Murphy. Ho la sensazione che riesca a vedere le cose che tengo nascoste. "

Carley ha passato l'ennesimo guaio per colpa del disastro sociale e affettivo che la circonda: è finita all'ospedale piena di lividi e sua madre è in coma. Nessun parente che possa prendersi cura di lei, quindi la famiglia va cercata altrove. Una famiglia affidataria, quella dei Murphy, composta da due genitori e tre ragazzini e lei, quasi come un meteorite, ci piomba in mezzo: nessuna intenzione di farne parte. Una grande rabbia covata dentro, mista al rancore e alla nostalgia di sua madre e della sua vita sgangherata di prima accentuano in Carley il rifiuto delle gentilezze e delle attenzioni - dell'affetto - della signora Murphy. L'unico canale di relazione che questa ragazzina in 'salita' lascia a aperto è con i piccolini di casa, Michael Eric e Adam. Con il resto della famiglia, una famiglia apparentemente da manuale, le cose si rivelano molto più difficoltose.
La lontananza siderale tra la sua vita di prima e quella che i Murphy incarnano e che cercano di condividere con lei la destabilizza. Non riesce a credere al loro affetto e si dimostra a suo agio solo quando si sente esclusa, perché quello sembra essere l'unico codice di comunicazione che conosce.
Nonostante le sue ruvidezze, nonostante le sue bugie e i suoi silenzi e gli errori c'è chi crede in lei. La signora Murphy per prima, e poi Toni, la sua tagliente compagna di scuola. Lentamente ma inesorabilmente loro due sono un punto di partenza, un bandolo, cui attaccarsi; la matassa di sofferenza che tiene stretto il cuore di Carley comincia a dipanarsi. Abbassando le sue difese, imparando a fidarsi degli altri e ad averli cari, questa ragazzina si riappropria della sua forza - che le permette anche di ritrovare la serenità verso la madre - e comincia a fare la cosa giusta: regala se stessa agli altri.

È il 2016 quando in Italia esce il suo secondo libro,Un pesce sull'albero che miete successi e premi un po' ovunque. E ora Uovonero pubblica a ritroso il suo primo libro che è anche più bello del primo (ovvero del secondo).
Ci sono alcune affinità che li tengono insieme: la prima è il soggetto. Due ragazzine -Ally là e Carley qui- che, per motivi molto diversi, hanno vite complicate (entrambe armate di un forte senso dell'ironia, nonostante tutto) e due adulti - il professor Daniels lì e la signora Murphy qua - che se ne prendono cura e li aiutano nel 'guado'.
Anche l'obiettivo finale di entrambi i romanzi, la sostanza della storia, è il medesimo: dimostrare che avere stima di sé nella vita aiuta. Tuttavia, se in Un pesce sull'albero la Mullaly Hunt lo scrive con un po' troppa enfasi retorica, qui semplicemente ed efficacemente lo 'dipinge' su un pezzo di legno, fatto come un cartello stradale del senso unico, che pende sul letto che Carley ha 'in prestito' da Michael Eric: DIVENTA L'EROE DI QUALCUNO. (Prima regola del bravo scrittore: show, don't tell!!)
Questa è la differenza che rende Una per i Murphy un libro ancora più interessante.
La vicenda è tutta raccontata attraverso cose che accadono, frasi che si sentono, attraverso le sfumature, le debolezze, le ombre dei personaggi. Questo modo di raccontare fa sì che essi necessariamente assumano spessore letterario, diventino corpi, e come tali riconoscibili, e dentro cui, da lettori, accomodarsi per abitarli.
L'intreccio delle relazioni interpersonali, così ben costruito, è testimone di quanto complessa sia la vita, di quanto sia difficile scegliere il percorso per attraversarla, di quanto sia importante saper leggere la realtà in una prospettiva molteplice, di quanto sia impegnativo essere parte di una squadra, una famiglia.
In un crescendo costante, la famiglia Murphy esce in tutta la sua bellezza che non è però fatta di stereotipi pubblicitari, ma di relazioni affettive costruite anche con fatica e compromessi. Fino alle ultime battute del libro i ragionamenti di Carley e di Julie - le due assolute protagoniste della storia - prendono spessore e senso profondo.
Quello che Julie si è prefissa fin dal principio, far scomparire le grinze nella vita di Carley, così come fa quotidianamente con i membri della sua famiglia, senza chiedere nulla in cambio, diventa chiaro anche per Carley: la felicità passa solo di lì.

Carla

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

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FAMIGLIA, FAMIGLIE


Curiosamente, mentre il mondo politico rispolvera un armamentario ideologico medievale, l’editoria per ragazzi e ragazze si mostra ben più sensibile agli irrefrenabili cambiamenti sociali.
Ed ecco due libri, presi solo ad esempio di una produzione abbastanza varia, che affrontano il tema della famiglia e dei suoi cambiamenti.
Il primo, ‘ In famiglia!...e altri parenti’, di Alexandra Maxeiner e Anke Kuhl, è pubblicato dall’editore Settenove, che traduce un testo tedesco di otto anni fa. L’incipit è una dichiarazione d’intenti: ‘ogni famiglia è speciale’, ovvero non cerchiamo ‘il’ modello di famiglia poiché le famiglie sono tante e diverse. Si comincia dall’etologia e dalla storia, raccontando il vantaggio di vivere insieme. E poi si tratteggiano i cambiamenti, in realtà rapidissimi, intervenuti nel giro di un secolo, a partire dalla classica famiglia patriarcale, in cui vivevano insieme più generazioni. Oggi le famiglie e le relazioni parentali sono molto cambiate e prevedono una grande varietà di casi: bambini che vivono con un solo genitore o con due genitori dello stesso sesso; figli e figlie di genitori separati, che magari a loro volta si risposano e fanno altri figli, e che vivono in due case.


Genitori biologici e genitori adottivi, relazioni affettive forti come quelle biologiche e così declinando, cercando di mostrare ai bambini la grande varietà di situazioni.
Certo, a un certo punto, gira un po’ la testa a seguire il vorticoso intrecciarsi di relazioni che possono coesistere, per esempio, in una famiglia allargata, come mostra bene l’immagine di copertina. Però la struttura del libro, incentrata su immagini chiare e didascalie molto sintetiche, aiuta a orientarsi anche il lettore o la lettrice più distratta. Il tutto accompagnato da un’adeguata dose di ironia che aiuta a sorridere, pensando al labirinto affettivo in cui si muovono alcuni bambini.



L’altro libro che propongo, ‘L’abbiccì della famiglia’ è delle edizioni Usborne ed è molto simile nella struttura: parte da una prima doppia pagina che mostra una grande varietà di gruppi familiari, per poi addentrarsi nel dettaglio delle diversità. Con un impianto più direttamente didattico, c’è una grande attenzione a definire le parole che si utilizzano per descrivere le famiglie e le relazioni parentali. Se dunque cambiano le famiglie e la loro composizione, sono variabili anche le abitazioni, gli stili di vita, le lingue che si parlano.
Anche qui abbiamo famiglie allargate, fratelli e fratellastri, genitori naturali e affidatari e così continuando.


In sintesi, il tema di questa grande varietà è ben presente nell’editoria per ragazzi, trattato con ironia, come nel caso del primo libro, o con un maggior intento didattico, come nel secondo libro. Con una maggiore attenzione alle relazioni affettive o inserendo, come nel caso del libro Usborne, anche la tematica dell’interculturalità. Genitori e insegnanti hanno strumenti eccellenti a disposizione per aiutare bambini e bambine, soprattutto dai sei ai dieci anni, a comprendere un mondo molto diverso da quello vissuto dai genitori stessi o dai nonni. Come sempre il problema non è nella testa dei bambini, che hanno una duttilità e un capacità di adattamento sorprendenti, ma sta nella testa degli adulti, alcuni dei quali prediligono dividere, classificare, ridurre a norma quello che non può essere in nessun modo semplificato.
Purtroppo, periodicamente, emergono posizioni politiche e culturali, in personaggi che ricoprono ruoli di responsabilità, indegne di un paese civile e moderno.
Non me ne farò mai una ragione.

Eleonora

“In famiglia! Tutto sul figlio della nuova compagna del fratello della ex-moglie del padre...e altri parenti”, A. Maxeiner e A. Kuhl, Settenove 2018
“L’Abbiccì della famiglia”, Edizioni Usborne 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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BAMBINI INTENDITORI

Un silenzio perfetto,Antonella Capetti, Giovanna Zoboli, Melissa Castrillon
Topipittori 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Una mattina il grillo non si alzò. Tutto era come sempre: il sole era nel cielo, l'erba nel prato, l'acqua nel fiume. Ma quella mattina il grillo non si alzò. All'inizio gli altri animali lo lasciarono in pace: solo la libellula a mezzogiorno si affacciò fra le foglie, chiedendogli per quale motivo fosse ancora a dormire."


Il grillo si sta comportando in modo anomalo. Neanche il giorno dopo si alza e così anche quello successivo. Agli animali del prato la circostanza non pare normale. Forse il grillo ha la febbre. Le uniche due parole che proferisce in tutta la giornata sono: non credo. Non crede di avere la febbre. Non lo sa neanche lui che cosa gli prende. Per il terzo giorno consecutivo rimane chiuso in casa, a letto. Il vecchio coleottero senza ali è il solo che passando gli fa un sorriso senza dire nulla. È il quarto giorno, continua a restarsene a casa ma le pressioni degli altri alla sua porta si fanno sentire. Non rispondendo, spera che prima o poi si stanchino. Ed è questo che accade. Tutti se ne vanno e arriva finalmente il silenzio: l'unica compagnia che desidera. 
 

E con lui comincia un dialogo fatto di sguardi, sorrisi, un dialogo silenzioso che dura tre giorni e che ha il potere di infondere nel torace del grillo, a sinistra, un senso di pace. Nessuno arriva alla sua tana, il silenzio è lì accanto al grillo per un altro giorno ancora, fino al momento in cui c'è bisogno di lui altrove. E silenzioso come all'arrivo, se ne va. Quella pace che è ora nel torace del grillo però non lo lascia e con essa si possono affrontare di nuovo anche gli altri, il chiasso degli altri.

Cosa avrebbero da dire i bambini sul silenzio? E sulla pace nel torace, a sinistra? Il silenzio, con la pace che si tira dietro, è una roba che tocca corde profonde, ma che poco viene incoraggiata e che, se associata all'infanzia, sembra addirittura preoccupante: ' hai la febbre? ti senti male?'
Eppure il silenzio è necessario come l'aria. E come l'aria ci riguarda tutti. Bambini compresi.
Il carattere universale della questione alza il tiro e necessariamente il tono della conversazione. Infatti fin dalla prima pagina, il registro è quello della favola -l'universale è fatto salvo- della favola filosofica alla quale ci ha educato Tellegen nelle sue Lettere dal bosco.
L'entrata immediata al centro esatto dell'argomento, come fa lui che è in grado di generare domande o riflessioni su temi universali in meno di mezza pagina di testo, sembra essere il modello di Capetti e Zoboli.
Il vetro non è cristallo e Tellegen è Tellegen. La sua coerenza interna, in assenza totale di qualsiasi cedimento di senso anche nella dimensione dell'assurdo, è trasparente e leggera come il cristallo, in assenza di impurità e di pesantezza.
Non è facilmente raggiungibile, ma aspirarvi è meritorio. Sebbene ci sia una bella idea che lo attraversa, e nonostante i diversi esempi di felice scrittura, in Un silenzio perfettoalcune impurità ci sono.
La prima, e forse la più evidente, sta nella relazione tra un testo che magnificamente cerca di mantenersi 'neutro' rispetto alla condizione anomala del grillo, e che invece la Castrillon interpreta nel disegno come sofferenza: in quella testina china e in quello sguardo sempre triste e mogio del grillo.


A questo si possono aggiungere piccoli grovigli di senso nei ragionamenti di grillo nella sua teiera a proposito del capire e non capire.
Centrato invece è questo tono tellegeniano dell'incipit e del finale, nonché della personificazione volutamente ambigua, liquida, del silenzio, cui Melissa Castrillon offre una più coerente soluzione espressiva. 


Bella la ridondanza, talvolta ironica, del lessico per raccontarlo, bella la definizione di 'occhiolino'. La scrittura è decisamente ispirata e in filigrana si percepisce una ponderata ricerca che tende al nitore.
L'argomento in sé e il desiderio di non banalizzare lo impongono, d'altronde.
Curioso, torna il nitore già notato in Che bello!
Ora resta solo da capire fino a che punto un libro così viaggi a quota bambino.
Bisogna mettersi lì e leggerglielo per vedere che cosa succede.
Antonella Capetti però è una maestra, una brava maestra, e avrà ben valutato questo aspetto. Magari la scintilla iniziale si è sviluppata proprio tra i muri della sua classe. Magari.
C'è dunque da augurarsi che silenzio e pace siano roba vera non solo per i grandi, ma anche per i piccoli e che i bambini empatizzino, come lo scarabeo, con quel grillo lì e sorridano anche solo 'con un sorriso piccolo, appena appena, per intenditori'.

Carla


FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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L’ODORE DEL FERRO


Non è proprio recentissimo, ma forse proprio per questo mi piace ripescarlo fra le belle uscite editoriali di quest’anno: sto parlando di ‘La prima cosa fu l’odore del ferro’, racconto scritto e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, che Rrose Selavy pubblica con una introduzione di Maurizio Landini.
Racconta i tre anni che l’autrice ha passato lavorando in una fonderia nell’Emilia fra pianura e Appennino; esperienza che non ci si aspetterebbe nella biografia di una delle più brave e premiate illustratrici italiane. Ma per necessità e per curiosità, ha dovuto imparare la dura realtà della fabbrica, i suoi ritmi totalizzanti, entrare e uscire col buio; gli odori, quello del ferro su tutto, che si stampa sulla pelle e impregna ogni oggetto della fabbrica; la solidarietà e la distanza dagli altri operai, tutti maschi, la vita comune e l’alterità.


Tre anni sono lunghi, se son fatti di buio e di fatica, di odori persistenti e di ritmi sempre uguali, senza comprendere se quella è proprio la strada giusta.
La nonna, la persona che maggiormente la comprende, le dice che bisogna saper fare tutto e imparare da ogni esperienza, essere pronti ai casi della vita e lo dice a ragion veduta, lei che ha visto due guerre, momenti buoni e momenti tragici. Imparare a fare tutto, anche quello che non piace, anche quello che non appartiene al futuro, come suggeriscono i sogni e le fantasie che strenuamente resistono.


Poi arriva il messaggero di speranza, un cane nero che gironzola intorno alla fabbrica e che con Sonia instaura subito un rapporto di complicità: lui che si accuccia vicino agli scarponi da lavoro, che si fa abbracciare e alla fine indica la via di una nuova vita.
Cosa mi ha colpito di questo libro: in primo luogo, il racconto onesto, in presa diretta, del lavoro di fabbrica, del lavoro manuale, della sua fatica, dei suoi odori, della sua etica; poche cose uniscono più del lavoro, del lavorare insieme, il condividere ogni giorno la pesantezza materiale e quella del comando, la gerarchia spersonalizzante. E vediamo ogni giorno l’effetto del disperdersi di questa etica del lavoro, del difendersi tutti insieme e del lavorare onestamente.
In secondo luogo, ho trovato efficace la rappresentazione di una scelta di vita non facile: la vita in una fabbrica dal lavoro durissimo non è cosa da ragazze e misurarsi con questo non è poca cosa; misurare le proprie capacità, la propria resistenza, la distanza e la vicinanza con gli altri operai. Cosa si è disposti a fare per sopravvivere, quali prove si è in grado di affrontare senza dimenticare i propri sogni, per quanto ancora vaghi.

 
C’è poi la presenza di questo cane nero, che diventa suo malgrado il grimaldello per cambiare vita, voltare le spalle per sempre al mondo della fabbrica e cominciare una nuova avventura. Bella la sintonia fra i due, entrambi sottoposti al comando, entrambi desiderosi di fuga. In fondo, sono poche le parole dedicate a questo incontro, ma rendono alla perfezione il parlarsi senza parole, il condividere il richiamo del profumo del vento e del guardare lontano.
Questo racconto è materiale incandescente, proprio perché parla di vita vera, di un’esperienza forte ed è reso da immagini in cui domina il grigio, un grigio sporco, con pochi tratti di bruno, che evoca l’ambiente della fabbrica e il suo odore. Immagini nello stile della Possentini, che alludono e descrivono, creano atmosfere che più di tante parole restituiscono l’idea di fatica e di sporco, di sudore e stanchezza, fino al colore, chiaro, che si intravede sul finale.
Proprio perché è un racconto onesto, capace di rara sintesi e del tutto alieno alla retorica, non è pensato per i bambini e le bambine; ma lo userei per raccontare loro, e ai ragazzi e alle ragazze più grandi, un’esperienza di vita che ha molto da insegnare sul lavoro e le sue leggi, sul comando, che significa dover obbedire a una logica e un ritmo estranei. 
C’è un grande bisogno di aderire anche alla realtà e alla sua durezza.


Eleonora

“La prima cosa fu l’odore del ferro”, S.M.L. Possentini, Rrose Selavy 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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LA MORTE È QUESTIONE VITALE

Il grande regalo di Tasso, Susan Varley (trad. Sara Marconi)
Il Castoro, 2018



ILLUSTRATI PER PICCOLI

"Tasso era così vecchio che sapeva che presto sarebbe morto. Tasso non aveva paura della morte. Morire voleva dire solamente abbandonare il corpo e, dato che il suo corpo non funzionava più così bene come una volta, la cosa non lo preoccupava troppo."


Più di qualcuno però si sta preoccupando: tutti gli amici di Tasso davanti alla sua porta aspettano che lui esca a salutare, come ogni mattina. Quel giorno però la porta non si apre ed è la Volpe a dare la triste notizia, Tasso è morto, e a leggere la lettera che lui ha lasciato per tutti loro e che, con tono sereno, annuncia di aver imboccato la Lunga Galleria.
La tristezza stringe loro il cuore, in particolare quello di Talpa è pieno di solitudine e smarrimento. Arriva l'inverno e ognuno per sé nel tepore di casa tenta di non essere triste. Senza grande successo. Fino al momento del disgelo quando tutti si rivedono e cominciano a parlare di lui e delle cose che Tasso ha insegnato loro: ritagliare i festoni, pattinare sul ghiaccio, o farsi il nodo alla cravatta o fare un'ottima frolla per i biscotti. Ricordo dopo ricordo, arriva il disgelo, anche nei loro cuori, e quando pensano a lui non spuntano più le lacrime ma dei sorrisi nel ricordarlo e nel constatare quanto importanti siano stati i regali che lui ha fatto a ciascuno di loro.
E anche il giovane e inconsolabile Talpa prova a suo modo a dirgli grazie, a bassa voce. E non resta inascoltato.


Basta guardare il cielo. È in quella direzione che Talpa punta il suo naso morbido ed è infatti in quella direzione spesso si dirigono gli occhi e i pensieri quando vogliamo 'parlare' con chi non c'è più. E tutto questo non ha niente a che fare con il paradiso, quanto piuttosto con l'orizzonte e la lontananza.
Tasso è morto e la questione è vitale. E lo è talmente che è finita su un libro per bambini, un bel libro per bambini.
La caratteristica più che consueta che tiene insieme i già pochi libri (per la quasi totalità d'importazione) che sull'argomento dibattono, è la retorica.
Si contano sulla punta delle dita i libri sulla morte che per esempio la chiamino con il suo nome, morte, senza tema di essere rimessi sugli scaffali delle librerie e non comprati (perché tristi). E ancora meno sono quelli che dicono che si sta male da 'morire' quando qualcuno muore. E ancora meno sono quelli che descrivono con la lucidità dovuta i passaggi doverosi della mente e del cuore per elaborare il lutto.


Di tutto questo mi pare ci sia dovizia in questo libro, che per fama mondiale e per anzianità (1984), può considerarsi un classico.
Un classico sembra esserlo anche a guardare come è costruito: a destra grandi tavole incorniciate a piena pagina, mentre a sinistra un testo che si prende i suoi tempi e i suoi spazi ed è sormontato da un piccolo disegno scontornato. Perfetto sarebbe stato con una carta uso mano che ne avesse' impastato' un po' i toni. Ma pazienza.
Classico e molto 'britannico', il tipo di segno della Varley: tanto tratteggio a china e acquerello. Bellissime alcune inquadrature: una su tutte quella Volpe che se ne va camminando pensierosa nella neve con le zampe (?) dietro la schiena.


Classico è ancora l'uso di antropomorfizzare tutti gli abitanti del bosco che sfoggiano cravatte regimental, crinoline, maniche e pantaloni a sbuffo e un extravagante giubbotto jeans che a qualcosa allude di certo. Beatrix Potter rules.
Un ulteriore merito del libro sta nell'asciuttezza dei passaggi narrativi che la bella traduzione di Sara Marconi rispetta e qualifica grazie a un coraggioso ripetersi di congiuntivi sistemati a dovere.
È dunque un bel libro sulla morte che la lega all'idea di regalo, ovvero a un concetto positivo. Il regalo che Tasso fa a ciascuno di loro sta nel suo intento di accendere passioni e coltivare attitudini. 


È certo che parlare e ragionare di morte in termini accademici risulta complicato, molto meglio farlo attingendo al vissuto di ciascuno. E così ogni amico di Tasso cerca un proprio personale legame con lui che lo tenga stretto a sé nella memoria. Una delle funzioni di non dimenticare è proprio questa: tenere unito il presente al passato. L'altro passaggio è il parlarne assieme, perché parlandone la morte fa molta meno paura (se lo capissero una buona volta gli adulti che i libri tristi li rimettono a scaffale...).
L'esperienza personale in tal senso lo conferma. Per mesi non ho fatto altro che raccontare, e quindi in qualche modo evocare, mio padre agli altri. Per mia madre invece ho attraversato gli oggetti che le appartenevano. In entrambi i casi, dopo un po'è sceso un sano silenzio e, come Talpa, ho avviato con entrambi un dialogo a due. Che, guardando il cielo, continua, all'occorrenza. 


Ben vengano libri tanto onesti.

Carla

FAMMI UNA DOMANDA!

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UNIVERSI


Guillaume Duprat ci ha abituati a lavori di grande rigore filologico e, nello stesso tempo, di grande impatto visivo: soprattutto con ‘Il libro delle terre immaginate’ e con ‘Zoottica’ ha inaugurato un nuovo modo di fare divulgazione rivolta a ragazze e ragazzi, un modo che ha influenzato anche altri autori.
Resta comunque una forte individuazione del suo lavoro, che si riconosce immediatamente in ‘Universi. Dai mondi greci ai multiversi’, pubblicato anche questa volta dall’editore L’Ippocampo.
Già la copertina richiama esplicitamente quella de ‘Il libro delle terre immaginate’ e, in parte, ne mantiene la struttura, con la differenza che qui si segue in sostanza, con poche digressioni nelle culture cinese e araba, una linea temporale che porta dalle più antiche concezioni dell’universo al dibattito contemporaneo.


Dunque, l’Universo, lo spazio fisico che circonda e contiene il nostro piccolo mondo. Piatto, curvo, finito o infinito; con la Terra al centro, come espressione della centralità dell’Uomo nella creazione divina, o persa in una delle galassie che popolano un universo in continua espansione.
L’esposizione delle teorie cosmologiche non può che partire dai greci e dai loro affascinanti dibattiti sulla forma del cielo: la volta celeste vista come una cupola che sovrasta la terra o l’universo sferico che da Aristotele arriva a Tolomeo, fondando quel sistema geocentrico, così caro anche al pensiero cristiano, che ha retto per più di mille anni.
Dalla crisi del sistema geocentrico, con tutto il suo portato ideologico, nasce il sistema eliocentrico di Galileo e Copernico e poi di Keplero e di Newton.
Siamo oramai abituati a termini come universo in espansione e big bang: entriamo così nell’astrofisica del Novecento, dominata prima dalla teoria della relatività, poi dai grandi interrogativi posti dalla scoperta dei buchi neri, prima, poi della materia e della energia oscura. 

Ed eccoci qui, ancora una volta, ad interrogare le stelle, a chiederci quanto vivrà il nostro universo, mentre gli scienziati e le scienziate di tutto il mondo cercano affannosamente una legge universale che spieghi contemporaneamente l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto del libro; ma come riesce Duprat a rendere comprensibile argomenti di questo genere a bambini/e e ragazzi /e? Con l’uso calibrato delle illustrazioni: più di mille parole, le immagini danno conto in modo intuitivo di concetti complessi, spesso astratti ed estranei al senso comune. Eppure così riesce a funzionare: possiamo immaginare e ‘vedere’ l’universo come un foglio di carta o come una ciambella.
E’ evidente che i lettori e le lettrici più giovani, direi con almeno nove anni, non coglieranno tutti i concetti espressi, ma capiranno alcune cose fondamentali: che la scienza ha una storia e quello che noi oggi consideriamo approssimativamente vero è il frutto di teorie precedenti, che oggi magari fanno sorridere, ma che sono state fondamentali nell’epoca del loro successo. Imparano anche a guardare con occhi diversi quello che li circonda, nel nostro caso li sovrasta. Imparano che non sempre il senso comune, quello che ci sembra vero nella vita di tutti i giorni, corrisponde a quello che sappiamo.


Imparano soprattutto che la scienza procede per domande, domande le cui risposte generano altre domande. E che anche oggi, che sembriamo tutti padroni della tecnologia, continuiamo a non sapere molte cose fondamentali e ad avere la testa piena di dubbi.
E poi una buona dose di modestia: se di una cosa siamo certi è che viviamo su un puntino sperso nell’immensità dell’universo e che a noi e solo a noi compete averne cura.
Un gran bel libro, uno di quelli che non dovrebbe mai mancare in un’aula scolastica o nelle biblioteche; costa un po’ di fatica agli adulti impegnarsi a spiegare e a sfruttare i tanti spunti presenti, ma può essere una bella occasione di confronto con i più giovani.
Perfetto graficamente, ricco di illustrazioni chiare nel loro significato e nello stesso tempo con grande capacità di suggestione, è un libro concepito per chiarire le idee, sollevare questioni, mettere qui e là qualche punto fermo.
Un libro necessario per tutte le scienziate e gli scienziati di domani, i loro insegnanti e i loro genitori, con l’augurio che nascano domande su domande, imprevedibili e sorprendenti.
Buona lettura!

Eleonora

“Universi. Dai mondi greci ai multiversi” G. Duprat, L’Ippocampo 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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TENERE LA LUCE ACCESA

I sette letti di Ghiro, Susanna Isern, Marco Somà 
(trad. Giulia Di Filippo)
NubeOcho 2017



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Coniglio fu il primo ad accorgersene. Si alzò con un salto al primo raggio di sole e corse a prepararsi la colazione. Nella serra delle carote trovò il piccolo Ghiro che dormiva tranquillo. "Ghiro! Mi hai fatto prendere un bello spavento! Che ci fai qui?''Scusa Coniglio! Stanotte non riuscivo a dormire e ho deciso di provare un altro letto.'"


Il giorno dopo capita a Passerotto che se lo trova nel cassetto delle cravatte. Alla consueta domanda, Ghiro risponde sempre allo stesso modo. Cervo lo trova annidato nel suo palco di corna. Va da Orso, da Tartaruga, dal topo e dallo scoiattolo. E ogni notte si trova un rifugio diverso, ma la risposta non cambia. Gli animali di Bosco Verde - dove regna l'armonia - sono un po' infastiditi di questo ospite notturno inaspettato e quindi, dopo una riunione, decidono di parlargli chiaro: rimani a dormire nel tuo letto, per favore!
Il risultato è prevedibile: il Ghiro cambia bosco e, incauto, si ficca a dormire nel calzino di un lupo. Pericolo imminente se non fosse che qualcuno in quel bosco ha capito che il vero problema di Ghiro non è la scomodità del proprio letto ma la 'scomodità' di dormire da solo...E siccome a Bosco Verde sono tutti buoni, partono in squadra per metterlo in salvo e decidono di prenderselo in carico una notte per uno, fino al momento in cui qualcuno ancora un po' più piccolo del Ghiro gli si mette ai piedi del letto.
Solo chi la paura l'ha provata, può capirla negli altri.


Date a Marco Somà una trama semplice, preferibilmente costruita per addizione, che contenga possibilmente un bosco e che abbia un intreccio non troppo serrato e un certo numero di personaggi e lui la attraverserà con il suo repertorio di alberi, di 'case sull'albero', piene di dettagli e di bestioline vestite di tutto punto. Prenderà la sua tavolozza di pochi colori preferiti al momento, piuttosto insoliti (se si esclude Pacheco): dominanti le tinte e mezze tinte pastello tra i bruni, azzurri, verdi e turchesi, e ne farà un libro di garbo.
Alcuni elementi sono veri e propri marchi di fabbrica nel loro ripresentarsi con coerenza a ogni libro che porta la sua firma. 
Gli alberi, per esempio. Disegnati con una cura maniacale, come se fossero frutto di un assemblaggio di fascette di legno nel fusto, sostengono chiome gonfie e disegnate, anche qui in per addizione di centinaia di foglie, tutte ugualmente profilate nel dettaglio.
Una ricercatezza estetica che è a un passo dal lezioso, ma sa fermarsi prima grazie a soluzioni originali e non prive di ironia. In tal senso disegnare un tronco, ovvero un legno in natura, come se già fosse un parquet lavorato e messo in opera, è sintomo di un certo sense of humor. 


Accanto agli alberi, le piante. Spesso, su un fondo lasciato sgombro e quindi identificabile come un 'altrove' fiabesco, Somà si diverte a esporre il suo personale 'erbario' ma le utilizza anche come arredo di interni.
E quindi si arriva a un'altra costante: l'architettura più volte 'sospesa' e la cura nel diversificare volumi e coperture, in cui fa vivere gli animali, i personaggi della storia. E non solo gli uccelli.
Terzo marchio è l'arredo delle suddette abitazioni. Lampade, moltissime e bellissime. In questo caso, visto il tema, per lo più accese. Quindi i parati, i tessuti, le porte, le finestre, le vetrate: tutti diversi, ma ugualmente allusivi.
E in questo preciso caso, vanno aggiunti i letti, pieni di cuscini, intorno a cui tutto ruota. 


Un autore che dimostra tanto gusto per il dettaglio non può rinunciare a vestire 'alla moda' anche i personaggi: vestaglia a pois per il coniglio, calzoni scozzesi per il cervo, bretelle per il carapace della tartaruga.
Non è dato sapere quanto tutto questo attraversi la testa e gli occhi dei lettori più piccoli lasciando una traccia, ancorché inconsapevole. Di certo illustrare così tiene vispa e 'accesa' la loro attenzione e la loro curiosità. 



E altrettanto certamente colpisce i grandi, che poi sono quelli che in libreria hanno l'ultima parola in fatto di scelta.
Che dire della storia in sé? Semplice, semplice e centrata sulla questione della paura di dormire da soli. D'istinto mantengo una certa distanza di sicurezza dai libri che sventolano un tema e anche da quelli in cui tutto converge troppo rapidamente verso un lieto fine, tuttavia per I Sette letti di Ghiroc'è da notare che la costruzione del racconto che si ripete sostanzialmente invariato, salvo l'entrata in scena di personaggi sempre diversi, rende la lettura per i più piccoli piacevole. Per chi è alle prime armi nell'arte dell'ascolto, libri così sono i più graditi.
Accanto a questi due motivi di scelta, basati su ragionamenti il più possibile 'obiettivi', ne esiste un terzo tutto 'emotivo' e 'soggettivo' che ha a che fare con i ghiri in persona. Impossibile dimenticare il 'ghiro' che ho pensato di nutrire nella cantina della mia personale 'casa sull'albero' per un intero mese. Ho sperato - e alla fine creduto - di essere una prescelta dal ghiro stesso e per questo lo ho premiato, notte dopo notte, con pezzetti di frutta matura. Durissimo è stato constatare si trattasse invece di coppia di topini vegani che per tutto il tempo hanno snobbato inspiegabilmente il formaggio per nutrirsi di soli meloni e pesche succose.



Carla


FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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CAPPA E SPADA CON STREGONERIA


Il nuovo romanzo di Frances Hardinge, talentuosa scrittrice inglese, ‘La voce delle ombre’, è appena arrivato in libreria, a un solo anno di distanza dalla pubblicazione con Macmillan.
E’ un romanzo impegnativo, con grandi ambizioni, che coniuga, non sempre felicemente, il romanzo storico con il fantasy, o meglio con la ghost story.
L’ambientazione storica, che secondo me esprime la parte migliore del romanzo, riguarda l’Inghilterra delle guerre di religione, sotto lo sfortunato sovrano Carlo I Stuart, in lotta sia con il Parlamento, che ne respinge le istanze assolutistiche, che con i Puritani, che disprezzano l’eccessiva vicinanza al cattolicesimo.
Quindi, battaglie campali, scorribande, spie e cospiratori e tutto il portato di violenze che qualsiasi guerra comporta.
Su questo sfondo, già di per sé complesso, si innesta la vicenda di Makepeace, figlia illegittima del casato dei Fellmotte, che oltre a essere nobili hanno l’oscuro potere di ospitare dentro di sé gli spiriti degli avi.
Per difenderla da questo destino, la madre fugge con lei e la cresce cercando di insegnarle, a ragion veduta, tutte le difese possibili contro gli spiriti, facendole passare, tra l’altro, molte notti dentro un cimitero. Ma nei tumulti che oramai crescono in ogni luogo, la madre muore e, quasi nello stesso momento, Makepeace viene ‘infestata’ dallo spirito rabbioso di un orso. Comincia la sua fuga, che la porta però proprio nel castello di Grizehayes, il regno dei Felmotte.
Qui viene accolta come serva e in qualche modo protetta, in quanto ricettacolo potenziale degli avi, al momento della morte di qualcuno di loro. E’ la stessa sorte del fratellastro James, che diventa il paggio del giovane rampollo Sysmond.
Quest’ultimo tradirà, portando con sé un protocollo reale in cui di fatto il Re autorizza i Fellmotte a praticare la stregoneria. Per riavere questa carta più che compromettente, i Fellmotte ingaggiano una loro guerra personale fatta di spada e di spie.
In tutto questo, Makepeace cerca la sua personale via di salvezza che la porti lontano dalle grinfie dei famelici anziani e che le consenta di liberare James, che nel frattempo è stato infestato.
Mentre infuria la guerra fra il Parlamento e il Re, la protagonista cambia continuamente strategie e alleati, mentre nel suo corpo albergano altri spiriti, oltre al provvidenziale orso.
Non voglio dilungarmi oltre sugli sviluppi di una trama complessa, piena di colpi di scena e cambiamenti di fronte, in cui diventa impossibile separare l’aspetto storico e quello fantastico.
Lo stile della Hardinge è sicuramente interessante, avvincente, riesce a rendere appassionante un materiale storico a noi estraneo, letto a mala pena sui libri di storia. Interessanti anche i personaggi, descritti a tutto tondo, spiriti compresi. L’aspetto forse più rilevante è quello dell’aver voluto descrivere la fine di un mondo, quello della stregoneria e di chi la combatteva a suon di torture e impiccagioni, attraverso un romanzo che parla d’altro, un romanzo d’avventura con una fortissima e non sempre equilibrata componente fantastica.
Sicuramente, l’invenzione del ‘condominio’ di spiriti nella testa di Makepeace e degli altri personaggi che funzionano da ospiti, anche se non originalissima, ho parlato da poco di un romanzo che parla di possessioni malefiche, colpisce la fantasia del giovane lettore e lettrice, ma devo dire che a volte diventa troppo implausibile, tanto da diventare quasi grottesca. A tratti viene da chiedersi perché l’autrice scelga questa chiave, il soprannaturale, il magico, per scrivere in sostanza romanzi di avventura a sfondo storico. Non so se corrisponda a una sua sensibilità sull’argomento o se risponda alla necessità di avvicinare con più facilità il pubblico dei lettori e lettrici più giovani.
Forse, la questione sta nel come questi elementi siano combinati e armonizzati nella narrazione, che non sempre riesce a mantenersi su un piano di relativa plausibilità.
Resta comunque un buon romanzo, scritto con una dovizia di particolari storici e con una grande attenzione al linguaggio, mai pedante, mai banale. Richiede lettori allenati alle molte pagine di descrizioni, prontamente bilanciate da inseguimenti, lotte, magie. Lo consigliere a lettrici e lettori dai tredici anni, proprio per la complessa costruzione del testo.

Eleonora

“La voce delle ombre”, F. Hardinge (trad. G. Iacobaci), Mondadori 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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È LA VERA VERITÀ

Spugna e Sapone, Alan Mets (trad. Tommaso Gurrieri)
Edizioni Clichy 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"'Com'è bello fare il morto nell'acqua!' dice Arturo ridendo.
'Che meraviglia riposarsi nel fango!' dice Giulio addormentandosi.
'E ora mettiamoci a prendere il sole' dice Arturo sbadigliando.
'Ron, ron, ron!' fa Giulio.
'Che rumore orribile!' ringhia Arturo."

La scazzottata è nell'aria. Arturo, il lupo, e Giulio, il maiale, se la stanno godendo un bel po'. Al fiume, c'è l'acqua che piace all'uno e il fango che diverte l'altro. Così, uno su una riva e uno sull'altra, passano il tempo.


Ma quanto durano due maschi (ma anche due femmine) in un unico specchio d'acqua senza litigare? E mentre sono lì che se le danno e si dicono di tutto, all'orizzonte appaiono 'due ragazze'. Sono della peggior specie perché sono le rispettive sorelle minori. E non importa essere lupo o maiale, le sorelle vanno spaventate a morte, comunque. Pieni di fango, i due fanno squadra e quelle, vedendoli così imbrattati, fuggono urlando. Ma la sorpresa è lì da venire e si materializza nei due padri che senza troppa delicatezza li ficcano nelle rispettive vasche da bagno e li strigliano a dovere, davanti agli occhi estasiati e crudeli di quelle due sorelle...


Alan Mets e il suo modo di raccontare senza peli sulla lingua è di nuovo in giro. Sempre un po' rasposi, sia nel disegno sia nel testo, i suoi albi sono di norma politicamente scorretti. Non hanno lieto fine, sono spesso caustici oppure, nella migliore delle ipotesi, ironici. Non si fermano davanti alle pruderie dei grandi, chiamano le cose con il loro nome e dicono sempre la vera verità.
E anche questo nuovo titolo, Spugna e Sapone, non sembra fare eccezione. 


La questione qui si concentra su due maschi 'rudi' che sono sempre sull'orlo di fare a pugni 'Cerchi rogna?''Tieni, prendi questa!' e che allo stesso tempo sanno essere solidali di fronte all'arrivo inaspettato 'delle ragazze'. E qui si sviluppano, magistralmente in un paio di righe di testo, ulteriori due questioni: maschi e femmine, fratelli e sorelle. Se fossero state due ragazze qualsiasi i due si sarebbero sotterrati nel fango per non farsi vedere e per non farsi criticare, visto come si sono ridotti, ma dato che le due femmine in questione sono le loro rispettive sorelle la prospettiva cambia. Con le sorelle bisogna essere implacabili. Quindi il lerciume che prima era motivo di vergogna ora diventa motivo di orgoglio, anzi di rivalsa. Le due corrono via, inorridite, all'apparenza.
La situazione sembra risolta, ma con le donne non lo è mai in modo definitivo...
Mets però prende tempo e propone un incontro risolutore e definitivo con l'autorità paterna che ristabilisca un po' d'ordine. Giulio e Arturo, di fronte ai due padri infuriati, perdono tutta la loro baldanza e finiscono inesorabilmente sconfitti dentro la vasca. Va da sé che questo sarebbe un finale scontato, e poco metsiano. Infatti arriva il colpo di coda finale con le due femmine che, scambiatesi i fratelli, dichiarano la loro supremazia intellettuale e affettiva al mondo intero. E a quei due non resta che prenderne atto. 


Forse non è il suo miglior libro, l'ineguagliabileLe mie mutandeè un'altra cosa, tuttavia anche qui si riconoscono i due tratti che fanno di Mets un grande autore. La sua schiettezza nel raccontare un mondo di anti eroi e il suo disegno scabro. Cool!


Sempre un po' sgangherato e 'sporco' ma efficacissimo e diretto, con quel contorno marcato e tremolante su fondi neutri e spesso con un colore dominante. Incurante delle smancerie, della raffinatezza, della precisione o della strizzatina d'occhio al lettore, grande o piccolo non pare importagli, sa essere dannatamente onesto nel raccontare la vita, così come va davvero.
E meno male che c'è qualcuno che lo fa e qualcuno che lo pubblica.


Carla

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ALLA FINE DEL MARE, C'E' IL CIELO

Dolci di Luna, Chen Jiang Hong (trad. Tanguy Babled)
Babalibri 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Ogni sera, dal giorno in cui era nato, la nonna di Tian-Zi gli aveva raccontato la storia del Cammino del cielo e il bimbo ormai la conosceva a memoria. Un giorno d'autunno, Tian-Zi preparò un grande zaino, salutò la nonna e il padre e si avviò lungo il Cammino del cielo: voleva ritrovare sua madre."

Tian-Zi vuol dire figlio del cielo. Sua madre, la principessa Xian-Zi figlia dell'Imperatore di Giada, dal cielo guardava ogni giorno il mondo degli uomini, fino al giorno in cui decise di scendere sulla Terra. 
Mentre camminava ammaliata da colori e profumi incontrò un uomo che le chiese disperato di guarire la madre gravemente ammalata. Xian-Zi non solo guarì la madre dell'uomo, ma decise di restare sulla terra con lui. Il loro bambino è Tian-Zi. L'imperatore di Giada, resosi conto di essere sul punto di perdere la figlia per sempre, con la forza la riporta nel suo regno, il cielo. Ed è proprio verso il cielo che Tian-Zi si dirige in cerca di sua madre. 


Il viaggio è lungo e pericoloso ma con l'aiuto di una gru riesce ad arrivare alle porte del Palazzo. Ad accoglierlo tutto l'amore e la commozione della madre che, al colmo della felicità, per lui prepara con una ricetta segreta che sulla terra non esiste, i dolci di Luna. Si mangiano una volta l'anno con la luna piena. Ancora una volta però è l'imperatore che si mette in mezzo tra madre e figlio: caccia dal regno di Giada il piccolo Tian-Zi, perché a nessun umano è concesso viverci. Il dolore consuma la principessa a tal punto che suo padre le concede una volta all'anno, in occasione del ritorno sulla terra del bambino, di andare da lui con un paniere di dolci di Luna. I primi sarà proprio lui a prepararli.
Per ricordare questa storia, in Cina ogni anno si celebra la festa della Luna, a metà dell'autunno: le famiglie si riuniscono per godere dello stare insieme, e lo fanno anche mangiando i tradizionali dolci di Luna.


I fili con cui Hong è solito tessere i suoi bellissimi racconti ci sono tutti: l'amore tra genitori e figli, la separazione e il dolore inconsolabile, il viaggio e il coraggio di un bambino per affrontarlo, la terra e il cielo così diversi e lontani tra loro, la tradizione e il mito, la magia che attraversa la fiaba. E anche il suo modo di dipingere tutto questo è ancora lì, a conquistare lo sguardo.
Su uno sfondo di acquerello che si muove sul foglio prendendo la forma che l'acqua gli suggerisce, Hong governa il tratto sottile del pennino dedicato alle figure umane. Tra questi due opposti, in una sorta di piano intermedio, c'è il paesaggio, la botanica e l'architettura e qui il pennello di Hong imbriglia il colore e lo domina e lo ordina per dare forma e senso al racconto. 


Alterna, come sempre, tavole che riempiono il doppio specchio della pagina a sequenze più veloci e più contenute che sono riflesso del ritmo narrativo che accelera o rallenta. Certo è che alcune immagini raggiungono una potenza evocativa rara, anche in virtù dei colori che si accendono o si spengono a seconda del contesto. 


Intense sono le tavole dedicate alla bellezza della principessa, incorniciata dai fiori, e alla sua disperazione per il distacco dai suoi due amori, stravolta in uno sguardo feroce. Il percorso di viaggio del bambino, così come è raccontato per immagini, sottolinea la sua tenacia racchiusa in un corpo minuscolo, se paragonato alla natura circostante che lo circonda.
Tutto questo è attraversato dal mito legato alla festa della Luna. 
Lei, la luna, meravigliosamente ritratta nella sua pienezza, è testimone muta di quel che accade sotto di lei. Accompagna parti del viaggio, la salita in cielo sul dorso della gru. È testimone della durezza dell'imperatore. Talvolta, enorme sul fondo, illumina la scena, talvolta, discreta, si vela nei contorni. 


E come la luna è protagonista, lo sono anche i dolcetti che dalla prima ereditano il nome, la forma e un po' il colore. E, stando alla ricetta originale, ne rievocano la presenza discreta, al loro interno, nel tuorlo d'uovo marinato che nascondono. Quasi come fosse un omaggio, i pattern che di solito compaiono su questi dolci di luna Hong li ripete come elemento decorativo nei fregi architettonici o nelle grandi piastrelle dei pavimenti.
Sono molti i motivi di apprezzamento di questo libro, ma la ragione per cui andrebbe letto a distesa risiede nella grande verità che la gru pronuncia, piena di speranza, davanti a quel bambino in lacrime, stanco e abbattuto: alla fine della notte non c'è la notte, ma l'aurora, e alla fine del mare non c'è il mare, ma il cielo.


Carla

Noterella al margine: grazie di cuore a Francesca Archinto, che conosce evidentemente le mie passioni. La via verso i dolci di luna si è spalancata davanti a me. Il primo passo è stato procurarsi uno stampo adeguato e in legno. Domani è la volta dell'anko per il ripieno...

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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BALLATA GOSPEL


‘E’ un ragazzo, in quella bella età
In cui c’è entusiasmo e irruenza,
una passione per la libertà
che si trasforma in onnipotenza:
e misero il ragazzo che non l’ha,
e invecchia, da ragazzo, per prudenza.
Sian benedetti i sogni dei ragazzi,
anche se sono, o sembrano, pazzi.’

La storia raccontata da Roberto Piumini, nella sua più recente fatica editoriale, ‘Alzati, Martin. Ballata di Martin Luther King’, è quella dell’uomo politico americano che ha segnato profondamente la storia del suo paese, ma anche la nostra.
E’ un’impresa coraggiosa, quella condotta da un maestro delle parole, quale è Piumini: si tratta infatti di un poema in ottave, con incalzanti endecasillabi che regalano alla vicenda di King la densità del mito. Ed è giusto che sia così, se gli si vuole restituire il valore della sua impresa, condurre in modo non violento la battaglia per i diritti civili dei neri americani. Il racconto, accompagnato dalle belle, intense immagini di Paolo d’Altan, parte dalle radici della segregazione razziale in America ed è un’origine fra le più turpi, lo schiavismo. 


La tratta di esseri umani portò dall’Africa alle Americhe milioni di esseri umani destinati a lavorare nei campi di cotone o nelle miniere. Da questa infamia originaria, combattuta durante la guerra di secessione, sono discese le discriminazioni che hanno continuato a colpire la comunità afro-americana.
Piumini, nella sua coinvolgente ballatache si accompagna ai testi dei gospel, racconta le diverse tappe, gli eroi, e molto spesso le eroine che con i loro gesti hanno punteggiato un percorso di rivolta non violenta, di affermazione di diritti: Harriet Tubman, Rosa Parks, Jo Ann Robinson, Jimmie Lee Jackson e tanti altri che nella vita quotidiana contestavano le discriminazioni razziali. Certo non tutti hanno apprezzato la strategia di Martin Luther King e avrebbero preferito una lotta più diretta e aggressiva, come le Black Panther di Malcom X.


Ma il percorso di Martin Luther King, culminato nella marcia del 28 agosto 1963 a Washington e poi nel Premio Nobel ricevuto nel ’64, riassume in sé l’epicità di una storia di emancipazione che ha coinvolto milioni di persone.

‘Martin ringrazia, e nel suo discorso,
dice che il grande premio ricevuto
è cosa buona, perché dà soccorso
non solo ai neri che chiedono aiuto,
ma a ogni lotta che nel mondo è in corso
perché il diritto sia riconosciuto:
soltanto quando un mondo è capace
della giustizia, merita la pace’.



Infine, il 4 aprile del 1968, King viene ucciso, forse, da James Earl Ray, uno sbandato che incarna a meraviglia il ruolo del colpevole. Finita la sua storia, finito il sogno? Certamente no, se ancora oggi le città americane sono attraversate da violente contraddizioni inter-etniche; certamente no, se ancora oggi nel mondo, e qui da noi, si fanno, eccome!, questioni di pelle, di religione, di ‘civiltà’. Il ‘sogno’ di King, Piumini lo rappresenta come un incubo, fatto di barconi sovraccarichi che attraversano nuovamente il mare, trasportando nuovi schiavi, questa volta sulle civili sponde europee.
Vorrei, infine, sottolineare quanto le immagini di Paolo d’Altan rispondano perfettamente al ritmo e alla valenza epica del racconto: le sue tavole sembrano inquadrature cinematografiche, istantanee che fermano il gesto, lo sguardo, l’azione di questo o quell’episodio raccontato. Ne viene fuori una narrazione armonica, che procede di pari passo, fatta di parole e d’immagini.
Dunque, un grande coraggio nella scelta della forma espressiva di questo libro, ma anche il coraggio di sottolineare quanto quello che si è conquistato non è mai acquisito per sempre.
E’ giusto ricordare, è giusto vedere gli insegnamenti che la storia recente ci fornisce, un insieme di valori, conquistati ed affermati con grande fatica, che in ogni momento possono essere dimenticati o sviliti, relegati a cose da ‘buonisti’. Non si sottolinea mai abbastanza quanto l’ignoranza e l’indifferenza possano essere pericolose.


Per questo, consiglio una appassionata lettura ad alta voce di questo libro, magari non facile, a ragazze e ragazzi a partire dai 10 anni.

Eleonora

“Alzati, Martin. Ballata di Martin Luther King”, R. Piumini e P. d’Altan, Solferino 2018



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L'ERBAZZONE  DOLCE

Dal corso di formazione di Hamelin fatto a Montesole mi son portata dietro un quadernino pieno di appunti, un po' di cose su cui ragionare, belle chiacchiere con gli amici e il ricordo di una buona torta. Verde.

Per colazione, in cubetti minuscoli -eravamo in molti - ci è stata offerta dalla Premiata Ditta Piccinini. Sparita in un batter d'occhio. 
Gli unici indizi che avevo a disposizione per ritrovarla erano 
1) la zona di provenienza: il reggiano e 
2) l'ingrediente verde: gli spinaci.



Ricercata in rete, vince su tutte (ogni famiglia pare averne una personale) la ricetta della Gianna, ufficio paghe, presa da un blog che si chiama Il grembiule da cucina.



Ingredienti:
Per la pasta frolla, io userei le mie consuete dosi

  • 125 g di farina 00
  • 75 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • un tuorlo
    ma nella ricetta originale le dosi sono:
  • 100 g di farina 00
  • 50 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • un tuorlo

Per il ripieno:

  • 200 g di spinaci crudi
  • 50 g di burro
  • 200 g di zucchero
  • 150 g di mandorle pelate e tostate
  • 3 uova
  • 2 bicchierini di Sassolino (ovviamente a Roma il Sassolino - liquore di Sassuolo - è introvabile quindi è stato sostituito da un liquore a base di anice e assenzio che ricorda un pochino il Pernod, così dice il barista da cui ogni fine settimana il professore va a procurarselo)
  • la buccia grattugiata di un limone



Preparate la pasta frolla come di consueto, ovvero il burro freddo a dadini lavorato con farina e zucchero preventivamente mischiate. Aggiungete il tuorlo, impastate ed è fatta.
Quindi imburrate la tortiera e infarinatela e poi stendeteci la pasta frolla
e mettetela in frigo.

Pulite gli spinaci e poi lavateli. Fateli appassire in padella senza asciugarli troppo e senza aggiungere acqua.
Strizzateli e ripassateli con un pochino di burro per una manciata di minuti.

Fateli freddare e poi tritateli con la mezzaluna.
Dopo aver tostato per un quarto d'ora le mandorle in forno tritatele nel frullatore ma non riducetele in polvere.
Montate i tuorli con lo zucchero, unite gli spinaci, le mandorle, la buccia di limone e il liquore.
Quando il ripieno sarà omogeneo, aggiungete i tre albumi montati a neve fermissima e mescolate con attenzione dall'alto in basso.

Versate il ripieno nella tortiera preparata e infornate nel forno a 200°.

Fate cuocere per 40 minuti, finché non scurisce e il bordo di frolla e la superficie della torta, quindi toglietela dal forno e fatela freddare nella tortiera.
Spolveratela di zucchero a velo, con le foglie degli spinaci che ne fanno la decorazione.



Poi servitela, ma prima fate indovinare agli altri quali sono le foglie raffigurate...



Carla


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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NON IN QUELLA CASA...

PEPI MIRINO e l'invasione P.N.G. ostili, Cristiano Cavina
Marcos y Marcos 2018


NARRATIVA PER GRANDI (da 10 anni)

"Per sbaglio, invece dell'icona di YouTube, toccò quella di fianco, dell'App Store. Nella fretta, poteva capitare. Ci voleva meno di un secondo a spingere il tasto home e tornare alla schermata iniziale. Ma la sua attenzione, in quel millesimo di secondo che impiegò il cervello a ordinare al dito di tornare alla schermata iniziale, fu attirata da un gioco nella parte alta dello schermo e capì al volo. Lo vide pure Santino e capì al volo. 'Quello non possiamo' disse, senza distogliere gli occhi dall'icona. Pepi ci aveva cliccato sopra, aprendo la pagina. Sul rettangolo verde c'era scritto INSTALLA."

Richiamo irresistibile e Pepi clicca. Da qui prende l'avvio l'avventurosa vicenda dei quattro ragazzini del Club dei Cecchini - Sofi, Giamma, Santino e Pepi - doppia coppia di cugini. I primi tre vivono a Borgo, il quarto si divide tra Borgo, dove vive con il padre, detto il Primo ingegnere e la nonna e la città dove vive con la madre, detta la Dottoressa.
Il divieto assoluto di scaricare giochi 'proibiti' sul suo tablet, Pepi lo ha molto chiaro nella testa. La frase che il padre non finisce di ripetergli ogni volta che lui cerca di estorcergli il permesso è sempre la stessa: No! Non in questa casa.
Una ragione ci sarà...
GTA, il gioco in questione viene, invece, scaricato.
A turno, ci giocano tutti e quattro; una notte però accade l'imprevedibile: un personaggio esce dallo schermo ed entra prepotentemente nella realtà e molla una gran legnata sulla testa di Pepi che cerca di prenderlo.
Ai grandi non si può dire la verità e persino gli amici del Club stentano a credergli, ma quando vedono con i loro occhi una nebbiolina verdastra che si alza dal tablet e da cui si materializzano personaggi dei videogiochi, la prospettiva cambia.
Occorre capire che cosa sta succedendo e per farlo occorre indagare sul contesto, sulle cause, sulle condizioni che lo rendono possibile.
Per loro diventa una vera missione e, nei ruoli assegnatisi (una stratega e ufficiale in comando, un ranger tiratore scelto, un addetto alla logistica e un esploratore), i quattro si danno un gran da fare, cercando di tenere i grandi fuori da tutto.
Quello che prima era solo un gioco ora ha assunto tutti i connotati della realtà, ma il problema è che nella realtà si fa sul serio.

Avventura pura che corre lungo un confine oggi sempre più labile: quello tra il vero e il virtuale.
Cavina, che tra i tanti meriti, ha anche quello di saper dare voce alla provincia e di saper costruire intrecci umani interessanti, questa volta costruisce la sua storia intorno a una questione non da poco che solo apparentemente riguarda i più piccoli: il mondo virtuale in cui tutti siamo - volenti o nolenti - immersi.
Come spesso accade, Cavina fa salve le cose che gli vengono meglio quando scrive, ovvero il contesto, la costruzione pulsante dei personaggi e la 'commedia umana' in cui si intrecciano le vicende e che per molti versi ricorda un'altra Commedia umana, quella tanto amata di Saroyan. Su questa robusta tessitura che tiene assieme tutti i personaggi della storia, grandi e piccoli, e li fa agire in uno spazio tutto sommato limitato, rigorosamente di provincia, ma a tal punto ben raccontato da diventare visibile e tangibile, appoggia un plot che ai suoi lettori sotto i 15 anni risulterà molto familiare.
Àncora sapientemente il gioco virtuale alla realtà, e lo fa con un salto mortale che solo la finzione narrativa può permettere. Ma è bravo Cavina perché non eccede mai, al contrario riconduce sempre l'assurdo a una dimensione 'credibile', trovandone in qualche misura una sua spiegazione logica.
E mentre è lì che illustra al lettore le ragioni per cui un videogioco può uscire da un tablet, trova anche il modo di mettere su questioni ben più universali che di fronte al virtuale, hanno una potenza incomparabile: una per tutte, la morte.
A chi non ne sa mezza di videogiochi, mi sento di consigliare di portare pazienza nella parte centrale del romanzo e semplicemente di 'crederci', perché accade dopo che la storia letteralmente decolli nelle mani del miglior Cavina.
Siamo già qui ad aspettare i prossimi due titoli...

Carla



FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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ALBO DISTOPICO, O FORSE NO.


‘Domani farà bello’, di Rosie Eve, pubblicato da L’Ippocampo, è un albo illustrato originale, che racconta con grande semplicità il dramma del cambiamento climatico, con un finale che rappresenta una prospettiva diversa e interessante.
Il protagonista è un giovane orso polare che con la sua mamma affronta le giornate belle e quelle brutte, le tempeste e le giornate di sole. Solo che le tempeste sono sempre più violente e il sole è troppo caldo, tanto da sciogliere i ghiacci della banchisa. 


Così, a un certo punto, mamma e cucciolo sono separati dal crollo di un pezzo di iceberg, su cui l’orsetto si troverà a vagare da solo, in mezzo al mare. 


Ci sarà il momento di doversi tuffare e cominciare a nuotare e continuare a farlo per giorni; per fortuna, quando si è stanchi, viene in soccorso un amico e il viaggio può continuare. E’ la mamma che parla e incoraggia ad avere sempre fiducia, perché lei sarà sempre lì ad attendere il ritorno del piccolo.
Qui c’è il brusco cambiamento di prospettiva. La mamma aspetta il suo cucciolo non più sulla banchisa, ma in un territorio nuovo, disegnato dalle città sommerse; come dire che noi, la nostra civiltà fatta di consumo compulsivo delle risorse, costi quel che costi, verrà letteralmente ricoperta dall’innalzamento dei mari, dovuto allo scioglimento dei ghiacci. Loro, gli orsi, in qualche modo se la caveranno, come hanno sempre fatto, certi del loro futuro e attenti a conservare il loro ambiente.


Dunque, convivono due registri di narrazione: da una parte l’esperienza drammatica della perdita, la ricerca e poi il sollievo di ritrovarsi insieme, con il ruolo di mamma orsa che, conducendo il racconto, incoraggia a non perdere mai la speranza; dall’altra lo sfondo dei cambiamenti climatici, la visione, apocalittica, ma realistica, di quello che potrebbe essere lo scenario futuro, a fronte del comportamento autodistruttivo che la specie umana sta mettendo in campo. E’ come se l’autrice volesse mettere in guardia, sottolineasse quanto, in una favola, può esserci di realismo, una prospettiva remota, ma non troppo, che può coinvolgere tutti noi. Non a caso il titolo inglese è ‘The bear and the change’, mentre in quella francese e in questa italiana, tradotta dal francese, si sottolinea il messaggio rassicurante: Domani sarà bello.


Se la linearità del linguaggio, la chiarezza delle immagini rendono la storia fruibile anche dai cinque anni, in realtà il centro narrativo di questo albo apre la porta a molte riflessioni e a molti approfondimenti che ha senso fare con bambine e bambini un po’ più grandi, direi dalla terza elementare in poi. Sarebbe bello ragionare con loro sull’idea di futuro che hanno, come se lo immaginano e cosa farebbero per renderlo migliore.

Rosie Eve è una poliedrica artista inglese, che ha grande familiarità con le tecniche tradizionali dell’illustrazione e con quelle digitali, nonché con il linguaggio del fumetto. L’albo, dunque, alterna tavole a tutta pagina o a pagina doppia, a pagine in cui il racconto accelera con sequenze di immagini che descrivono le azioni. L’autrice sottolinea la propria poliedricità, l’utilizzo di linguaggi diversi, ma sottolinea anche di prediligere un linguaggio chiaro e immediatamente comprensibile, che non a caso si presta perfettamente ad una storia che ha tanti contenuti diversi. La storia dell’orsetto che ha perso la mamma, la sua solitudine in mezzo al mare è resa con intuitiva evidenza, sollecitando la partecipazione emotiva del giovane lettore o lettrice. La visione del mondo futuro ha una limpida chiarezza, che esprime un indiretto grido d’allarme.
Bella sperimentazione, che evidenzia ancora una volta la capacità dell’editore, L’Ippocampo, di individuare novità interessanti del panorama editoriale europeo.

Eleonora

“Domani farà bello”, R. Eve, L’Ippocampo 2018





LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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TROPPO BREVE

Troppo opposti, Max Dalton
Il Castoro 2018


ILLUSTRATI

"Troppo caldo troppo freddo. Troppo grande troppo piccolo. Troppo lungo troppo corto. Troppo su troppo giù. Troppo tardi troppo presto. Troppo lontano troppo vicino."

In un libretto quadrato si avvicendano diciannove coppie di opposti.
Dov'è la novità? Non sarà il primo e nemmeno l'ultimo dei libri da mettere in mano ai più piccoli per farli giocare sulla relazione tra due caratteri tra loro contrari.


Eppure. Eppure qui c'è qualcosa in più. A partire dal titolo che, per una volta almeno, in italiano sembra funzionare meglio che in inglese dove l'assonanza interna si perde in Extreme Opposites.
Il primo scatto verso l'alto questo libro lo fa in quel 'troppo' che mette in allerta il lettore poco poco smaliziato. Come a dire che gli opposti che si snocciolano pagina dopo pagina non sono affatto gli opposti di sempre, ma portano in sé qualcosa di esagerato, di al di sopra delle righe.
E puntualmente accade.
Per intenderci, il caldo non è quello di una stufa accesa o di un solleone al mare, ma è il fuoco che un drago sputa contro il cavaliere in fuga. E sebbene il libro non abbia narrazione, quel 'troppo caldo' scritto a lettere cubitali potrebbe benissimo essere l'affermazione esasperata del suddetto cavaliere che, nel darsela a gambe, rinuncia a far fuori il drago perché è davvero 'troppo caldo'.
Lo stesso si potrebbe dire per il corrispettivo opposto: il Babbo Natale che, nel suo bagno al polo, sta tendando di ripulirsi e invece viene sommerso da una gragnuola di cubetti di ghiaccio sputati dalla cipolla della doccia.
Ed ecco il secondo scatto del libro: il contesto. 


Per ciascuno di questi esagerati opposti Max Dalton attinge a un repertorio di soggetti sofisticato, sottile e raffinato (la cui bellezza si coglie soffermando il pensiero su ciò che l'occhio vede), mai prevedibile e soprattutto senza scampo. Davvero non è possibile immaginare il troppo piccolo, più piccolo di così o il troppo giù, più in basso di così. 


Diavoli per il troppo giù, la cagnetta Laika per il troppo lontano, il troppo alto per il settimo nano non nano, il troppo basso per il principe di Raperonzolo, il troppo asciutto per l'arca, il troppo chiaro per Dracula. E così via andare.
È il terzo scatto deriva dalla vena di ironica crudeltà che attraversa in lungo e in largo il libro: primo esempio quello del cane che si tende al massimo ma non raggiunge l'osso perché la catena che lo tiene legato alla cuccia è 'troppo corta'. Lo stesso vale per lo sguardo interrogativo verso il lettore da parte del lottatore di sumo che si trova davanti un avversario piuttosto mingherlino.
O ancora il terrore negli occhi del paziente in sala operatoria quando vede l'equipe chirurgica che consulta le tavole di anatomia perché il suo intervento sembra davvero 'troppo difficile' per loro. Oppure il pirata all'arrembaggio che titilla il veliero da assaltare con la punta del piede perché la distanza che li separa è troppo larga...


Il quarto scatto è, ovviamente, il tipo di segno e la composizione della pagina. Oltre al bianco del fondo e al nero solo altri due colori si alternano : il rosso mattone e il turchese. Da graphic designer, Dalton sa che l'immediatezza è fondamentale e in questa prospettiva utilizza al meglio la relazione tra il disegno e il testo. Quest'ultimo dialoga in modo serrato con il primo, occupandolo (la mela gigante sulla testa del bambino contiene il troppo facile), oppure assecondando il significato di cui è portatore, troppo grasso e troppo magro, o diventa allusivo o entra persino in gioco con il contesto. Ai silenziosi mimi è arrivato in sorte un bambino urlante, 'troppo rumoroso'. E il povero sub...


Tutto questo (e molto altro ancora) segna un evidente plus valore del libro.
D'altronde Max Dalton nel campo della comunicazione visiva è un fuoriclasse e come tale concepisce tutta la sua produzione artistica, affidandosi a quest'ottica così tanto originale.
Se i libri con gli opposti sono attrezzi naturali di allenamento di giovanissime menti, Troppo oppostiè una palestra intera in cui tanto i piccoli quanto i grandi possono andare a farsi dei bei muscoli.

 
"Pedagogicamente superiore" lo definisce il suo editore americano e il Wall Street Journal preconizza ininterrotte letture per interminabili giornate e nottate con divertimento diffuso per grandi e piccoli.
Da crederci.

Carla

Noterella al margine. E' uno di quei libri che quando chiudi, pensi...troppo breve.


FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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L’ATTACCO ALLE TORRI


Penso che non ci rendiamo conto fino in fondo del peso esercitato dall’episodio dell’attacco alle Torri Gemelle di New York nel 2001. Una ferita imprevista e insanabile, che ha modificato profondamente il rapporto fra il popolo americano e il resto del mondo.
Affronta questo tema, con un romanzo dalla natura complessa, Wendy Mills in ‘Tracce’, pubblicato da Edt Giralangolo.
La struttura della trama prevede le voci alternate di Jesse, che ha 16 anni nel 2016 e che ha perso il fratello Travis nel crollo delle Torri, sedici anni prima; e di Alia, sedicenne musulmana, di origine indonesiana, che aveva sedici anni nel 2001 e che ha incontrato casualmente Travis proprio nel giorno fatale.
Le due storie evidentemente tendono a incontrarsi: Jesse non sa nulla di quanto accaduto in quel giorno di sedici anni prima, vorrebbe sapere cosa è successo, perché il fratello fosse lì, e cosa ha fatto nelle sue ultime ore di vita. E’ una ragazza confusa, la famiglia chiusa nel proprio dolore e incapace di affrontarlo insieme; Jesse inevitabilmente cerca un appoggio nelle persone sbagliate, un gruppo di ragazzi un po’ sbandati, che di notte riempe i muri della città di tag e di scritte islamofobe. Ma anche Jesse prova rabbia, rabbia e frustrazione per non sapere nulla di ciò che è accaduto. Proprio a causa di queste bravate viene arrestata e e costretta a fare volontariato in un centro islamico; qui approfondisce l’amicizia, che inevitabilmente diventerà amore, con Adam, un giovane musulmano che aveva già incontrato nelle lezioni di arrampicata. E’ lui ad aiutarla a portare avanti le sue ricerche, a individuare i vecchi amici del fratello, ad ascoltare l’ultimo messaggio che Travis ha lasciato nella segreteria telefonica di casa.
Nello stesso tempo, seguiamo Alia, al suo primo giorno con il velo, che è andata al World Trade Centre per vedere suo padre e che si ritrova intrappolata con Travis dentro un ascensore, dopo il primo schianto. La parte del romanzo che la riguarda non è altro che la descrizione di quei momenti tremendi, la fuga mentre il palazzo va in fiamme e alla fine crolla. Questa parte è raccontata in prima persona, indizio che fa giustamente pensare che Alia rivedrà la luce del giorno.
Jesse scopre la presenza di Alia in compagnia del fratello e si mette sulle sue tracce, per sapere qualcosa delle ultime ore di vita. Ed ecco che i due percorsi si incontrano. Diventa possibile per la famiglia di Travis, a quel punto, ritrovarsi insieme e fare i conti, ciascuno, con i propri sensi di colpa.
Abbiamo di fronte, dunque, un romanzo complesso, secondo me non comprensibile a pieno da chi non ha vissuto il trauma di una nazione potentissima, colpita nel suo cuore, simbolicamente, da una soggettività, l’islamismo radicale, che a quel punto è diventato uno dei principali attori della scena internazionale. Non è facile comprendere come ci si possa sentire, passando dalla percezione del proprio paese come il più potente del mondo a essere evidentemente vulnerabili rispetto a una strategia terroristica. Mi sembra che la scelta di raccontare tutto questo attraverso questi spezzoni di vita di due sedicenni, una ragazza islamica e il suo rapporto complesso con la sua religione, e una ragazza di oggi, sbandata, confusa, incapace all’inizio di darsi delle risposte, dia qualche elemento in più, offra uno spaccato della complessa realtà americana.
Un’ultima osservazione. Da questi episodi hanno preso il via diverse guerre, chiamate ‘guerre di civiltà’, che hanno aggravato l’instabilità politica senza risolvere il problema dell’islamismo radicale. Le guerre ‘locali’, così gravide di violenze soprattutto sui civili, hanno generato milioni di profughi. Ma l’America, patria del più grande movimento pacifista che ci sia stato nel ‘900, quello contro la guerra nel Vietnam, non ha saputo questa volta produrre gli anticorpi necessari a una politica miope, che ci ha consegnato il mondo di oggi.
Questa assenza di lucidità, questo lutto collettivo, così come ce lo descrive questo bel romanzo, ancora non è stato elaborato e quelle vittime innocenti, 2603 solo a New York, chiedono ancora un senso e una ragione a tutto questo.
Lettura impegnativa, che consiglio a lettrici e lettori a partire dai tredici anni.

Eleonora

“Tracce”, W. Mills, Edt giralangolo 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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NON CI PERDIAMO!

Seb e la conchiglia, Claudia Mencaroni, Luisa Montalto
Verbavolant 2018


ILLUSTRATI

"C'è un posto che conosco solo io. Ci vado da sola, quando fa buio. Non è lontano da qui, ma nessuno conosce la strada. Nessuno tranne Seb. Seb parla una lingua che nessuno conosce, nessuno tranne me. Allora di notte io aspetto il silenzio, faccio pianino, trattengo il respiro, tra un piolo e l'altro del mio letto alto."

Poi si mette la felpa con il cappuccio e, come una sottiletta scivola fuori, lasciando a dormire nel letto la propria ombra.
Corre al fossato dove c'è Seb ad aspettarla e in silenzio la bambina gli porge una conchiglia. A lei, invece, rimane la sabbia tra le dita.
Fanno un patto quei due, un patto silenzioso e anche una corsa. Talmente veloce che gli occhi lacrimano lacrime salate.
E al mattino nel letto, al risveglio, la conchiglia è ancora là e anche la sabbia fra le dita.

Ci sono libri che si attaccano addosso. 
Questo è uno di quelli. 


Non è il primo libro da parati che arriva sul tavolo, quindi non dipende dall'insolito formato. No, le cose che lo rendono speciale sono diverse. 
La prima, l'immediatezza e la leggerezza di figure e testo.
Quest'ultimo stupisce più di ogni altra cosa: entra come un lampo a illuminare questa ragazzina e di riflesso prende luce anche Seb, attraverso le sue parole. Poi diventa simmetrico e gioca con se stesso ma soprattutto 'cattura' chi legge, in quella specularità di frasi ripetute, come un ritornello 'nessuno conosce...''nessuno tranne...'.
Accidenti, in tre righe quella bambina ha già un suo spessore e contorni ben definiti. Se ci fosse qualcuno che ne dubita, basta proseguire e arriva subito la conferma che si è di fronte a una ragazzina che sa il fatto suo e che, 'divina', crea e modella il racconto della realtà a suo uso e consumo. E nel raccontarlo non smette mai di giocare, pescando parole inaspettate e solleticando l'immaginario con visioni surreali di ombre che rimangono a dormire e di respiri che vanno e vengono e di cose dette in silenzio. 


Alla successiva apertura del grande sedicesimo arriva Seb che parrebbe sognatore almeno quanto lei. Lui parla con gli occhi, lui guarda profondo. A chi non è in quel fossato non resta altro che constatare la felicità cosmica di cui i bambini e le bambine sono capaci. La loro corsa.
E poi, e poi non resta che cadere con lei e riatterrare in un tempo reale, in un letto, con una conchiglia sotto il cuscino e ancora sabbia tra le dita: traccia di un percorso fatto.
Una delle cose che ho imparato a riconoscere, occupandomi a tempo pieno di libri per l'infanzia, è la sospensione del tempo durante il racconto. Non sempre chi scrive sente il bisogno di trovarla. Certo è che quando la si incontra la qualità della storia raccontata è di una spanna superiore. Precedenti illustrissimi a partire dagli archetipi di Alice e di Peter Pan, poi i notturni Häwelmann e Little Nemo di McCay, quindi Polly di Newell, poi Sendak e Erlbruch fino ad arrivare a esempi recentissimi e paradigmatici, quali Come? Cosa? di Negrin o l'ineffabile coppia di Sam e Dave alle prese con una buca...


Il canone prevede un avvio da un contesto di realtà da cui parte un percorso di misura diversa che però invariabilmente attraversi l'onirico, sconfini nel surreale, nel sogno - insomma in un altrove dove il tempo si potrebbe fermare o almeno andare a una velocità tutta differente. Il viaggio a ritroso verso la realtà può essere simmetrico rispetto all'andata (Sendak) oppure prevedere un 'risveglio' brusco quanto improvviso che, inevitabilmente porta sempre in sé tracce del tragitto percorso.
La conchiglia di Seb rispetta il canone, compresa la traccia della sabbia nelle dita.
C'è però anche dell'altro. Quella leggerezza e immediatezza di tocco che ha un suo corrispettivo efficace nei pennelli di Luisa Montalto. Più organica e originale del solito, è brava nel rispettare il 'crescendo' di misura che, un libro costruito così, impone, pur non perdendo la sua passione per le faccine da manga. E la sua soluzione per l'illustrazione finale merita un applauso, per il 'gioco' (nel senso di non esatta corrispondenza) che sa creare con il testo.
In ultimo va detto che non è passata inosservata la capacità da parte di chi scrive di rendere immediatamente materico, sensibile, il racconto. Ci sono suoni, sapori, sensazioni sulla pelle che son lì per essere percepiti e, ancora una volta, ti si attaccano addosso.


Bello!

Carla

FAMMI UNA DOMANDA!

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MA QUANDO E’ COMINCIATA?


Fa un certo effetto vedere, sia pur sinteticamente e ironicamente, esposta la storia dell’oppressione femminile, si può dire dagli albori dell’umanità. E’ quello che fanno Soledad Bravi e Dorothée Werner con un libro divertente e, nello stesso tempo, agghiacciante: ‘La grande avventura dei diritti delle donne. Perché esistono le disuguaglianze tra donne e uomini?’, pubblicato dall’editore Sonda.
Più debole nella primissima parte, dove sembra ignorare le società matriarcali, diventa via via più preciso e incalzante, raccontando senza mezzi termini le grottesche giustificazioni alla sottomissione del genere femminile.


Questa grande corsa nella Storia ci viene raccontata a vignette, improntate alla sintesi e all’ironia:
così vediamo una carrellata di abusi, giustificati spesso in modo stravagante. Dalle società antiche, come quella greca, in cui le donne erano poste sotto tutela prima del padre, poi del marito, o in quella medievale, in cui, secondo la dottrina della Chiesa, la donna, colpevole della tentazione nel peccato originale, viene considerata un essere imperfetto. Già qui sono evidenti le differenze di censo, perché diverso è il destino delle donne appartenenti alla nobiltà, cui talvolta capitava di comandare. Breve ed efficace la descrizione del periodo della feroce caccia alle streghe e della Santa Inquisizione, quando si estorcevano confessioni di oscuri patti col diavolo grazie alle raffinate tecniche di tortura. E a esserne oggetto erano spesso donne portatrici di sapienza, di conoscenze tradizionali.


Interessante, più di tutto questo, l’andamento contraddittorio, fatto di passi avanti e altrettanti indietro, dalla rivoluzione francese in poi, quando per la prima volta si affaccia la bandiera dell’emancipazione femminile. Da Olympe de Gouges alle suffragette, eroiche militanti inglesi, il tema dell’emancipazione femminile entra ed esce dal dibattito pubblico, fino al 1926 anno in cui le donne inglesi conquistano il diritto di voto.
Diritto che in Italia viene riconosciuto solo nel 1946. Da quel momento si sono susseguite molte tappe importanti, dalla legge sul divorzio, a quella sulla riforma del diritto di famiglia, alla legge sull’aborto, a quella sulla violenza sessuale e lo stalking. Queste battaglie le ho vissute tutte e riguardano una parte importante della mia giovinezza, in cui credevo che la Storia avesse intrapreso il suo viaggio verso un futuro luminoso, o anche solo migliore.
Mi sono dovuta ricredere, e i tempi recenti non fanno presagire nulla di buono.
Nonostante i suoi limiti, questo è un libro importante che dice due cose sostanziali: non c’è nessun elemento naturale che sancisca l’inferiorità delle donne; la questione chiave, e questo bisogna dirlo forte e chiaro, è sempre stata ed è tuttora, il controllo sulla riproduzione. La libertà femminile nell’uso del corpo è di per sé rivoluzionaria, nel senso proprio che mina uno dei cardini della società patriarcale. La seconda cosa: nessuna conquista è per sempre.


Quindi alle ragazze, e ai ragazzi, che si sono appassionati alle ‘bambine ribelli’, consiglio caldamente la lettura, veloce, agile, divertente, di questo libro che imposta la questione in modo del tutto differente. A partire dai dodici anni.

Eleonora

“La grande avventura dei diritti delle donne”, S. Bravi e D. Werner, Sonda 2018

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