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UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

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BUONA NOTTE! BUONA NOTTE!
 
Gabbiano più gabbiano meno, Silvia Borando, Marco Scalcione
Minibombo 2018
A taaavola!, Michael Escoffier, Mathieu Modet (trad. Federica Rocca)
Babalibri 2018



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni)

Sono due le cose che tengono assieme questi libri: il tema e il registro.
Nel primo caso siamo di fronte a una storia di gabbiani (più un ippopotamo e un alligatore). Uno stormo di quattordici gabbiani che, in mezzo all'acqua, si accalcano su un piccolo frammento di superficie all'asciutto. Ed è proprio la calca che spinge uno di loro, il più individualista di tutti, a 'migrare' un metro più in là su una seconda collinetta all'asciutto. Staccarsi dal gruppo non è mai un atto che passa sotto silenzio: merita da parte di chi lascia una certa forza di volontà e robuste motivazioni e da parte di chi resta è inevitabile quanto meno lo sconcerto. Il gabbiano che sceglie di separarsi non si limita a prendere la sua strada, ma piuttosto ci tiene a far sapere ai tredici rimasti, che lo guardano basiti, quanto lui finalmente stia meglio lontano da loro...


Nel secondo caso l'ambientazione è meno esotica: una casa all'ora di pranzo con un bambino svogliato a tavola e una mamma insistente con una spiccata dimestichezza con le fiabe...se si tiene che conto che è in grado di evocare lupi e orchi, come se nulla fosse.


Qual è dunque il tema che li tiene insieme? Le piramidi alimentari all'interno di un ecosistema. Sono due esempi di come in natura chi è sopra nella gerarchia alimentare si mangia che è più in basso, più piccolo, più debole. Con una sola piccola variabile data dal livello di intelligenza dei soggetti in questione. Un gabbiano pieno di sé e non proprio furbo soccombe tra le fauci di un alligatore, mentre i suoi compagni più prudenti e attenti si salvano. E un bambinetto furbo mangia di più di un lupo e di un orco che, sebbene potenzialmente pericolosi, rimangono a bocca asciutta...
Spetta comunque al secondo elemento comune, ovvero al registro, il merito più grande di questi due titoli. In entrambi i casi si è di fronte a un certo gusto per la cattiveria, tout court. Quella cattiveria che radica in alcune inesorabili leggi della vita. E che quindi ha dalla sua, non la gratuità, ma la necessità, ovvero la verità.


Sebbene solitamente tenuta a debita distanza nei libri per bambini così piccoli che, si crede, necessitano solo di rassicurazioni sul fatto che il male non esiste, sul fatto che nessuno muore mai, trova libero sfogo nei libri di alcuni autori che sembrano infischiarsene talvolta di certe 'delicatezze' nei confronti dei più piccoli. Silvia Borando è una di questi (suo per esempio Apri la gabbia!), al pari della consolidata coppia di crudeli francesi Escoffier/Maudet (Buon giorno postino!, Babalibri 2012).
Autori spesso sintonizzati nel raccontare storie con finali tutt'altro che lieti, ma, al contrario, inesorabilmente autentici. Lupi che fanno fuori vari animali in attesa di essere visitati dal dottore oppure serpenti che, a terrario aperto, inghiottono interi plotoni di innocui animaletti.


Questo genere di libri, lasciati spesso sugli scaffali da una certa censura esercitata da parte dei genitori, sarebbero invece tanto necessari quanto amati dai loro piccolissimi utenti.
In Svezia, 10.000 copie vendute di un libro che racconta con sole 94 parole una tra le più lugubri tragedie shakesperiane in cui, come è giusto che sia, muoiono tutti. E siccome non si può lasciare il piccolo lettore solo di fronte a tanto, con buona pace dei genitori, a chiusa del libro si legge un rassicurante: Tutti morti. Buona notte! Buona notte! 


Sogni d'oro!

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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OSCURE PRESENZE


Le ‘oscure presenze’ non sono una novità assoluta nei libri per ragazzi, senza pensare al sovrannaturale che serpeggia nei libri di Almond, con tutt’altra finalità. Nel nostro caso parliamo non tanto di generiche manifestazioni dell’aldilà, ma di presenze maligne che infestano un luogo. Qualcosa del genere si è visto con i libri della Ohlsson in cui la quotidianità viene turbata dai segni di presenze misteriose. In ‘Dark Hall’ di Lois Duncan, scritto nel ‘74 e tradotto ora da Mondadori per inseguire l’uscita del film tratto dal romanzo, abbiamo proprio un libro che affonda le proprie radici nella narrativa di ‘genere’, con tutti i cliché, e non è un male, che ne derivano.
L’ambientazione è quanto di più cupo si possa immaginare: una vecchia magione, con una storia tragica, che viene trasformata in collegio per signorine. Ma se pensate che il problema siano gli spiriti dei precedenti abitanti, siete completamente fuori strada.
La protagonista, Kit, è un’adolescente tranquilla, come lo può essere un’adolescente, piazzata dalla madre in quell’oscuro collegio perché in partenza per il secondo viaggio di nozze, sei mesi in Europa.
Dunque una ragazzina sola, orfana di padre, che può sentirsi a buon diritto abbandonata, si trova in un collegio frequentato da quattro ragazze in tutto e con tre insegnanti per niente rassicuranti. La descrizione dell’edificio è fatta per trasmettere alla lettrice e al lettore tutta l’inquietudine possibile: luci tremolanti, scricchiolii, porte che si chiudono solo dall’esterno.
Se le giornate hanno una parvenza di normalità, è la notte il momento in cui i peggiori incubi si scatenano. Sogni strani perseguitano il sonno delle ragazze, che al mattino si ritrovano con inusitati e improbabili talenti artistici. A rafforzare il senso d’inquietudine, apparizioni negli specchi, echi di parole. Kit ci mette poco a comprendere che qualcosa non va. Cerca in tutti i modi di mettersi in contatto con la famiglia e con l’amica del cuore, ma senza successo, è prigioniera della casa e dei suoi misteri. Pian piano si comprende il motivo per cui sono state scelte quelle ragazzine: sono potenzialmente delle medium, capaci di ricevere i messaggi da artisti del passato, consentendo loro di creare ancora e alla perfida direttrice di arricchirsi con i presunti capolavori ritrovati.
Tralascio l’inevitabile, e dovuto, finale catartico, che sta tutto dentro la tipologia del genere horror. E’ evidente che qui davvero sono presenti tutti gli stilemi del genere: la casa, che racchiude in sé i segreti dei suoi abitanti; e come non ricordare la ‘Casa degli anni scomparsi’, di Barker,  dove in realtà si gioca con le segrete aspirazioni dei bambini. Gli inquietanti abitatori, che nascondono sotto la rispettabilità finalità abbiette. La dimensione claustrofobica: un luogo da cui non si può scappare, che è la casa, ma anche la dimensione del sogno, involontaria e incontrollabile.
Infine la liberazione, che implica, trattandosi di un romanzo per ragazzi, la giusta punizione dei cattivi.
Come ho detto sopra, è un esempio di narrativa di genere, senza mezzi termini nel territorio delle storie di paura, in cui le presenze inquietanti prendono vita e si impossessano delle malcapitate. Non vanno cercati altri significati, se non la motivazione, più che legittima, di giocare con la paura, con i limiti, in termini di tematiche e di linguaggio, che sono necessari per un pubblico di lettrici e lettori ancora molto giovani.
Se sicuramente possiamo apprezzare maggiormente storie più articolate, più ‘letterarie’, con maggiore approfondimento psicologico, basti pensare a ‘Il nido’, di Oppel, dobbiamo ricordare sempre che nella narrativa di genere è proprio la corrispondenza ai canoni che più attira gli appassionati e le appassionate. Solo la dimestichezza con altre letture, con tante letture di tutti i tipi, può dare gli strumenti per distinguere buona e mediocre letteratura, letture che lasciano il segno o letture che vengono presto dimenticate.
Senza implicazioni psicologiche di grande rilievo, questo romanzo alla fine è un romanzo d’evasione, che si legge d’un fiato, con un’autrice che dimostra grande mestiere nel tenere in piedi la trama. Non è poco.

Eleonora

“Dark Hall”, L. Duncan, Mondadori 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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PETER SEMPREINPIEDI

Peter il gatto, Nadine Robert, Jean Jullien (trad. Janna Carioli)
Lapis 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Finalmente libero, Peter il gatto si alza sulle zampe posteriori.
'E così tu saresti Peter! Ma... stai in piedi!?'
Filippo non ha mai visto un gatto camminare su due zampe. Ma che importa, ha sempre sognato di averne uno. E così, da quel giorno, ha adottato Peter."


Mentre è lì che fa colazione, Filippo sente un forte miagolio. Pensa sia il gatto della vicina, ma poi scopre che viene dalla scatola che è davanti alla sua porta di casa da cui pende un cartello con su scritto PETER. La apre e quello che vede è per l'appunto un bel gatto nero e bianco, un po' pezzato come se portasse la livrea di un pinguino o di un cameriere.
 

E come il pinguino o il cameriere sta felicemente sulle zampe posteriori. Ma questa non è l'unica peculiarità di Peter. Delle cose da gatto non ne fa nessuna (o perché non è capace o perché non ne ha voglia). Non caccia i topi, ma li insegue sullo skate, non gioca con i gomitoli di lana, ma sa servire il tè. Non si arrampica sugli alberi ma fa yoga... Tuttavia la cosa migliore che lo distingue da tutti gli altri, semmai ce ne fosse bisogno, è il recupero di una pallina rosa: per prenderla si lancia, vola e l'afferra. E poi c'è un'altra cosa ancora che lo rende amatissimo agli occhi di Filippo. Ma non la svelo.

Peter, il gatto non è che l'ultimo degli animali che Jean Jullien ha disegnato nella sua scoppiettante carriera di illustratore. Tra i libri italiani si può ricordare l'insuperato Attenti al gufo! e tra gli stranieri Ralf., il cane bassotto estensibile.
In un disegno sempre molto riconoscibile - un tratto nero continuo per segnare i profili, colori piatti, esilarante espressività dei personaggi e ironia a secchi- Jean Jullien dimostra di essere un eccellente comunicatore attraverso un canale poco frequentato: la semplicità.
Comunicare cercando di essere semplice non è roba da tutti. E' roba da graphic designer. Che è esattamente quello che lui è. In realtà Jullien, francese di nascita ma inglese di adozione, è un affermato pubblicitario e i suoi libri illustrati non sono che una goccia nel mare della sua varissima e sconfinata produzione.


Le caratteristiche comuni che segnano i suoi libri si ritrovano anche in contesti molto diversi dunque, ma sono sostanzialmente dei fili rossi che li attraversano: semplicità, ovvero leggibilità, comunicabilità, ovvero capacità di trovare un codice comune, ironia, ovvero il ribaltamento di prospettiva.
Ed è forse quest'ultima caratteristica a tenere insieme il testo di Nadine Robert con il disegno di Jean Jullien.
L'ironia di Peter il gatto si concentra in due punti soprattutto. Da una parte il gioco narrativo messo in piedi nel dialogo tra i due amici, laddove la prima Adele - elenca le cose che fanno i gatti di solito cui Filippo controbatte rilanciando le peculiarità del gatto in piedi. Dall'altra parte è proprio nei contenuti, ovvero nell'assurdo che si aggiunge all'assurdo che il divertimento si moltiplica. 

Quindi non è solo la forma che a ogni giro di pagina, come un metronomo, si ripete, ma è in particolare nel 'crescendo' di cose che il gatto fa come normali per lui che i lettori trovano il massimo del godimento e della risata. 

A questo si aggiunge il registro ironico che Jullien ha connaturato nel suo segno. Da godere, una per una le facce e i gesti del gatto Peter (che spesso e volentieri sconfinano sulla doppia pagina), a ogni giro di foglio. 


Va da sé che un adulto - possibilmente in cerca di spunti di riflessione se non addirittura di perniciosi insegnamenti - potrà utilizzare Peter il gattocome esca per dimostrare ai suoi piccoli ascoltatori che essere diversi, e possibilmente unici, è un valore in sé.


Lasciamoglielo fare. Non ci sono controindicazioni.

Carla

FAMMI UNA DOMANDA!

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SULLA STRANEZZA DEGLI ANIMALI ANTICHI


Collocarsi con originalità nel panorama dei libri sugli animali preistorici è un’impresa per pochi.
Come è noto, animali ‘eccessivi’, come i peggiori predatori del pianeta, dal T-Rex alla tigre dai denti a sciabola, è uno degli argomenti più richiesti dal pubblico degli appassionati lettori e lettrici dai quattro ai sei anni, per poi diventare, per alcuni, passione quasi maniacale.
La scelta operata da Maja Safstrom, in linea con il precedente ‘Il piccolo libro dei grandi segreti degli animali’, è quella di operare tre forti discontinuità con la produzione corrente. Non si parla, volutamente, di dinosauri ma di animali vissuti fra i 550 milioni di anni fa e gli 11 mila. Un arco temporale lunghissimo, scandito da alcune tappe identificate con questo o quel animale preistorico. L’esclusione dei dinosauri e l’assenza di qualsiasi riferimento all’ambiente e alla tassonomia costituiscono un approccio decisamente diverso dalla consueta carrellata di animali, affiancata da schede esplicative. E’ anche evidente che a fianco delle illustrazioni sono presenti delle informazioni brevi in forma di didascalia che aiutano il lettore e la lettrice a farsi un’idea. L’altra discontinuità è data dallo stile illustrativo, che abbandona qualsiasi tentazione di resa realistica del soggetto, in un rigoroso bianco e nero, sottolineandone, al contrario, il lato buffo, grottesco, singolare.
Infine, il formato, che è quello di un libro tascabile, con quasi cento pagine.


Sicuramente, a differenza di libri più tradizionali, questa impostazione spinge ad un uso libero dell’oggetto libro, a prescindere anche dal contenuto scientifico, ma nello stesso tempo contiene informazioni interessanti, curiose, sui singoli animali.
Lo stile della Safstrom tende a stilizzare fortemente i diversi soggetti, in stretta connessione con le caratteristiche descritte nel testo.
Se devo essere sincera, ho qualche perplessità sulla capacità di catturare l’attenzione dei giovani lettori e lettrici, che cercano nei libri sugli amati animali, più o meno mostruosi, un gran numero di informazioni e che immaginano mondi fantastici in cui collocare i loro beniamini. La quantità di informazione ovviamente non c’è: c’è lo spunto, l’accensione della scintilla di curiosità che porta ad andare oltre il più ovvio e conosciuto. Ma questo richiede una forte mediazione adulta, che dia un seguito credibile ai perché e per come che inevitabilmente ne derivano.


Andrebbe testato, ovviamente, con i diretti interessati, che in libreria sono attratti di solito da testi più grandi, più colorati.
Per noi adulti è una miniera di scoperte e di sorrisi per l’ironia con cui l’autrice ci racconta un mondo scomparso.

Eleonora

“Il piccolo libro degli animali del Mondo Antico”, M. Safstrom, Nomos edizioni 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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BUONANOTTE, BUONA NOTTE!

C'è un rinofante sul tetto!, Marita Van Der Vyver, Dale Blankenaar
(trad. Virginia Portioli e Csaba dalla Zorza)
LupoGuido 2018


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Daniel va a dormire per la prima volta a casa dei nonni. Il nonno gli legge la storia di un soldato valoroso. La nonna gli canta la canzone di un topolino coraggioso che corre sopra un orologio. Adesso è ora di addormentarsi.
Il letto però non è comodo come il suo. La stanza gli sembra più buia della sua. E sente uno strano rumore sul tetto..."

Potrebbero essere rinofanti suggerisce Daniel al nonno accorso alla sua invocazione. Il nonno sa che dai rinofanti non c'è nulla da temere e con un paio di colpi di bastone sul soffitto mette in fuga quelle bestie. Uscito il nonno dalla camera, un altro rumore, dietro la tenda della doccia, spaventa quel bambino. È la nonna a far scappare il coccopotamo dalla vasca: basta fare bu. Ma nel buio della stanza da quello spiraglio aperto tra le ante dell'armadio brillano gli occhi di una dragoraffa. Il nonno bussa sull'armadio e poi lo apre all'improvviso per scoprire che nessuna dragoraffa si nasconde lì, sul ripiano solitario il maglione della nonna con i suoi bottoni luccicanti.
La notte di Daniel è piena di paure. Sotto il letto c'è qualcosa...e sopra il letto cosa ronfa?

Per Goya il sonno della ragione genera mostri, per un bambino il buio della notte genera mostri. È capitato a tutti, una prima volta di dormire nella casa dei nonni, diversa per forme e per odori dalla propria. 


Ed è capitato a tutti di immaginare, in quel luogo inconsueto, in una penombra tutta diversa presenze sconosciute. Scomode e inquietanti.
Il buio - va detto - fa paura ovunque, ma laddove i profili degli oggetti e dei luoghi sono la consuetudine, l'immaginazione va più lentamente e il sonno, quando deve arrivare, arriva. E anche se i nonni sono garanzia di protezione, tuttavia la loro casa avvolta nell'oscurità può far paura anche al più coraggioso dei nipoti.
Scritto più di vent'anni fa per la prima volta, quindi ripubblicato in anni più recenti, C'è un rinofante sul tetto! di Marita Van Der Vyver, prolifica scrittrice afrikaans, è un sapiente concentrato di topoi dell'immaginario, infantile e non solo, legati al mistero e all'inquietudine. Non direi che sia necessario citare esempi eclatanti per la letteratura e per il cinema in cui tetti, armadi socchiusi, tende e coperte nascondono un pericolo imminente e potenzialmente fatale.


Ognuno di noi ha i propri, così come ognuno di noi ha ricordi ben precisi della casa dei nonni, per la prima volta in notturna.
Ulteriore merito di questo albo risiede nella costruzione del testo e nella sua musicalità: se da un lato il turbamento per rumori e ombre ha qualcosa di spaventoso, dall'altro trova una sorta di antidoto nel divertente elenco di mostri, frutto della fusione tutta fantastica di animali effettivamente esistenti e quindi come tali riconoscibili. 
A questo si aggiunga un ritmo di narrazione equilibrato e ben cadenzato, a tal punto da creare nel lettore una immediata aspettativa, il più delle volte riconfermata.
Fatta eccezione per il colpo di coda finale che spariglia le carte del gioco.
In questa seconda vita di C'è un rinofante sul tetto! l'illustratore è cambiato, ma un filo rosso lo lega al primo, dato che nella sua carriera è stato suo mentore e maestro: il grandissimo Piet Gobler è l'illustratore dell'edizione del 1996, mentre il giovane Dale Blankenaar di quella attuale.
Giovane illustratore e designer sudafricano, Blankenaar da Gobler dice di aver ereditato quel sottile senso dell'oscuro che parla a grandi e piccoli. A me non pare di ritrovare in queste tavole sempre sull'orlo del macabro i temi cari a Gobler, che ricordo come autore solare e coloratissimo. Mi pare che siano piuttosto le atmosfere lacombiane o goreyane a caratterizzare il suo disegno. Originale, qui più che altrove, nell'uso di una tecnica mista mi pare felice nella costruzione spaziale degli interni asfittici, e nei tagli prospettici arditi. 


Certamente più originali rispetto all'iconografia dei mostri. Divertimento nella scoperta dei dettagli, moltissimi, e nell'impaginazione così mutevole che testimonia una dimestichezza da grafico nell'impostare il rapporto tra immagine e testo.


Tuttavia, a prenderlo in mano, non riesco a non pensare a una somiglianza con i libri di Jeremy Holmes e in particolare, forse per il formato (anche se decisamente meno complesso), al bellissimo C’era una volta una vecchia signora che ingoiò una mosca (Aliberti 2010), che all'epoca vinse il Bologna Ragazzi Award. A ben vedere, il piccolo Daniel con i suoi occhi sgranati di paura sembra il cugino dei mitici gemelli John e Abigail Templeton (Gallucci, 2013; 2014). Solo un po' più fifone di loro.


Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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BARCHE LEGGENDARIE E MISTERIOSE


Nel romanzo di Alessandro Zannoni, ‘La leggenda di Berenson’, pubblicato da Pelledoca qualche mese fa, tutto ruota intorno a un bel cabinato, comprato di seconda mano dal padre del protagonista, Mongi. Con grande entusiasmo il ragazzino partecipa ai lavori di restauro della barca, su cui intende andare a vivere. Proprio nel corso di questi lavori, sotto le assi del pavimento della sua cabina, trova un diario, quello della precedente proprietaria, morta in circostanze misteriose sei anni prima.
Nel diario si fa riferimento alla leggenda di Berenson, un uomo che lavorava al porto di La Spezia durante la guerra e aveva aiutato alcuni nazisti a fuggire, in cambio di una cassa piena di dipinti di grande valore. Nascosta la cassa, Berenson lasciò degli indizi relativi alla sua collocazione. Una appassionata antiquaria, Carlotta Alessandrini, la precedente proprietaria della barca, si era messa sulle tracce di questo tesoro, ma, naturalmente, non era l’unica a volerlo. Chi l’aveva pedinata e poi uccisa è ancora sulle tracce del tesoro artistico e incrocia la sua strada con quella di Mongi e dei suoi amici, che lo aiutano nelle ricerche.
Tutto converge verso un finale concitato, con molti colpi di scena, ma senza un lieto fine totale.
Questo romanzo breve, adatto a lettrici e lettori dai dieci anni in poi, attraversa molti generi d’avventura: è principalmente una spy-story, ma con un accenno di occultismo; c’è una vera e propria indagine da detective story, in cui si parte dagli indizi per ricostruire il puzzle della verità, e nello stesso tempo un’accurata ricostruzione d’ambiente: l’azione si svolge a Sarzana, bellissima cittadina a cavallo fra Liguria e Toscana, che l’autore conosce molto bene e che ci descrive nel dettaglio. Mi è sembrato interessante, in particolare, il riferimento storico alla fuga dei nazisti, sotto mentite spoglie, alla fine della guerra, che ha mortificato il desiderio di giustizia di chi ne ha subito la furia distruttrice; e il trafugamento di opere d’arte, operato dalle truppe tedesche, ma non solo da loro. E’ anche questo un modo per raccontare un aspetto meno conosciuto della Seconda Guerra Mondiale.
Se volete, potete leggere l’intervista all’autore sul blog Mangialibri.
Interessante è anche la proposta editoriale di Pelledoca, che coraggiosamente propone un catalogo di noir, thriller e storie di mistero rivolte ai ragazzi.
Con una produzione abbastanza scarsa, in questo ambito, e con molte resistenze da parte di insegnanti e genitori, trovo invece che il terreno delle storie di paura sia estremamente fertile, ovviamente evitando gli aspetti più morbosi e violenti che il genere può presentare. Qui invece abbiamo una scelta di titoli interessanti che declinano il tema in modi diversi e con grande cura anche nell’aspetto grafico, nella carta, nelle copertine. E questo, ovviamente, è un merito in più.

Eleonora

“La leggenda di Berenson”, A. Zannoni, Pelledoca editore 2018




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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BUONI MAESTRI
 
Il bambino dei baci, Ulf Stark, Markus Majaluoma 
(trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2018


NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"In camera sua la finestra era socchiusa, per far girare un po' l'aria. Lei si era ripulita e pettinata, si era lavata i denti e anche messa il vestito elegante. 'Sei pronta o no?' le chiesi. 'Manca solo una cosa' rispose. Poi andò a prendere un giradischi portatile e mise su un disco con della musica per violino e fisarmonica. Disse che al primo bacio bisognava fare le cose per bene."


Il piccolo Ulf è un fratello minore. Ed è a un passo da due eventi importanti della sua vita: la gara di corsa con i sacchi e il primo bacio.
Come ogni fratello piccolo nei confronti del fratello maggiore alterna momenti di assoluta riverenza a momenti di consapevole autonomia. E anche di fronte a questi due eventi - gara e bacio - il piccolo Ulf non può fare a meno di ascoltare il fratello pur volendo, nello stesso tempo, dare retta a se stesso.
A parlar di baci e di corse coi sacchi, quel giorno sulla spiaggia dove le donne vanno a fare il bagno svestite, con suo fratello Janne ci sono altri due amici grandi. Loro, di baci se ne intendono perché ne hanno già dati un bel po'. Addirittura dieci, spara Janne. E anche di corse con i sacchi ne sanno certo più di lui che l'anno scorso è caduto a faccia avanti dopo solo due salti, facendo una brutta figura che ancora brucia.
Se la rinuncia alla corsa coi sacchi non gli sembra disonorevole, al contrario la questione del bacio e del solletico che provoca sulle labbra lo stuzzica al punto di voler alzare il tiro e baciare la ragazzina più carina dell'universo.
Come andranno le cose non viene scritto qui, di proposito.

Come spesso accade nella vita vera sono i buoni maestri a fare la differenza.
E tanto per la corsa quanto per il bacio, il piccolo Ulf è stato bravo a trovarsi il migliore, anzi la migliore.
Non arriva a 50 pagine questo brevissimo racconto di Ulf Stark eppure ha il piglio di un libro necessario. Un libro che ogni ragazzino o ragazzina dovrebbe aver letto e dovrebbe tenere infilato in tasca per rapide consultazioni alla bisogna.
Scritto e quindi poi tradotto con la stessa naturalezza e freschezza che ha l'acqua corrente in montagna, Il bambino dei baci colpisce per diversi motivi.
Il primo è in qualche modo già detto: la scorrevolezza di un testo che nella sua alternanza tra dialoghi e riflessioni interiori dell'io narrante è talmente autentico che diventa specchio di realtà in cui ognuno può riconoscere porzioni di se stesso. E questo a prescindere da età, sesso e latitudine di nascita.
Va da sé che se così stanno le cose, dipende dal fatto che Ulf Stark sulla questione è stato capace di centrare il bersaglio più profondo, andare al nocciolo duro.
Ha raccontato con onestà la curiosità dei bambini in crescita, l'approccio fattuale e non speculativo che hanno i piccoli di fronte a ogni questione. Ha saputo ricreare con autenticità la relazione che esiste tra fratelli, il suo modificarsi dal giorno in compagnia alla notte a tu per tu, come pure ha saputo mettere nero su bianco certo cameratismo 'naturale' tra maschi e femmine, lontano da ogni preconcetto e 'pruderie' adulta. E soprattutto ha saputo registrare la magnifica capacità dei ragazzini di sapere vedere oltre, ovvero di essere in grado di interpolare sfere tra loro molto diverse, che per gli adulti sarebbe impensabile anche solo avvicinare.
Cosa c'entra saper baciare con il saper correre nei sacchi di patate senza inciampare?
Insomma, cose di non poco conto.
E questo, per amore di verità, non è affatto frequente: questo accade solo in quei pochi adulti che hanno saputo da grandi ricordare parti della loro infanzia, ovvero quegli adulti che di essa sanno ancora 'leggere' la lingua e parlarla, o meglio tradurla, nonostante il loro essere adulti. Ripeto: non è roba da tutti.
Non so se dipenda dal clima, ma mi pare quasi lapalissiano affermare che la letteratura del Nord in questo senso è un passo avanti agli altri. Ne deriva che le case editrici come Iperborea, che dell'estremo nord dell'Europa hanno fatto il loro terreno di cultura, siano da tenere sempre sotto osservazione.
Raramente li ho visti sbagliare un colpo.

Carla
 


Noterella al margine. In totale autonomia Markus Majaluoma suggerisce una ipotetica colonna sonora per primi baci, qualora la musica di violino e fisarmonica scelta da 'Armata Rossa' non fosse di facile reperimento. Geniale, a suo modo.

ECCEZION FATTA!

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Blog in pausa


 

meritato riposo
 fino al 19 agosto


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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UN LIBRO ESATTO

I figli del mastro vetraio, Maria Gripe, Harald Gripe
(trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2018



NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni)

"Era soprannominata Svolazza perché girava sempre con un pastrano color indaco con la pellegrina, i cui lembi le svolazzavano dietro le spalle come grandi ali. In testa, poi, portava un cappello davvero singolare: una specie di collinetta viola ornata di farfalle, con la testa tutta cosparsa di fiori.
Quanto al Beltempo, la chiamavano così perché si diceva preannunciasse sempre la bella stagione."

Svolazza Beltempo, oltre a sapere quando la primavera è in arrivo, sa leggere il futuro. E quando c'è la fiera lei è lì con la sua tenda per predirlo a chi lo chieda. Non lo fa per soldi, ma per passione. La sua attività principale è però un'altra. Tessere tappeti su cui lei fa nascere tessiture che molto hanno a che fare con le sue previsioni. Insomma, Svolazza è una persona molto particolare e così anche il suo animale da compagnia, un corvo che ha perso un occhio, quello con cui era in grado di vedere il male. Ora la sua vita, quella del corvo, è tutta rose e fiori.


A quella fiera d'autunno che il villaggio di Penuria ospita ogni anno, Svolazza è presente, ma c'è anche l'intera famiglia del mastro vetraio Alberto, la moglie Sofia e i due bambini Chiara e Pietro che nel nome portano il ricordo del mestiere del padre. Di solito, Alberto alla fiera vende poco i suoi bellissimi vasi ma quella sera, un ricco e nobile signore ne compra a sufficienza perché Alberto possa finalmente fare un regalo a Sofia: un anello dalla pietra verde cangiante che lei ha notato due banchetti più in là. Sarebbe potuta essere una sera serena se non fosse stata segnata da brividi e presagi che Alberto e Sofia avvertono intorno a loro. Primo fra tutti il rifiuto di Svolazza di predire loro il futuro e la sua inspiegabile richiesta di quell'anello che Sofia porta al dito...
È alla fiera di primavera, però, che i tristi presagi si realizzano: i due bambini spariscono nel nulla perché quel ricco e nobile signore che aveva comprato i vetri di Alberto li rapisce e li porta con sé a vivere nel Palazzo dei Desideri. Lì, nella cupezza e nel silenzio, vive con la triste consorte e la servitù. Nel lusso, ma nella totale mancanza di affetto, i due bambini crescono lontano dai loro veri genitori, accuditi da una balia enorme e dispotica.
In questa situazione che sembra senza soluzione, sono fondamentali Svolazza, il suo corvo e l'anello. Ma molto deve ancora succedere.

Denso e abbondante. Nell'intreccio dei fatti così come nei temi che tocca. Ha la consistenza di una fiaba che però, lasciata momentaneamente la magia, si avventura in una direzione quasi psicoanalitica, per poi ridiventare fiaba in un finale esatto come un cerchio che si chiude.
Per questa ragione, la lettura è quanto mai stratificata; ovvero ognuno può decidere di cogliere aspetti diversi del racconto. Da una parte ci sono la fiaba e il mito: le figure femminili di Svolazza Beltempo e il suo corvo Savio (il suo occhio mancante ricorda quello di Odino), e di Nana con la sua piccola cacatua muta, o dei due sovrani consorti, che ricordano parecchio i sovrani bisbetici di molte altre fiabe. Gli oggetti che, come già in Andersen, dimostrano di avere una loro anima: i tappeti narranti, i vetri di Alberto, gli specchi che non riflettono, o le bambole-feticcio vestite di velluto. 


Altrimenti ci sono i luoghi: il profondo Nord con il suo popolo, i suoi artigiani, con i suoi carri, i suoi boschi e i suoi castelli solitari e una toponomastica a dir poco simbolica. Altrimenti ancora ci sono le atmosfere: la semplicità della vita della famiglia del mastro vetraio, la cupezza e la solitudine della vita a corte, a cui fa da colonna sonora il delicato soffio del vetro nella bottega di Alberto e il suo stridente infrangersi nelle sale vuote del castello. Non è un caso che spesso l'immaginario della Gripe sia stato paragonato a quello delle sorelle Brontë o di Edgar Allan Poe.


Chi vuole può apprezzarne il lato avventuroso e misterioso:il doloroso distacco tra genitori e figli, per ambedue inspiegabile, e la loro vita in separatezza; lo scontro finale fra il Bene e il Male che le due sorelle ritrovate, Svolazza e Nana, incarnano rispettivamente.
E in ultimo c'è l'indagine introspettiva dei personaggi che assume spesso e volentieri connotati simbolici: in particolare dei grandi di questa storia, ma non solo. Sofia, estremamente vulnerabile e sensibile, che si sente trascurata dal marito e dalla buona sorte, donna avveduta ma perennemente insoddisfatta; Alberto che, al contrario di lei, è un grande sognatore e, nonostante la povertà, dell'esistenza sa sempre cogliere il lato positivo. Oppure i due coniugi a corte, il sovrano e la sovrana, che più di tutti incarnano la difficoltà umana di relazionarsi: l'uno incapace di mettersi nella posizione di ringraziare e l'altra fermamente decisa a non esprimere alcun desiderio o ricordo. E in questo spetta a Svolazza il merito di aver sanato il conflitto tra i due, come avrebbe fatto un bravo psicoanalista. Ma anche i piccoli non sono esenti da una indagine introspettiva che assume un forte significato simbolico, quando - per esempio - si trovano davanti a uno specchio e cercano di capire se sono davanti al loro doppio, o quando la loro immagine scompare e pensano di non esistere più, o ancora quando si vedono cresciuti, e riflettono sul loro triste destino.
E oltre a tutto questo c'è una scrittura felice (che tale rimane nella traduzione), attenta e studiata che alterna, al passato per descrivere la dilatazione della fiaba, alterna il presente per dare corpo all'azione. Contributo non irrilevante è dato dalle figure di Harald Gripe. Prima scenografo e pittore, quindi illustratore di molti libri della moglie, spesso disegnava attraverso la linea bianca incisa su fondo nero che crea l'effetto dell'incisione e rende magnificamente le atmosfere oscure (purtroppo un po' impastate nella porosità della carta) di un tempo al di là del tempo.
Insomma ce n'è per tutti.

Carla

Noterella al margine: Con I figli del mastro vetraio Maria Gripe, autrice che ha ricevuto anche l'ALMA, ha vinto l'Hans Christian Andersen nel 1974. Dal racconto, già pubblicato da Mondadori nel 1988, è stato tratto anche un film nel 1998 intitolato I figli del soffiatore di vetrodi Anders Grönros.

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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OLTRE LA PORTA DI GIADA

Le principesse della seta e altri racconti
Alessandra Valtieri, Mauro Evangelista
Bompiani 2018


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Stava per portare la tazza alle labbra quando qualcosa cadde da sopra la sua testa e finì dentro il tè. Qualche istante dopo, quello che sembrava il guscio di una strana nocciola biancastra cominciò ad ammorbidirsi. Lei-Tsu lo sfiorò con un dito e un filo sottilissimo, lucido e trasparente, le si attaccò al polpastrello. Cominciò ad avvolgere il filo intorno al dito, e più lo avvolgeva, più se ne srotolava."

La giovane moglie dell'imperatore della Cina ha appena scoperto la seta. Un bozzolo le è appena caduto nella tazza. I gelsi del suo giardino, all'ombra dei quali prende ogni giorno il tè, si stanno sfrondando uno a uno. Misteriosamente le foglie da verdi e carnose si riducono a scarni ventagli. Che accade è un mistero e non serve mettere accanto al tronco di ogni albero due sentinelle: i bachi lavorano in silenzio. E anche bozzoli fatti di lunghi e resistenti fili sono il risultato di un lavoro lento e muto.
Sono le sottili e delicate dita delle sue ancelle a raccogliere i bozzoli e a filare nei telai costruiti apposta questo tessuto leggero come l'aria. Per secoli la seta è stata un segreto delle donne alla corte dell'imperatore della Cina fino al giorno in cui la principessa Lushi, andando in sposa al sovrano del Khotan, nasconde nella sua capigliatura ornata di foglie di cannella le uova dei bachi e i semi dei gelsi li fa passare nei bauli come medicinali. Chi avrebbe però saputo coltivarli e tessere i loro lunghissimi fili? Tre delle sue più fedeli ancelle che lei ha voluto con sé.
Il primo tratto della via della seta è aperto!

Una raccolta di sedici racconti (Le principesse della setaè solo quello che ha avuto il merito di conquistarsi il titolo) che provengono dalla tradizione cinese e che, in occasione della fiera di Bologna che ha visto la Cina come paese ospite, Bompiani, nella persona di Beatrice Masini come editor, ha pubblicato. 

 
A parte un formato, una carta e una veste grafica che si conferma molto elegante, questo libro colpisce per il fatto che è il risultato di una ricerca approfondita e accurata che ha come esito un'opera dell'ingegno italiano, che si immerge in una cultura diversa. Entrambi, Alessandra Valtieri e Mauro Evangelista, riscrivono o per meglio dire 'traducono' i materiali emersi dal loro lavoro di indagine sulle fonti.
Entrambi apprezzati per le capacità dimostrate nei loro rispettivi campi d'azione - la traduzione e l'illustrazione - qui si cimentano con modalità espressive insolite. Mauro Evangelista dà una personale e nel contempo ossequiosa interpretazione dell'acquarello tradizionale cinese, usando il nero di rigore e firmando ogni tavola con un ideogramma che riproduce le proprie iniziali. Cosa fa Alessandra Valtieri? Avvia un'accurata indagine sulla grande mole di testi di sinologi tedeschi e anglosassoni tra Ottocento e Novecento e, con questo materiale, fa quello che sa fare molto bene: 'traduce' in una lingua varia e attenta. 



Nella scelta dei materiali da pubblicare, per la quale si può pensare che anche Beatrice Masini abbia detto la sua, si è cercato di offrire a chi legge una sorta di mappa per orientarsi in un panorama culturale ancora da esplorare. Icone conosciute come la Grande Muraglia, o lo Zodiaco, o il gioco degli gli scacchi, o ancora le lanterne qui mettono radici nel nostro immaginario. Ogni racconto, dalla favola della cicogna e dell'anguilla, fino al racconto dell'arciere spavaldo o del monaco generoso, trova il proprio senso nei principi filosofici. Dal Tao al Buddha si ragiona di lealtà, di pazienza, generosità, di concentrazione e compassione e di saggezza.
Da tenere a mente.

Carla

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MAMMA ROBOT 


Il romanzo di Peter Brown , ‘Il Robot selvatico. Una storia di amicizia e amore universale’, estensione impropria di un più sobrio ed efficace titolo originale ‘The Wild Robot’, mi era sembrato da subito un testo interessante, se non altro originale, impiantando un robot sopravvissuto ad un naufragio in un’isola abitata solo da animali. In effetti, il testo mantiene tutte le premesse, con qualche aspetto irrisolto.
Vediamo la trama: Rozzum 7134 è una macchina seriale, unica a rimanere integra dopo un naufragio. Viene attivata per caso da alcune lontre marine, animali curiosi per definizione, e la sua natura, o meglio la sua programmazione, la spinge a mantenersi ‘viva’ e a custodirsi. Ed è quello che fa, ripulendosi e cominciando ad esplorare l’isola in cui è capitata. Nel corso di questa esplorazione, incontra numerosi animali, di cui comprende il linguaggio; percepito all’inizio come una strana creatura ostile, riesce a conquistarsi la fiducia di un numero crescente di animali, ma il vero punto di svolta è quando raccoglie un uovo che sta per schiudersi, rimasto solo dopo la morte delle oche che se ne prendevano cura. Qui, con questa strana adozione, Rozzum, detto, Roz, diventa mamma di un anatroccolo petulante, che però gli/le cambierà la vita.


Per poterlo accudire, Roz costruisce con l’aiuto dei castori un rifugio grande e solido, all’interno del quale può accendere un fuoco e intorno, grazie ai suggerimenti di una cerva, fa crescere un rigoglioso giardino, dove magari i vari animali, nel corso della tregua dell’alba, possono venire a chiacchierare tranquillamente.
Beccolustro, l’anatroccolo, intanto cresce ed aumentano le sue capacità: in breve diventa un bel maschio di oca, capace di compiere lunghi viaggi; ed è quello che fa, mettendosi in volo all’inizio dell’autunno, insieme al suo stormo. L’inverno in effetti sarà durissimo e Roz si prodiga ad aiutare gli animali dell’isola, costruendo ripari e insegnando loro ad accendere un fuoco (!). Tanta generosità verrà ripagata nella primavera successiva, quando la ditta costruttrice dei robot invia una squadra di creature meccaniche a recuperare quello che è rimasto sull’isola, Roz compreso/a.
Tutti gli animali si mobilitano in difesa di Roz, mettendo a disposizione le loro armi. Una lunga, durissima lotta porta ad una vittoria parziale dei coraggiosi amici, che vedranno però partire Roz con la promessa di un veloce ritorno, che è oggetto del secondo romanzo dedicato al robot selvatico.
Dunque, qui abbiamo un romanzo d’avventura con una forte impronta favolistica, e non stupisce che la Dreamworks ne abbia acquistato i diritti per farne un film d’animazione, che parla all’immaginazione di bambini e bambine che, in termini di capacità di comprensione, possono affrontare questo testo a partire dai sei anni, attraverso una partecipata lettura ad alta voce. Ci sono alcuni tratti originali: l’immaginare l’autoistruzione del robot abbandonato, che lo porta a familiarizzare con i linguaggi e gli usi e costumi animali, il suo progressivo adattamento ad un ambiente sconosciuto e, almeno all’inizio, ostile. E qui sta l’invenzione più originale, quella appunto del robot selvatico: ‘Quella primavera fu un tempo di grande selvatichezza per il nostro robot’. E’ evidente il richiamo ai grandi testi della fantascienza anni ‘60, da Simack ad Asimov, per finire a Philip Dick. Sullo sfondo di questa storia movimentata c’è il grande interrogativo sulla natura dell’intelligenza artificiale, su cosa ci separi da essa, quanto possa simulare stati d’animo e sentimenti, quanto possa imparare. Interessante anche la scelta di eliminare qualsiasi presenza umana, lasciando la scena al non-umano.

 
Certo, più in superficie, c’è una visione un po’ disneyana della natura, dove tutto è armonico e perfetto, anche se capita che ci si possa mangiare l’un l’altro. Qui c’è un po’ più di superficialità, per altro evidenziata anche dalla nota finale dell’autore, che avvicina animali e robot grazie alla ‘meccanicità’ dei loro comportamenti. D’altra parte questa visione del mondo animale e la sua umanizzazione costituiscono le basi di un efficace film d’animazione.
Peter Brownè un giovane autore americano, che ha già ricevuto numerosi premi; viene dal mondo dell’animazione e questo in parte in questo caso è un limite nel pensare una storia che ad una lettura superficiale può sembrare fondata solo sui buoni sentimenti. Brown è anche illustratore, dote di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Nelle descrizioni e recensioni che ho letto, si parla quasi sempre di un robot femmina, anche se l’autore parla di un robot mamma. Le due cose non si identificano necessariamente e spero che l’apertura mentale dell’autore trovi riscontro in quella dei lettori e lettrici (adulti).

Eleonora

“Il Robot Selvatico”, P. Brown, Salani 2018


FAMMI UNA DOMANDA!

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DOMANDE PER PICCOLI


Se ne parla di meno, anche perché la produzione è più occasionale e ripercorre, con poche eccezioni, percorsi già consolidati: è la divulgazione destinata ai bambini di scuola materna, soprattutto a partire dai quattro anni.
Vi segnalo una nuova collana, che mi sembra abbia non pochi meriti, ma anche qualche limite.
L’autore è Martin Jenkins, che si avvale della collaborazione di diversi illustratori, Hannah Tolson e Richard Jones. L’editore originale è la Walker Books, in Italia la traduzione è di Fatatrac, storico editore per bambini, ormai parte integrante del gruppo Giunti. Si tratta, per ora, di due albi che raccontano le stagioni con ‘Un anno con gli scoiattoli. Una storia sul susseguirsi delle quattro stagioni’ e l’altro le trasformazioni della crescita animale e vegetale con ‘La farfalla e il fagiolo. Una storia sulle fasi della crescita’.


Partendo dal primo, decisamente più riuscito, vediamo una piccola storia strutturata intorno alla vita di una coppia di scoiattoli, attraverso il passaggio delle stagioni; interessante è l’impaginazione che, con la dimensione e la collocazione dei diversi testi, evidenzia la storia rispetto alle poche righe di spiegazione. La storia poi, alterna la descrizione della giornata degli scoiattoli con la presenza mobile di un gufo (disegnato, ahimè, anche questa volta come un allocco). La mobilità di quest’altro soggetto costituisce un elemento di sorpresa e di continuità nel passaggio da una fase all’altra.


Nel secondo albo vengono descritti, come dice il titolo, i cicli vitali di un fagiolo e della pianta che ne deriva, e di un uovo di farfalla, con le relative metamorfosi.
Ovviamente le due vicende sono intrecciate, poiché il bruco cresce sulla piantina di fagiolo. Anche qui l’impaginazione distingue la storia e le spiegazioni, che ne sono a margine.
In entrambi i casi c’è una parte finale interattiva e una sorta di indice per argomenti che consente di ‘pescare’ all’interno dell’albo le parti di maggiore interesse. Questa è un’interessante opzione, che consente un uso molteplice del libro stesso.
Un altro pregio è rappresentato dalla cura grafica, con illustrazioni non banali; poi l’aver cercato un modello esplicativo non pedante, capace di assecondare le curiosità del piccolo/a lettore o lettrice, rispondendo sottovoce alle probabili domande. E’ una tipologia di libro che utilizza la narrazione come veicolo della spiegazione, rendendola fruibile anche ai più piccoli.
Che si dedichi maggiore attenzione ai testi divulgativi per questa fascia di età è una gran cosa e non è casuale il fatto che ancora una volta sia l’editoria anglosassone ad aver il maggior numero di proposte.
Il limite, forse l’eccessiva semplificazione: parlare ai bambini delle cose del mondo, ai loro occhi e non solo, così grande e misterioso implica la semplificazione, ma non la banalizzazione; la tentazione, anche da parte di molti adulti, è dare la risposta più facile, anche se poi l’esercizio più promettente è lasciare che crescano le domande, con tutto l’imbarazzo che ne deriva per noi.

Eleonora

“Un anno con gli scoiattoli. Una storia sul susseguirsi delle quattro stagioni”, di M, Jenkins e R. Jones, Fatatrac 2018
“La farfalla e il fagiolo. Una storia sulle fasi della crescita”, di M. Jenkins e H. Tolson, Fatatrac 2018



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JONAS


Come ho avuto modo di sottolineare, con una qualche prudenza si stanno sviluppando produzioni che, nell’ampio settore della letteratura di genere, esplorano il territorio delle storie di paura.
Lo fa anche Francesco Carofiglio, che qui esordisce come autore per ragazzi, con ‘Jonas e il Mondo Nero’, pubblicato da Piemme con il marchio Battello a vapore, a fugare qualsiasi dubbio sui destinatari del romanzo.
Si tratta di un romanzo densissimo di riferimenti letterari, dai maestri della paura Stephen King e Neil Gaiman, a Carroll, alla Storia infinita di Ende alle suggestioni mostruose di Lovecraft. E questa ‘densità’ è sicuramente un punto di forza, ma nello stesso tempo anche un limite, per i troppi richiami a situazioni già descritte, ovviamente con modalità e stili diversi.
In breve, la trama: Jonas è un ragazzino, un dodicenne qualsiasi, dalla vita qualsiasi: pochi amici, una famiglia un po’ triste e strani presentimenti, che gli permettono di vedere creature oscure che si muovono in mezzo alle persone normali. Jonas è, ovviamente, un prescelto a sua insaputa, è l’unica persona che può impedire che i due mondi paralleli, quello che vivono le persone normali e l’oscuro mondo di sotto, entrino in contatto. Lui può impedire che il mondo dell’oscurità si impadronisca, nel Giorno degli Incroci, del mondo normale e lo travolga. Essendo lui ignaro del proprio ingrato compito, alcune creature dell’Extramondo, una sorta di mondo ‘di mezzo’, si occupano del suo addestramento e della sua protezione.
Abbiamo quindi un mondo al limite del distopico, un mondo freddo e grigio in cui l’oscurità ha cominciato ad insinuarsi; e un anti-eroe, Jonas che non è esattamente un ragazzo di successo: come non pensare a Standish  e al suo mondo sull’orlo della perdizione? La descrizione del personaggio principale è sicuramente una delle parti migliori del romanzo, con le sue piccole manie, la solitudine, la difficoltà a districarsi nel mondo dei sentimenti. Sembra del tutto inadatto a rivestire i panni dell’eroe e invece trova in se stesso la forza per affrontare la ‘prova’.
Il mondo dell’oscurità richiama moltissimo i mondi di Lovecraft, con tanto di porte e di guardiani che impediscono alle oscene mostruosità di invadere il mondo umano. Anche qui il mostruoso si annida appena un po’ più sotto del mondo normale, nelle oscure gallerie che si stendono sotto la città; anche qui l’oscurità si manifesta dove meno te l’aspetti, infiltrandosi in luoghi della vita quotidiana.
Se ricordate anche Guillermo del Toro, con Trollhunters, si era cimentato con questo schema di narrazione, con il mondo di sotto, in questo caso quello dei Troll rapitori di bambini, che si manifesta esattamente dove un bambino penserebbe , cioè sotto il suo letto; qui l’horror, con le descrizioni dei mostri, si mescola con una robusta dose di umorismo, che ovviamente cambia il tono di tutta la narrazione.
Carofiglio non segue certo questa strada, al contrario dipinge atmosfere via via più cupe e inquietanti, aggiungendo rivelazioni che rendono imminente il giorno fatale.
Nella sua densità letteraria, fatta di molte letture ‘di genere’, il romanzo può costituire un apri-porta non verso l’oscurità ma verso le sterminate praterie delle storie di mistero e di paura, con una bella dose di immaginazione.
Lo immagino adatto a lettrici e lettori già abbastanza allenati, a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Jonas e il mondo nero”, F. Carofiglio, Piemme 2018


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TRA CUORE E GOLA
 
Viaggia verso Poesie nelle tasche dei jeans
Chiara Carminati Pia Valentinis
Bompiani 2018


POESIA

"SILENZIO

Corpo a corpo
ho lottato con le parole
le ho pressate piegate distese
schiena a terra
le ho attese
in lentissimi agguati le ho
avvinghiate con furia e confuse
tra loro roventi ma poi
eccole chiuse
tra cuore e gola
niente da dire
c'è da sentire
solo il

."

Si chiude così Viaggia verso: poesie nelle tasche dei jeans.
Che alluda al silenzio che conclude il bellissimo lavoro di una poetessa, che alluda al silenzio di chiunque non sia in grado di dare voce al proprio discorso, che alluda al silenzio, altrettanto bello, che si ha quando le parole sono finite (e il libro si chiude) poco importa. La grandezza della poesia sta in questo: nell'essere capace di accendere i 'fuochi' personali che ognuno cova per sé. Tanto più la poesia è buona tanto più la linea di confine tra l'intenzione e interpretazione può dilatarsi.
Questo è per dire che la poesia è per tutti. È di tutti.


Tuttavia alcuni punti fermi cui Chiara Carminati, come un ragno, àncora la propria tessitura per catturare un lettore ideale sono visibili e condivisibili.
Si può partire dal primo, quei jeans e quelle tasche del titolo. I jeans e le tasche sono metafora di un tempo, di un'età, ma soprattutto di un modo di stare al mondo. Non riguardano l'infanzia, ma piuttosto l'età dell'indipendenza, del distacco, della misura di sé. I primi jeans li indossano creature in crescita che si confrontano con la necessità di provare a stare sulle proprie gambe.
E le tasche rimandano a quelle degli 'anni in tasca'.
La Carminati così si incammina in quella direzione ed esplora il territorio e avvisa i propri lettori: sto parlando di voi, ragazzi e ragazze. Di voi, a voi che la poesia vi hanno insegnato a temerla se non addirittura a odiarla (Perché odio la poesia).
A conferma che i jeans e le tasche, così come le parole 'viaggio' e 'verso' (quest'ultima nella geniale doppia accezione di preposizione e di sostantivo: una 'carminata'!) alludano a una strada da fare e quindi a una meta da raggiungere, si evidenziano altri ancoraggi della sua tela intorno all'adolescenza.
Il primo: la fragilità. È l'insicurezza di sé, di fronte all'altro, di fronte al gruppo: ovvero la sensazione di essere diversi, di non essere capiti, di non essere all'altezza, di non essere visti o ricordati, di essere giudicati (Dov'è il trucco?,Vicky chi?, Ho rotto lo specchio, Compagni,Però piove)

Ciuffo in alto
sguardo in basso
mi nascondo quando posso
mi confondo quando passo...


Il secondo: la potenza. Opposto al precedente, è la fierezza di sé, di fronte all'altro, di fronte al gruppo: ovvero la volontà di essere se stessi, diversi, la certezza di essere all'altezza, di essere apprezzati, visti o ricordati (Buoni propositi, Persona Mancante, Escluso, Bici)

...Ciuffo in basso
sguardo altero
punto il mondo come un faro
pelle azzurra smalto nero

Il terzo: le metamorfosi.È la consapevolezza o la sensazione di incarnare un 'altrove', di essere in mezzo al guado, di aver lasciato indietro qualcosa e di avere davanti qualcos'altro (Cresco non cresco, Sono non sono, Due di tutti, Ci sono giorni)
E in mezzo
in bilico
tra prima e poi
ci siamo noi

Il quarto: la 'rete'di protezione. Quel luogo virtuale di relazioni virtuali qui trova spessore nel tentativo di andare al di là di se stesso per ridare ai rapporti umani corpo, forma e soprattutto anima (Nickname, Nati digitali, Chat sciatt)

E non so dove
cliccare
per dire
'mi dispiace'.


Il quinto: l'amicizia tra farfalle (Souvenir, Happy hours, Tradimento, Amiche di classe). Quell'amicizia effimera, che basta un nulla per sovvertirla e trasformarla in dispetto, antipatia. Un mondo che, con Chiara Carminati definirei, senza dubbio, tutto femminile.

Il sesto: l'amore, in discesa e in salita. Nelle sue molteplici espressioni: quello che crea scompiglio, quello che si impasta con la timidezza, quello che fa affondare, quello che fa litigare, quello che è per sempre, forse (Tu eri dentro, io ero fuori, Falling in love, Litighiamo, Il resto, Serratura rotta)

PRIMO AMORE
Ti
mi
do

Con più di sei punti di attacco si ha già una tela di ragno ben solida e bellissima a vedersi. Ed è proprio di questa bellezza che non si può tacere. Chiara Carminati e Pia Valentinis in bianco e nero (amiche profonde, niente farfalle) incidono sulla pagina con i loro rispettivi codici, condividendo leggerezza di segno, ironia, capacità di tenere vigile l'orecchio e l'occhio con meravigliosi 'duetti' sul senso (o sensi) di immagini e testo.
Tessitura e tela hanno segnato il principio di questa interminabile riflessione che sarebbe bello concludere, per assurdo, con un punto di partenza - nel senso letterale del termine (d'altronde ogni tela di ragno comincia da un punto). Il primo punto che si fa, cucendo, e che segna l'avvio del percorso di un filo. Quale sarà il suo tragitto non è dato sapere in anticipo, ma di certo a questo filo per andare avanti 'fa bene' un nodo fermo da cui iniziare.
Il senso di ciò vale per tutti. È di tutti.


E anche questo cerchio mi pare chiuso.

Carla

NOTERELLA AL MARGINE. Purtroppo non è superfluo ribadire che un libro del genere dovrebbe entrare nelle tasche di tutti quegli adulti che per professione o per passione abbiano a cuore la formazione della persona. Anche la propria.
La poesia si riconferma necessaria.




FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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GHOST


E’ uscito da poco in libreria un altro romanzo di Jason Reynolds, questa volta tradotto da Francesco Gulizia per Rizzoli. Come già sottolineato nel post relativo al romanzo precedente, Reynolds è un giovane autore afroamericano di successo, successo che ha accompagnato anche l’uscita di questo romanzo, 'Ghost. Per quanto veloce tu corra, non potrai mai scappare da te stesso’, finalista del National Book Award.
‘Ghost’ è il primo di quattro romanzi dedicati a una squadra di giovani atleti, i Defenders, e racconta in prima persona le vicende di un ragazzo, Castle Cranshow, detto Ghost, con una vita molto complicata, dei piedi molto veloci e una grande rabbia in corpo.
La vita complicata nasce dal rapporto con un pessimo padre, alcolizzato, che in una notte di delirio ha cercato di uccidere lui e la madre. Ora è in carcere, ma il trauma non è passato per niente e il ragazzo e la madre dormono ancora in soggiorno, pronti a scappare.
Come tanti altri ragazzi, anche Ghost è un appassionato di basket e aspira a entrare in una squadra. Ma non sarà questo il suo destino, che gli fa invece incontrare Coach Brody, un ex campione olimpionico di corsa, che allena una piccola squadra di atleti. Dunque, la corsa: Ghost ha un grande talento, nonostante corra in jeans e con le scarpe sbagliate. Coach Brody lo accoglie nella squadra, di cui il ragazzo deve velocemente acquisire le regole, accettando la supervisione ‘paterna’ del suo allenatore. Coach Brody, infatti, lo segue, lo accompagna a casa ogni volta, lo punisce severamente quando serve.
Ghost ha un problema: la sua immensa rabbia lo fa reagire in modo esagerato quando capitano degli ‘alterchi’, il termine eufemistico usato dal preside, con altri ragazzi della scuola. E la sua impulsività lo spinge a commettere anche un altro errore, che rischia di pregiudicare quello che sembra un momento di svolta della sua vita: ruba un paio di scarpe da corsa in un negozio di articoli sportivi, da cui fugge a gambe levate. Ma, come recita il sottotitolo, non è sufficiente scappare dal proprio passato e dai propri errori: arriva il momento in cui vanno affrontati, pagandone le conseguenze, ma trovando anche le risorse per andare avanti.
Questa in sintesi la trama, di cui non svelo il finale. Il tema principale, i ragazzi, e le ragazze, e lo sport. Ma non come lo può intendere la maggioranza dei genitori, come un utile esercizio fisico. Lo sport, nel romanzo di Reynolds, che rispecchia la difficile condizione dei ragazzi afroamericani che vivono nelle periferie, è in primo luogo uno strumento di riscatto dall’emarginazione, da un destino che sembra spingerli inesorabilmente verso la ghettizzazione.
Perché questo riscatto abbia luogo, sono necessarie persone capaci di convogliare, come fa Coach Brody, la rabbia in disciplina, in volontà di affermazione; persone che magari hanno fatto lo stesso percorso, che conoscono la solitudine di chi si sente diverso.
Negli Stati Uniti, paese dai grandissimi contrasti fra metropoli e provincia, fra centro e periferia di una città, nascere in un quartiere invece che in un altro può segnare un destino. Ed è un lavoro difficile quello di modificare quella che sembra una storia già scritta.
‘Ghost’ è un romanzo sullo sport, sulla corsa, sul valore del fare squadra e costruire solidarietà dove c’è solitudine; è scritto con uno stile immediato, una storia in presa diretta che attinge direttamente dall’esperienza del protagonista; si legge tutto d’un fiato e può risultare convincente anche per il più pigro dei lettori.

Eleonora

“Ghost. Per quanto veloce tu corra, non potrai mai scappare da te stesso”, J. Reynolds, Rizzoli 2018



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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L'URGENZA DI SCRIVERE

Come ho scritto un libro per caso, Annet Huizing
(trad. Anna Patrucco Becchi)
La Nuova Frontiera Junior 2018


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni)

"Mia zia Addie dice che sarebbe meglio che non usassi la parola 'morta'. Suona così cruda, dice. E la gente si spaventa.
'Magari è meglio dire deceduta.'
Ma la trovo una parola così strana, 'deceduta'. Anche Lidwien la pensa così, e lei lo sa bene perché è una scrittrice. Continuerò a dire 'morta'."

A tutti quelli che le chiedono notizie di sua mamma, Katinka, tredici anni, dice la verità, anche se suona cruda: lei è morta. Il suo cuore ha smesso di battere quando lei aveva tre anni, suo fratello Kalle era piccolo piccolo e suo padre non aveva neanche un capello grigio.
Katinka, è evidente, non ha paura delle parole, anzi le rispetta e le ama molto e coltiva un sogno, o per meglio dire, ha una necessità: quella di scrivere. Qualsiasi cosa le capiti, nella sua testa diventa subito storia. Storia da raccontare. Il caso vuole che la sua dirimpettaia, Lidwien, sia una famosa scrittrice. Anziana e originale signora dal pollice verde, dà lezioni di scrittura senza troppo entusiasmo ad altri anziani con velleità creative. Ma con Katinka la cosa è diversa. Quando quella ragazzina, di cui conosce ovviamente tutta la storia, le si presenta davanti dichiarando che vorrebbe partecipare alle sue lezioni perché trova 'carino' scrivere, Lidwien non mostra nessuna incertezza: ogni venerdì pomeriggio con lei farà lezioni private di scrittura e in cambio Katinka le darà una mano nella cura del suo bel giardino.
Un accordo perfetto.
Comincia così la loro storia insieme. Attraverso i 'compiti', esercizi di racconto, guidati, scritti, corretti, riscritti dozzine di volte, Katinka dà voce e forma ai suoi pensieri. Cerca e, grazie ai consigli di Lidwien, si impegna a trovare sulla pagina un senso per tutto ciò che le accade. Foglio dopo foglio, riesce a mettere ordine nei propri sentimenti, spesso contrastanti. Seppure al principio con occhi spalanchiusi*, le riesce di guardare il dolore. Scriverne è la sua urgenza, ma dopo c'è ancora tanta vita da vivere e da scrivere...

È innegabile il fiuto del 'segugio' che abita le stanze della Nuova Frontiera Junior e che, con il suo naso, 'stana' libri del genere.
Altrettanto innegabile si dimostra l'alta qualità di certa narrativa coraggiosa e onesta per ragazzi e ragazze in crescita che l'editoria nederlandese ha diffuso e continua a diffondere.
Questo romanzo è di nuovo un'eccellenza nel panorama: laico, ironico, commovente. Ciò che a prima vista può sembrare insolito per un'autrice di libri di no fiction, si rivela invece molto coerente con la seconda attività di Annet Huizing: il consulente letterario. È probabile che sia questo l'humus su cui ha radicato l'idea di questo suo primo romanzo, pubblicato nel 2014 e vincitore di importanti premi. A ben vedere, il mestiere di un consulente letterario ha molto a che fare con il know how che nel libro Lidwien dimostra di avere e di saper condividere con la sua migliore allieva, Katinka. Insolito è anche il doppio registro che il libro presenta: da un lato c'è una bella storia che si costruisce sotto gli occhi del lettore, dall'altro c'è un buon manuale di scrittura messo in pratica (che diventa anche un ottimo manuale di lettura, nella misura in cui mette in luce ciò che fa di un libro un bel libro). La peculiarità sta proprio in questo delicato equilibrio di intrecci che l'autrice dimostra di saper gestire con estrema disinvoltura, creando un tessuto narrativo di ottima qualità.
La storia di questa ragazzina senza madre, le sue difficoltà con il nuovo amore del padre, la sua necessità di chiarezza sui ruoli e di ricostruzione di un passato sempre più evanescente guadagna spessore e prende la sua bella forma letteraria, nello stesso tempo drammatica e umoristica e maledettamente autentica, proprio attraverso alcune 'leggi' della buona scrittura che, accanto a Katinka, si apprendono leggendo: la prima, show, don't tell, la seconda, inventati un cliffhanger, terza, non raccontare tutto!, quarta, cambia la prospettiva, quinta, manipola il tempo, sesta, tutto nasce dal contrasto...
Leggerlo, per chi come me è sempre in cerca di criteri di valutazione da condividere nella formazione di nuovi lettori consapevoli e critici, è stato balsamo per le orecchie e per l'anima.
Nei ragionamenti fatti su questo libro, impossibile e forse inutile mantenere la giusta distanza, ma a chi li leggerà, il compito di kill my darlings (la settima legge).

Carla

Noterella al margine: Contribuiscono alla qualità del libro la copertina di Marta Pantaleo che continua a fare bei disegni e la traduzione di Anna Patrucci Becchi che dal nederlandese non teme rivali.

*Neologismo coniato da Bruno Tognolini per descrivere gli occhi di chi, con le mani sulla faccia, li chiude per la paura, per poi aprirli tra le dita per la curiosità.

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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GIALLI D’EPOCA E NON SOLO

Come si è visto, la narrativa ‘di genere’ negli ultimi mesi si è arricchita di proposte: non solo fantasy, dunque, ma una discreta produzione, fra l’altro, di libri gialli o horror.
Diverse le tipologie dei libri, diverse le ambizioni di autori ed editori, ansiosi di trovare il nuovo filone d’oro della narrativa per ragazzi.
Una proposta un po’ diversa viene dalla Piemme, con una collana finalmente con una buona grafica e una buona impaginazione, pur con l’edizione direttamente in brossura. Si tratta della collana Giallo e Nero, arrivata da poco in libreria con quattro titoli, di cui tre sono ristampe e l’ultimo, ‘Cercasi commessa al Reparto Omicidi’ è invece una novità assoluta, firmata da Katherine Woodfine.
L’operazione condotta dall’autrice inglese si fonda sulla rivisitazione del classico romanzo giallo di stampo britannico, che vede in Agatha Christie e in Arthur Conan Doyle i principali esponenti; ma è evidente anche l’influenza di P.D. James, per la cura estrema dei dettagli e per l’attenta ricostruzione d’ambiente.
Veniamo alla trama: siamo nel 1909 a Londra, dove sta per aprire il grande magazzino Sinclair. Partecipiamo al grande evento attraverso gli occhi di una giovane commessa, Sophie Taylor, costretta a guadagnarsi da vivere a causa della morte prematura del padre. Veniamo condotti per mano da un reparto all’altro, fra cappellini e vestiti, mentre si sta allestendo anche una mostra di oggetti preziosi, fra cui un uccellino meccanico.
La descrizione dell’ambiente è minuziosa, così come dell’abbigliamento, lo stile di vita, la coesistenza, a poche strade dal centro, di alta società e bassifondi, in questo ricordando molto da vicino le memorabili descrizioni della Londra vittoriana da parte di Conan Doyle,
Sophie non è molto amata, proprio perché è una ragazza assai sveglia; riesce comunque a farsi degli amici: il goffo fattorino Billy e la ballerina, nonché modella, Lil; a questo terzetto, si aggiunge Joe, un ragazzo di strada, in fuga dalla temibile banda del Barone.
La notte prima dell’inaugurazione vien compiuta una rapina, con conseguente omicidio. Vengono trafugati gli oggetti preziosi messi in esposizione , per finalità che sconfinano nello spionaggio.
I ragazzi vengono coinvolti, anche loro malgrado, nelle indagini, e il finale sarà ricco, come vuole la tradizione dei romanzi d’azione, di colpi di scena.
L’autrice è molto brava nel mimetizzarsi con uno stile di scrittura ‘d’epoca’, che vive soprattutto di atmosfere, di sospetti, di pochi e risolutivi passaggi che portano alla felice conclusione. Anche Peacock, in ‘L’occhiodel corvo’ e nei romanzi che ne sono seguiti, aveva fatto un’operazione simile, riproducendo fedelmente le atmosfere di romanzi di Sherlock Holmes, con tonalità, ovviamente, più cupe.
Questo, invece, è un romanzo per certi versi più leggero, più ‘facile’ anche per la diversa descrizione del male. Presenta viceversa, altre difficoltà: le ragazzine, e i loro compagni maschi, sono poco avvezze a strutture narrative in cui al centro c’è la descrizione d’ambiente; ne deriva forse una qualche difficoltà di lettura in più. E’ comunque un testo adatto a lettrici e lettori a partire dai dieci anni.
Va segnalata la cura grafica, con la copertina e le immagini interne che introducono i diversi capitoli a cura di Julia Sarda.
Ricordo anche gli altri titoli della collana , che promette un bel recupero di testi di catalogo, provenienti da diversi editori del gruppo: ‘La strana scomparsa del signor Goody’, di Natalie Babbit, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1990, ‘L’ombra dello sciacallo’, di Didier Convard, pubblicato nel 1998, ‘Il gioco dell’assassino’ di Sandra Scoppettone (prima edizione 1991).

Eleonora

“Cercasi commessa al Reparto Omicidi”, K., Woodfine, Piemme 2018




ECCEZION FATTA!

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LIBRI IN TESTA

Biblioteca Centrale Ragazzi - Roma
 6 settembre 2018
 
T. Ungerer, Perché io sono io e non sono te?

incontro di aggiornamento 
sulle le migliori novità 
del 2018
(con qualche deroga)

Il valore di questa bibliografia sta nella sua onestà: sa di non essere esaustiva e sa di fondarsi su criteri di scelta il più possibile obiettivi, ma non infallibili. 
Grazie a tutti e a tutte quelle che ne vorranno fare buon uso.

GRANDI


  1. Come ho scritto un libro per caso, Annette Huizing, La Nuova Frontiera 2018
  2. Niente paura Little Wood, Jason Reynolds, Terre di Mezzo 2018
    Un viaggio chiamato casa, A. Stratton, Mondadori 2018
    Mary e il mostro. Amore e ribellione, Lita Judge, Il Castoro, 2018
    Dark Hall, L. Duncan, Mondadori 2018
MEDI


  1. Il rapimento del Principe Margarina, Mark Twain, Philip Stead, Erin Stead, Bompiani 2017
  2. Il bambino dei baci, Ulf Stark, Markus Majaluoma, Iperborea 2018
  3. La memoria dell'elefante. Il viaggio indimenticabile di Marcello Sophie Strady, Jean-François Martin Il Castoro 2016
    I figli del mastro vetraio, Maria Gripe, Harald Gripe, Iperborea, 2018
    Katitzi, Katarina Taikon Iperborea, 2018
    La battaglia delle rane e dei topi, D. Catalli, L’Ippocampo edizioni 2018


    La foresta, Riccardo Bozzi, Violeta Lópiz, Valerio Vidali, Terre di Mezzo, 2018
    L'isola dei giocattoli perduti, Cynthia Voigt, Fabio Sardo Giunti 2017
    Ollie e i giocattoli dimenticati, W. Joyce, Rizzoli 2018
    Perché io sono io e non sono te?, Tomi Ungerer Feltrinelli 2017 
    Arrivano i fratelli Hood, Guido Sgardoli, Solferino 2018

PICCOLI


  1. Amos e Boris, William Steig Rizzoli 2018
  2. Il lupo, la papera e il topo, Mac Barnett, Jon Klassen Mondadori 2018
  3. Un po' più lontano, Anaïs Vaugelade Babalibri 2018
    Papà scoiattolo cade dall'albero, Axel Scheffler Emme Edizioni 2018
    Passo davanti, Nadine Brun-Cosme, Olivier Tallec, Coccole Books 2017
    Else-Marie e i suoi sette piccoli papà, Pija Lindenbaum, Il Barbagianni Editore 2018
    Smon Smon, Sonja Danowski, Orecchio acerbo 2018
    Piccola Balena, Jo Weaver, Orecchio acerbo, 2018


    In spiaggia, Susanna Mattiangeli, Vessela Nikolova,Topipittori 2018
    Il venditore di felicità, Davide Calì, Marco Somà, Kite edizioni 2018
    Un giorno nella vita di Dorotea Sgrunf, Tatjana Hauptmann, Lupo Guido 2018 
    C'è un rinofante sul tetto!, Marita Van Der Vyver, Dale Blankenaar, LupoGuido 2018
i primi tre titoli di ogni sezione hanno vinto rispettivamente la medaglia d'oro, d'argento e di bronzo.

PER TUTTI


Il tempo è mezza mela. Poesie per capire il mondo, Nicola Gardini,
Salani 2018
Viaggia verso, Chiara Carminati, Pia Valentinis, Bompiani 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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PICCOLE STORIE
 
Arrivano i fratelli Hood, Guido Sgardoli
Solferino 2018


NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"Quella sera, quando ormai la fattoria Hood non era che un cumulo di macerie annerite e fumanti, gli agricoltori della zona si ritrovarono tutti a casa di Benjamin Clay, vicino e buon amico degli Hood. Lo zio Samuel sedeva su una sedia a dondolo vicino al camino, lo sguardo fisso sulle fiamme, le mani unite in grembo, silenzioso. I segni sotto il fazzoletto legato intorno al collo parlavano per lui. 'Dobbiamo fare qualcosa' stava per dire Frank."

Midwest, guerra di Secessione, fattoria dei Clay: sono tutti lì riuniti intorno al fuoco per cercare un modo per porre fine ai continui soprusi del tenente Mackenzie e dei suoi soldati. Quel diavolo di uomo, mette a ferro e a fuoco tutto ciò che gli capita a tiro: e oggi è stata la volta della fattoria degli Hood. Joseph Hood, il padre di Frank e Jesse, si è arruolato nell'esercito della confederazione e sta facendo la sua parte nella guerra civile. Suo fratello, sua moglie e i suoi ragazzi sono rimasti alla fattoria per continuare a lavorare i campi. Quella mattina è arrivata su di loro la violenza del sergente nordista e la loro fattoria non esiste più: è la vendetta di Mackenzie, sempre invano sulle tracce di Quantrill e del suo piccolo esercito di irregolari, filosudisti.
'La misura è colma' pensano quei ragazzi di fronte all'ennesima angheria e decidono di organizzarsi in banda. Sono troppo giovani per essere 'arruolati' da Quantrill e diventare soldati di quella guerriglia, ma sono sufficientemente determinati a portare, se non morte, almeno un gran disordine in una parte dell'esercito unionista.
Questa è la loro avvincente storia.

Pierdomenico Baccalario (con la squadra di Book on a Tree) è alla regia di questo progetto editoriale che ha come obiettivo quello di creare una piccola biblioteca per giovani lettori e lettrici amanti dell'avventura e non ancora abbastanza forti per affrontare i grandi classici.
Una collana di piccole storie che si definiscono 'Libri corsari' e 'fuori rotta'.
Nella presentazione fatta da Solferino al suo esordio nell'ambito dell'editoria per i più piccoli si elencano i pregi di questo progetto.
In primo luogo il formato breve: siamo sempre sotto le 90 pagine. Si presume, con l'intento di non spaventare chi sia alle prime armi.
In secondo luogo, il tema dell'avventura che attraversa i diversi titoli e che spazia in tempi e luoghi anche molto diversi.
Inconfutabile: la prima è una storia di fuorilegge in America durante la Guerra di Secessione, la seconda una storia al femminile di viaggi per mare, ai tempi di Cook, la terza ha a che fare con la Cina medievale e la polvere pirica.
Tra meno di dieci giorni sono in uscita altri titoli.
In terzo luogo si parla di una scuderia di autori di tutto rispetto: Sgardoli, Morosinotto, Piumini, Garlando, lo stesso Baccalario e altri. Effettivamente gli autori di narrativa significativi in Italia si contano sulle dita di una mano, forse due. E gli autori dei primi due titoli che ho letto sono già pollice e indice. Occorre aspettare e vedere con un maggiore respiro chi va ad aggiungersi.
In quarto luogo si parla di raffinatezza editoriale e veste preziosa. Un richiamo al modello del classico effettivamente c'è nel formato scelto e nel design della copertina, rigida, nei risguardi che contengono mappe e cartine di orientamento per lo svolgersi della vicenda.
Le illustrazioni sembrano di buon artigianato. Ma niente di più.
In quinto luogo, il richiamo ai classici (in chiave fresca e moderna! Ossignur!). E qui c'è da augurarsi che editore e curatore veglino e facciano salve alcune condizioni. La prima fra tutte è la capacità degli autori di scrivere 'come' si fa nei classici.
Fortunatamente Sgardoli mi pare colga abbastanza nel segno, riuscendo a creare la giusta atmosfera per raccontare una storia nell'America che potrebbe essere quella di Twain.
Molto meno lo fa Morosinotto nel secondo titolo - Il terribile testamento di Jeremy Hopperton.- Strano, visto che nel Il rinomato catalogo Walker & Dawnaveva saputo rendere omaggio alla grande letteratura di Twain con enorme talento. Esordisce in prima pagina con un condizionale passato che è un orrore (errore?) e solo a venti pagine dalla fine decolla e finalmente da par suo tiene viva l'attenzione di chi legge, decidendo di non impantanarsi più nel 'politicamente corretto' in questioni di genere.
La conclusione qual è? Teniamo d'occhio l'intera operazione e vediamo cosa ci riserva il futuro.

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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UNA CANZONE PORTATA DAL VENTO


Uscito da poco, ‘La canzone di Federico e Bianchina’ porta sui banchi delle librerie un albo illustrato insolito, frutto della collaborazione fra Bianca Pitzorno e Sonia Maria Luce Possentini.
La scrittrice ci racconta, fra introduzione e postfazione, come abbia per caso scoperto dei documenti nell’Archivio di Genova che l’hanno fatta ‘inciampare’ nella storia di due bambini, Federico e Bianchina. Il primo, figlio di Eleonora d’Arborea e di Brancha Doria, esponente di un ramo cadetto dell’importante famiglia genovese, arrivava in città dalla Sardegna, circondato dalla fama dei genitori. Bianchina era figlia del Doge Nicolò del Guarco. Era il 1382.
Eleonora, donna potente e di grande intelligenza, progetta un matrimonio che possa sostenerla nella città e propone al Doge un accordo per cui lei verserà un imponente prestito, senza interessi, in cambio della mano della piccola Bianchina.


Tutto sembra andare per il meglio, ma Eleonora e la sua famiglia sono costretti a rientrare nell’indomita isola, dove lo zio di Federico, ucciso a seguito di una congiura, aveva lasciato vacante la carica di Giudice d’Arborea, e il bambino era l’erede diretto. Il mondo di corte, i suoi intrighi, le sue violenze, rendono breve la vita del ragazzino, ponendo fine alla promessa di matrimonio.
Questa la ‘materia grezza’ di una storia che probabilmente somiglia a tante altre in un’epoca che di congiure, tradimenti, uccisioni coi metodi più efferati era piena. Bianca Pitzorno prova a farci vedere questo mondo, pieno anche di avventure e di stupore, con gli occhi dei bambini coinvolti nella vicenda.
Federico e Bianchina sono per lei in primo luogo bambini, che sognano mari lontani, che immaginano il loro futuro in una città piena di vento e di speranze. Forse immaginano anche il loro futuro insieme, o forse no; in ogni caso, il loro matrimonio resta un sogno infantile, una storia raccontata dal finale triste.


L’autrice, che conosce così bene questa vicenda, la vuole raccontare ai bambini e alle bambine in forma di ballata, una poesia circolare che passa dalla finestra di Bianchina alle corse di Federico, portata dal vento impetuoso che si insinua nelle strade di Genova.
La storia di ricchi e potenti, intenti a tessere trame di future alleanze, diventa la storia di due bambini come tanti, il cui destino comune viene interrotto dalla violenza.
L’aspetto onirico, di un’infanzia ancora lontana dalle trame di corte, è sottolineato dalle tavole della Possentini, che ci restituisce un’immagine sognata di infanzia: Federico che insegue il vento e sogna viaggi in paesi lontani, Bianchina che si assopisce nel suo letto. E Genova nel vento. Immagini e parole insieme ci regalano l’idea di una città in cui il maestrale canta, volando nelle strade, sbattendo i panni stesi ad asciugare, portando con sé i sogni dei bambini.


Questo è un albo che vive di suggestioni e di immaginazione, che suggerisce, più che raccontare, di immagini che fermano l’attimo, il gesto, lo sfondo di un sogno irrealizzabile, mostrando come anche la Storia possa diventare poesia.

Eleonora

“La canzone di Federico e Bianchina”, B. Pitzorno, S.M.L. Possentini, Mondaori 2018

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