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I NOSTRI FUOCHI D'ARTIFICIO 
CHE SPARIAMO NELL'ETERE 
PER FARE LUCE
PER FARE RUMORE 
PER FARE MERAVIGLIA 
E PER FARE FESTA
 
Il meglio di... un anno di libri, un anno di ragionamenti,  un anno di recensioni su Lettura canditaPer ogni libro, il nostro perché
(BUM!) 

Gennaio 2017



 perché
"La vicenda è appassionante, lettori e lettrici sono portati a fare il tifo per questo ragazzino così fragile e pauroso, costretto però ad affrontare le sue peggiori paure per salvare il fratellino. Steve è un anti-eroe, è un ragazzino che ancora non ha lasciato l'infanzia, con tutto il suo 'pensiero magico', ma nello stesso tempo sa prendere decisioni, affrontare pericoli, anche suo malgrado. Chi legge resta nel dubbio: i sogni di Steve sono davvero il territorio in cui si incontrano mondi diversi, o sono solo le sue elaborazioni fantastiche di una situazione insostenibile.."





perché 
"Gioca Morpurgo con la doppia identità del suo padre naturale, così come fa anche Felicita Sala, tra la figura e la sua ombra. E questo crea una intrinseca ironia che dal titolo in poi 'sdrammatizza' sulla serietà del tema, ovvero quello di non aver mai conosciuto il proprio padre e, più in generale, di dover fare i conti con il proprio passato.
Nessuno può, o deve, sapere quali siano i fili di verità di questa storia, ma sono sotto gli occhi tutti i punti in cui il racconto tocca vertici di tensione emotiva che lo rendono una storia struggente e, a mio parere, di grande autenticità..."
 
 Febbraio 2017
 
 
perché 
"Quella di Lobo è una storia forte, che mette sotto il naso della giovane lettrice e del giovane lettore la violenza con cui si è caratterizzata la 'civilizzazione' dell'America e giustamente viene sottolineato, soprattutto nelle immagini che accompagnano il testo, come questa violenza e questa prevaricazione si sia rivolta in primo luogo contro i nativi americani.
Non si può non essere dalla parte di Lobo, animale intelligente e leale, contrapposto a un'umanità dedita all'inganno..."
 


Perché 
"Parecchie sono le cose da notare. Prima fra tutte, il silenzio delle parole che raccontano un dialogo affettuoso fatto di piccoli gesti significativi: il venirsi incontro di un piccolo con un grande. Una mano che si tende, una risata all'unisono, un braccio sulla spalle.
Ulteriore particolare che colpisce è lo stile del disegno: grafico, sintetico, che gode ne prendersi alcune libertà, nei tagli, nel moltiplicarsi del motivo della grande goccia o nella visione zenitale del tavolo da lavoro ingombro di tanti strumenti..."



Marzo 2017

 “Perché non fiorisci?”, K. Macurova, Nord-Sud edizioni 2017



perché
"Una storia molto semplice e molto divertente, in cui da subito i bambini e le bambine comprendono l'ingenuità di un personaggio e la furbizia degli altri. Ma in questo quadro, che sta alla base di moltissime storie, non c'è traccia di cattiveria, anzi, alla fine in un certo senso l'orsetto trova quello che stava cercando, anche se il risultato è diverso da quello che si aspettava..."
 
perché  
"La provincia americana, raccontata superbamente da una delle penne più felici e più premiate del panorama statunitense, è lo sfondo di questa storia intrecciata di tre bambine che, a modo loro, cercano di trovare una loro personale e meritata felicità.Lo stile di Kate Di Camillo si riconosce per la sua fluidità, la schiettezza, l'ironia e un'ineguagliata leggerezza e grazia. La sua poetica si riconosce ancora una volta nella sua determinata volontà di affrontare temi spinosi, quali la frequente inadeguatezza e la negligenza del mondo degli adulti..."
 
 Aprile 2017
 
 
 
perché  
"Non poteva che essere concepita così questa storia, con un testo che è un elogio dell'anarchia della vita, della confusione che la presenza di un altro, un diverso da sé, inevitabilmente comporta; le immagini sono l'adeguato contraltare, la vita ordinata, graziosa, un tantino fru fru della protagonista. I suoi cappelli adornati con grazia, i fiori freschi posti nel vaso in salotto, l'arredamento così squisitamente femminile..."
 
perché  
"a grappolo, si snocciolano una serie di esilaranti siparietti tra il coccodrillo e l'uomo vestito di rosso. Il primo riguarda la non remota possibilità che l'uomo sia stato truffato, il secondo si centra sull'ampolla con l'acqua di fiume che diventa la prova regina del fatto che il fiume venduto non è più quello attuale, il terzo è una succinta lezione di fisica dei solidi e anche dei liquidi, il quarto ha il merito di essere un piacevole divertissement linguistico e il quinto assume un vago sentore di sermone ambientalista ed ecologico.
E poi arriva lui, quel 'rugliare' che non ti aspetti e che ti incolla definitivamente al libro e alla storia che contiene: "E poi i coccodrilli rugliarono e diedero un colpo di coda sull'acqua..." Rugliare è il verbo perfetto..."
 
[continua]
 

 

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Maggio 2017

 

perché 
 
"Abbiamo di fronte, quindi, uno di questi testi che segnano un prima e un dopo, nell'ambito dei testi di divulgazione: così come per Mappe, Zoottica, Il libro delle Terre immaginate e altri che non cito, questo Il mistero della vita segna una svolta, dimostrando che si possono proporre testi impegnativi, argomenti importanti e controversi, a ragazzi e ragazze che vogliano approfondire tematiche così fondamentali. Non l'informazione veloce e sintetica di internet, ma un testo che insegna a ragionare sulle informazioni, a farsi domande e ancora altre domande, che insegna a non accontentarsi delle risposte facili. Che aiuta, in poche parole, a costruirsi un sano spirito critico, la capacità di formarsi proprie opinioni, autonome dai 'rumors' mediatici..."




perché  
 
"In Avete Visto Anna il tema è ambizioso, ma ancora una volta si organizza come un catalogo. Un catalogo che abbia come obiettivo di descrivere che cos'è un bambino, anzi quel bambino (chissà sein chiave polemica?), o più precisamente quella bambina.
Questo a parole, ma nel nocciolo di senso del libro, la cosa che colpisce è la sineddotica volontà di andare a fondo sul concetto di 'infanzia', attraverso un singolo esemplare: Anna..."



Giugno 2017 

 


perché

"La leggerezza è dote rara, soprattutto se diventa la cifra stilistica nel raccontare le complicate vicende della vita: la morte di una persona vicina, la malattia, la fatica di crescere e di assumersi delle responsabilità. E qui sta proprio la grande capacità dell'autore di raccontare un intreccio complesso, e con aspetti anche drammatici, con grande ironia, sfruttando il punto di vista 'ingenuo' del suo protagonista. Ci si diverte moltissimo leggendo le pagine fitte di colpi di scena e di trovate, partenze, tradimenti e ritorni..."

Viva la danza!,Didier Lévy, Magali Le Huche (trad. Tommaso Guerrieri) Edizioni Clichy 2017


perché

" la Francia che pubblica con evidente serenità libri del genere trova in Clichy una eco italiana coraggiosa e gagliarda. In questa rete di titoli 'controcorrente', mi pare che spicchi per presenza costante la figura di Magali Le Huche che dimostra un talento nel saper alleggerire e nel contempo arricchire il punto di vista del testo. Nel suo discorso figurativo riesce sempre a potenziare il senso ultimo della storia..."


 Luglio 2017




perché

"Santini si guarda bene dal farci una predica: il suo linguaggio è comico, grottesco, eccessivo, ti strappa una risata anche quando racconta qualcosa di orribile. C'è amarezza e disincanto nel suo sguardo sul mondo, ma c'è anche la risata liberatoria che accompagna la rivincita dei reietti, dei 'mostri' cui la civiltà dà la caccia pur considerandoli eticamente indispensabili..."



Ti ricordi ancora, Zoran Drvenkar, Jutta Bauer (trad. Anna Patrucco Becchi) Terre di Mezzo Editore 2017

 
 perché

"la sostanza di questa storia sta nella potenza del ricordo, ma io andrei anche un passo oltre, notando come il ricordo talvolta abbia il pregio di distorcersi nella nostra mente, allontanandosi di fatto dalla realtà e mantenendo di sé non tanto i fatti accaduti, ma i sapori, gli odori e i colori. Ed è in questo quid il bello di quanto raccontano Zoran Drvenkar e Jutta Bauer nella commistione di vero e immaginato, di esagerato e normale, di racconto assurdo narrato con una pacatezza testuale che è dovuta anche a una sensibile traduzione..."

 

 Agosto 2017

“La casa degli anni scomparsi”, C. Barker, BestBur Rizzoli 2017


perché

 "Barker è un maestro, un autore che è capace di costruire la suspense con le atmosfere inquietanti che preludono allo svelamento del plot narrativo. Richiama, in questa storia, molto la trama di Coraline, di Neil Gaiman, un altro grande autore per ragazzi. In entrambi i casi, infatti, il punto di partenza è l'insoddisfazione dei giovani protagonisti, i desideri nascosti e inconfessabili (cambiare genitori, avere un'altra vita) che inquietano le giovani menti..."



 
 

perché

"Al suo primo libro, Kyung-Sik Choi, sa già maneggiare con destrezza i fondamentali dell'albo illustrato.  
La costruzione del testo, espressione formale tanto quanto il disegno, si limita a poche frasi che sono disposte sulla pagina come fossero versi. In un lingua vicina al parlato (a chi il merito della traduzione?) si fa cenno a un particolare su cui poi non si insiste, salvo poi tornarci nella chiusa finale, che ha il pregio di riannodarsi alla perfezione per chiudere il cerchio e lasciare un che di sospeso e non detto. Al centro della storia, dove la libertà di interpretazione è sovrana, la parola si sottrae..." 

[continua] 

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(BUM!) 


Settembre 2017




perché 

"è lo spunto sistematico di un'esplorazione ludica e cognitiva sul piano del bello, quel concetto così sfuggente eppure così empiricamente evidente per uno sguardo 'educato'. Giocare con i bambini ad inventarsi altre proprie associazioni è una delle strade possibili per cercare la bellezza, l'armonia anche dove non c'è, almeno apparentemente. Ed è un gioco, o un esercizio, che può essere portato avanti a qualunque età."

 
 
 
perché 
 
"Da un lato spetta all'ambiguità di certe immagini, di certi segni, accendere l'interesse dello spettatore, dall'altra questo tipo di arte, l'unica che secondo Glaser merita questo nome, è quella che cancella preconcetti e stereotipi e nel contempo ha il dono di risvegliare le menti da quel torpore, Glaser lo definisce immunità all'esperienza, che ci aiuta a non soccombere di fronte agli stimoli della realtà.
Quindi di fronte a un'opera d'arte nella sua ambiguità - quadro, poesia, pezzo di teatro che sia - noi ci svegliamo (spegniamo il pilota automatico) e ci rendiamo conto di essere al mondo: la nostra mente si è mossa.
Ebbene tutto questo mi sembra si possa leggere in trasparenza anche in SE le mele avessero i denti."


 Ottobre 2017
 


perché 

"Ha tutta la freschezza, la sensibilità e l'intelligenza che l'autore inietta nelle sue storie, come quelle, già note al pubblico italiano, di Polleke, scritte in realtà alla fine degli anni Novanta.
Leggere questo testo, stampato meritoriamente con un font per la lettura facilitata, è davvero respirare a pieni polmoni in una storia che non ha, per fortuna, scopi educativi, ma racconta con immediatezza la vita quotidiana di una bambina, all'inizio delle elementari, e dei suoi amici, la piccola Roos e Jan-Willem."
 
 
 
perché 

"Ci sono libri necessari: c'è una grande libertà di pensiero nel raccontare storie; c'è il garbo e la gentilezza che permea ogni gesto e, più in generale, il tono narrativo, c'è il gusto per il racconto dell'assurdo che si palesa come un guizzo in un contesto a dir poco quotidiano. E, a proposito di tono, c'è di nuovo quel preciso registro narrativo, ottenuto in una trascrizione felice ed equilibrata di un parlato che diventa testo. C'è la città ancora una volta protagonista non dichiarata, come sempre magnificamente raccontata da Hubesch, c'è tanto verde sotto forma di rigogliose piante."
 

 Novembre 2017
 
 
perché 
 
"Questo è un vero libro sistematico sugli abitanti più numerosi della Terra, che rappresentano l'ottanta per cento delle specie viventi, e parliamo ovviamente delle specie conosciute. olti gli aneddoti, ma soprattutto tanta informazione, con alcune schede finali che consentono ai giovani scienziati e scienziate di riconoscere gli insetti che popolano i nostri terrazzi e giardini. Mi ha colpito la capacità di sintesi e la chiarezza dei testi, pur nella precisione della esposizione. Molti appassionati/e di questo argomento trovano finalmente un testo all'altezza delle loro aspettative."
 
 
 
perché 
 
"Su ogni cosa, lo stile (tutelato da una buona e rispettosa traduzione): la felicità della sua scrittura che ha la capacità di prendere signorilmente per il collo il lettore e strapparlo letteralmente dalla poltrona per farlo atterrare in media res: nell'ambulatorio di via Château-des-Rentiers, nella casa di Violaine, in un centro di pianificazione familiare...Di portarlo dalle lacrime e al riso e viceversa, come se nulla fosse.
Dialoghi serrati e frequenti che si alternano a momenti di riflessione interiore dei personaggi scacciano ogni possibilità di assopimento del lettore che, in un pomeriggio, può bersi senza fiatare le 200 pagine che lo compongono.
Immediatamente dopo lo stile, arriva la sua capacità costruttiva del plot. Mai un'incongruenza, ogni singolo tassello della storia torna puntualmente a incastrarsi al posto giusto per comporre una complessità di struttura da grande romanzo classico."
 

 
 
perché 

"Morosinotto ha ancora una volta centrato l'obbiettivo, con un romanzo d'avventura di grande respiro, che restituisce verità ad un importante episodio storico. Dopo la caduta del Muro di Berlino, si è fatta strada l'opinione che i totalitarismi del Novecento fossero tutti mescolati in un unico calderone di necessario biasimo storico. La realtà è che senza l'eroismo del popolo russo e senza la capacità del suo governo, comunque lo si giudichi, di opporsi agli eserciti nazi-fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale, di cui l'autore non nasconde gli orrori, la storia dell'Europa e del Mondo sarebbe stata ben diversa e noi non saremmo qui a disquisire di libertà.
Lettura necessaria, dunque, per chiunque, dai dodici ai 99 anni, ami l'avventura e la Storia."
 
 
 Dicembre 2017

 
 
perché 
 
"All'interno della storia cornice che ne contiene altre tre, ancora una volta la Crowther costruisce una calda, accogliente e rassicurante relazione piccolo-grande. Nonostante gli orsi protagonisti, lontana anni luce da ogni mielosa cadenza, sulla scia di Minarik e Milne.
Una Mamma Orsa affettuosa e nello stesso tempo ferma nel tenere la barra del timone di una barca che sta per intraprendere il viaggio notturno del suo piccolino. Condiscendente nel raccontare tre storie al posto di una e partecipativa nel saper creare aspettativa verso nuovi progetti per il domani: raccogliere more o scrivere sassi, Mamma Orso è solida nel suo ruolo. Disegnata nel suo grigiore peloso ha sempre un lieve sorriso e gli occhi attenti e pieni di cura, rivolti a Orsetto, unico vezzo concessole: un gonnellone a righe che le copre le zampe, evidente omaggio alla mamma di un altro Orsetto, quello di Minarik e Sendak, appunto."
 
 
 
perché 

"Attraversata dalla consueta lieve vena di follia che caratterizza i racconti di Ulf Stark, ancora una volta costruita intorno a un vecchio e a un bambino, come a voler dimostrare che le due categorie umane hanno parecchio da dirsi, anche Sai fischiare Johanna? lascia dietro di sé una scia di aria fresca e tersa, come spesso accade con la narrativa scandinava per l'infanzia.
Scevra da ogni sentimentalismo, racconta con serenità la storia di due ragazzini e di un nonno trovato.
A passo sicuro, con i disegni 'perfetti' di Olof Landström, il racconto va verso la prevedibile fine del vecchietto, non prima però di aver consolidato le singole relazioni umane, attraverso alcuni passaggi imprescindibili: dalla parte dei piccoli, la cura e dalla parte del vecchio, l'insegnamento."
 

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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UN PIZZICO DI FORTUNA


Michael Byrne, autore di Lottery Boy, non è il primo a raccontarci l'esistenza miserabile di bambini lasciati vivere ai margini della società e nemmeno il primo a immaginarne il casuale riscatto grazie al classico colpo di fortuna; solo che qui non siamo nell'immensa periferia di una metropoli del terzo mondo, come immaginato in Trash; siamo a Londra, quella città che in tanti considerano uno dei centri vitali dell'occidente sviluppato, all'avanguardia su tutto, o quasi. 
Il romanzo, pubblicato da Salani nel 2017, gira tutto intorno a quel 'quasi': ovvero al mondo sommerso di povertà ed emarginazione che le belle, luminose metropoli tendono a lasciare nell'ombra. In questa ombra, nei meandri di una città per il resto popolata da zombi indifferenti, ovvero le persone comuni che rifuggono lo scandalo della povertà, si muove la coppia protagonista, Bully e Jack, una buffa meticcia molto combattiva.
I due 'soci', così intende la relazione il dodicenne Bradley, in arte Bully, da qualche tempo vivono in strada, da quando, cioè, la mamma di Bradley è morta lasciandogli in eredità un biglietto sonoro, in cui è registrata la sua voce. Non era possibile vivere con il compagno della mamma, indifferente, se non ostile. E' così cominciata la vita vagabonda, capace di cancellare l'eredità scolastica, col tempo scandito più o meno dalla durata di un cartone di Scooby doo; tanta incertezza e tanta precarietà legata all'occasionale generosità di qualche passante, sempre che in zona non ci fosse il perfido Janks e i suoi pitbull da combattimento.
La mamma, però, non ha lasciato a Bradley solo il biglietto d'auguri, al suo interno è nascosto un biglietto, vincente, della lotteria, in scadenza entro pochi giorni.
Bully commette l'errore di chiedere l'aiuto a una coppia di barboni suoi 'amici', perché è molto lontano dalla maggiore età e non può riscuotere il premio. Il biglietto vincente fa gola a tutti, prospettando una imprevista vita migliore.
Comincia così un inseguimento infernale in cui tutti i derelitti di Londra si coalizzano contro di lui, guidati dal malefico Janks, disposto a tutto pur di impossessarsi del biglietto milionario.
A Bully e Jack ne succedono di tutti i colori, in un crescendo di situazioni drammatiche ed emozionanti, in cui c'è solo una momentanea, fragile isola di pace presso una famiglia che non gli chiude la porta in faccia. Alla fine sembra tutto perduto, ma l'autore ci regala un rassicurante finale in cui i nostri fragili eroi riescono a salvare la pelle, a costo di una zampa dell'eroica Jack. Per fortuna, sarebbe stato troppo incredibile il contrario, il finale è interlocutorio, ma pieno di possibilità per il futuro, con una vita normale, una famiglia 'quasi' normale e la possibilità di lasciarsi alle spalle un mondo quanto mai violento.
La storia in sintesi è questa e il merito principale di questo romanzo è nella costruzione di un meccanismo narrativo senza pause, con un ritmo serrato e incalzante, in un continuo ribaltamento di situazioni che tengono il lettore o la lettrice incollati alla pagina.
Se questo è indiscutibilmente un merito, lo è anche aver scelto di descrivere in modo tutt'altro che edulcorato l'ambiente di chi vive in strada, la solidarietà, poca, e le molte violenze che regolano la vita dei senza tetto. Cosa può fare un bambino, o poco più, lì in mezzo? Crearsi un mondo, delle abitudini, delle relazioni essenziali, perdendo via via pezzetti del senso comune del vivere civile, misurando il tempo con la fame, scegliendo di restare sporchi, soli, affamati, fidandosi solo del proprio cane, unica creatura affidabile.
Un bel ritratto delle nostre città, in cui la povertà va nascosta alla vista dei comuni cittadini, diventati emotivamente 'zombi', dei morti che camminano.
Non so se fosse intenzione dell'autore accendere l'attenzione su questo aspetto del nostro presente, sta di fatto che si finisce il libro, nonostante il finale, con un grande senso di amarezza per una situazione che non abbiamo scelto, ma che tolleriamo.
Lo stile di Byrne, che tratta la storia come un action movie, è asciutto, essenziale, non risparmiando al lettore e alla lettrice anche scene decisamente forti.
Per questo consiglio la lettura a ragazze e ragazzi a partire dai tredici anni.

Eleonora

“Lottery Boy”, M. Byrne, Salani 2017




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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LA RAGAZZINA DEL LAGO

Contro corrente, Alice Keller, Veronica Truttero
Sinnos 2017


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)

"Se ne stava dritta, appoggiata allo stipite della porta, oppure alla finestra, a guardare il lago. La prima volta che mi vide urlare a squarciagola, mi squadrò in silenzio dalla testa ai piedi. Era la prima persona che mi squadrava in silenzio, per cui, di botto, stetti in silenzio anch'io. Lei tirò fuori dalla borsa un sacchettino, dove c'era un enorme coso lucido. Lo poggiò su di me, come a prendere le misure. Freddo, sgusciante. Mi solleticava la pancia."


Così Emily, una poppante spesso in preda a crisi di pianto inconsolabile, ottiene il suo primo costume da bagno. E lo riceve in regalo dalla sua cugina di New York, di dieci anni più grande, Gertrude. Da quel momento in poi, la piccolina non smette di desiderare un ulteriore incontro con quella cugina tanto schiva e silenziosa, ma forte e possente. Se la piccola Emily vagheggia di lei, le sue sorelle più grandi di Gertrude ricordano esclusivamente la stravaganza dei modi e giudicano la sua passione per l'acqua e per il nuoto come ennesima stranezza di quella robusta ragazzona, piuttosto mascolina.


Così, da un lato, a New York la giovane Gertrude Ederle macina record di nuoto e colleziona importanti medaglie con la squadra olimpica, dall'altra la piccola cugina cerca di emularne il mito, imparando a nuotare nel lago, da autodidatta, con l'aiuto del solo amico che ha, Leo, che la porta a spasso per le acque basse, legata in vita a una corda.
Da una parte e dall'altra le due cugine, una all'insaputa dell'altra, si pongono obiettivi importanti da raggiungere e sfidano le convenzioni: la grande si allena per la traversata della Manica, la piccola per l'attraversata del lago.


Il grande giorno arriva per entrambe. Il 18 agosto del 1925 Gertrude Ederle tenterà l'attraversata dalle coste francesi a quelle britanniche e la piccola Emily, in spregio a ogni divieto e scortata dal solo amico Leo, quella verso l'isoletta del lago davanti a casa.
Se per Emily l'obiettivo è raggiunto, lontano da ogni clamore, per Gertrude occorre aspettare l'anno successivo. Allora, ad acclamarla - ben più di quattordici ore di nuoto con il corpo coperto di grasso per difendersi dal freddo - però non ci sarà solo il sorriso di un bambino amico, come è avvenuto per Emily, bensì un'intera città in festa, New York imbandierata che la porterà in trionfo e la proclamerà Regina delle onde.

Nelle parole contro corrente che danno il titolo a questo strano libro, a metà tra il fumetto e la narrativa illustrata, coincidono i due nuclei di senso dell'intera storia. Il primo si muove più in superficie, l'altro è intuibile in profondità.
A pelo d'acqua emerge l'importanza dell'impegno e la determinazione di una giovane donna nel cercare di raggiungere un proprio record personale, un proprio obiettivo sportivo; sott'acqua si intuisce invece il riscatto da parte di una ragazzina nei confronti di una società che l'avrebbe preferita a ricamare il proprio corredo da sposa piuttosto che vederla fasciata in un costume nero a mettere bracciate dietro bracciate nelle acque di un lago.


Questi due registri si intrecciano con garbo in un racconto composto per metà di invenzione e per metà di fatti realmente accaduti.
Alice Keller e Veronica Truttero partono raccontando l'anomalia di questa bambinetta che, fin da piccola, è piuttosto decisa ad andare contro corrente, pur di seguire la propria passione (Calpurnia docet). Contro corrente è anche la storia, quella con la S maiuscola, di una ragazzona newyorchese che intorno ai 15 anni si scopre talento del nuoto e macina record, finora appannaggio dei soli uomini.
Alice Keller e Veronica Truttero raccontano così la vera storia di Gertrude Ederle, facendola diventare la cuginona sportiva che le donne della famiglia di Emily guardano con una certa supponenza.
A parte la bellezza intrinseca che la vicenda sportiva e umana di Gertrude Ederle porta con sé, sono almeno altri tre i meriti di questo libro e tutti e tre tenuti insieme da un unico filo rosso comune che è l'equilibrio.
Equilibrata è la costruzione narrativa in cui Invenzione e Storia occupano rispettivamente i due piatti della bilancia, senza predominare mai l'una sull'altra.


Equilibrata è la relazione tra testo e immagine in un originale dialogo, sorta di contrappunto armonico, che le parti più scritte instaurano con il disegno/fumetto. Sembra essere la risultante di un lavoro di continuo confronto tra le due amiche e colleghe libraie, Keller e Truttero. E laddove il dialogo tra autore e illustratore si tramuta e consolida, diventando forte intesa, è il tono del libro a trarne il primo guadagno.
Ancora di equilibrio armonico si può parlare se si osserva la composizione della pagina e i ritmi diversi che il disegno imprime al ritmo di lettura: sequenze 'cinematografiche' che si alternano a fumetto più puro; noterelle al margine talvolta ironiche oppure esplicative; tavole a piena pagina senza testo per conferire il giusto respiro; lettering attento; scelte cromatiche e di contesto rispettose di una precisa epoca.
All'equilibrio e all'armonia dunque si aggiunge la cura per il dettaglio (a parte un'acca di troppo ).
Conclusione finale: Keller e Truttero dimostrano qui una maggiore sicurezza nel raccontare, circostanza che permette loro, vista la storia, di cambiare il registro dei 'crescendo' comici e di muoversi con una certa disinvoltura anche in 'profondità'.
Il disegno di Veronica Truttero, in particolare, trova in questa storia piena di figurine umane e quasi nessun animale, un cifra decisamente più interessante e congeniale che ricorda, a me che pochissimo so di fumetto, la grazia compositiva di Paolo Cardoni.

Chissà che non dipenda dalla loro comune partenza con studi di scenografia? Chissà.

Carla

FAMMI UNA DOMANDA!

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VERSO L'INFINITO E OLTRE!


Spesso ho ripetuto quanto sia avara l'editoria per ragazzi nella divulgazione per la fascia d'età della scuola media. Non posso che sottolineare, quindi, la notevole rarità di Hawking. Universo. Spazio. Tempo, di Rudiger Vaas, valente divulgatore tedesco, tradotto qui da Libreria Geografica, uno dei tanti marchi del gruppo De Agostini.
Questo testo, pensato secondo me per ragazzi e ragazze, nonché adulti digiuni, come me, di fisica, dai tredici anni in su, è un esempio di divulgazione 'alta', quella in cui, pur utilizzando una terminologia precisa e senza tradire il nocciolo delle teorie esposte, sui usa un linguaggio accessibile a tutti o quasi.
Certo è necessario un minimo background scientifico, che consenta di comprendere concetti non proprio facilissimi. Bisogna aver fatto le scuole medie o avere un proprio bagaglio personale, frutto magari di una già forte passione scientifica.


Gli argomenti trattati sono complessi e affascinanti, divisi in sette capitoli i cui titoli sono già un'interessante enunciazione di problematiche affascinanti: il mistero del big bang, spedizione nell'immaginario, trappole gravitazionali, il futuro e i viaggi nel tempo, alieni,dio e il mondo. In poche parole, viene raccontato poco più di un secolo di storia della fisica, dalla teoria della relatività, ai buchi neri, alla ricerca eterna della teoria del tutto; argomenti filtrati attraverso le ricerche di Stephen Hawking, grande scienziato, la cui vicenda umana è stata più volte raccontata anche dal cinema. Come si vede, si tratta di argomenti affascinanti, pur nella loro complessità, e con grandi ricadute su quello che noi, gente comune, pensiamo del tempo, dell'universo e del posto che vorremmo occuparvi.
Se già è meritevole anche solo l'impresa di aver raccontato tutto questo con precisione ad un pubblico giovanile, cui sono riservati quiz di verifica alla fine di ciascun capitolo, trovo ancor più meritevole lo sforzo di far comprendere le implicazioni filosofiche o anche in termini di senso comune di queste interessanti e, a volte, contraddittorie teorie. Se il mondo sia governato dal caso o se vi sia un riconoscibile disegno 'esterno', se la scienza sia solo calcolo e deduzione, o nasca anche dall'immaginazione, dalla capacità di pensare qualcosa ben prima che possa essere dimostrato, mi sembrano argomenti dalla grande potenzialità euristica, ovvero argomenti che possono a loro volta suscitare domande e pensieri 'fuori dagli schemi'.
Si tratta, quindi, di un libro ben pensato e ben scritto, con una grafica accattivante e illustrazioni che aiutano a farsi un'idea di concetti altrimenti molto astratti; può essere collocato, in libreria, nel settore ragazzi o nella divulgazione per adulti, dove in realtà si possono trovare testi che possono piacere anche a giovani lettori e lettrici.
E' però un episodio troppo isolato, in un panorama al momento povero di proposte per questa fascia d'età. Ci vorrebbero intere collane come questo libro, che trattassero anche argomenti molto diversi, dalla storia all'arte alla filosofia.


Non si vede, all'orizzonte, nessun progetto del genere, anzi, nessuna intenzione di pensare ad un progetto. I nostri editori, con le debite e ben note eccezioni, sono concentrati su una fascia d'età inferiore e su argomenti, animali in testa, di sicuro successo commerciale.
Finché le cose rimarranno così, non vedo come l'editoria che si occupa di divulgazione possa rinnovarsi, se non per singoli libri, singoli prodotti dotati di particolare efficacia e originalità.
Nel frattempo, non posso che ringraziare Libreria Geografica per il coraggio e invitare giovani lettori e lettrici con grandi domande che ronzano nella testa a dare un'occhiata a questa preziosa rarità.

Eleonora

“Hawking. Universo. Spazio. Tempo”, R. Vaas, Libreria Geografica 2017



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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L'ETÀ D'ORO

Lena, Trille e il mare, Maria Parr (trad. Lucia Barni)
Beisler Editore 2017



NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni)

"Pensai alle mille volte che c'eravamo rifugiati laggiù a chiacchierare di tutte le cose possibili e immaginabili. Adesso eravamo entrambi muti. Ascoltavamo lo sciabordio sotto il peschereccio alle prese con i nostri pensieri, mentre lentamente l'oscurità si portava via tutto ciò che restava del giorno."

Sono nascosti sotto coperta nel vecchio peschereccio del nonno di Trille, ormeggiato in porto. Lena ha appena sparato con un fucile ad aria compressa a un'ombra che si aggirava intorno al pollaio. Purtroppo non era la volpe, ma il padre di Trille.
E' l'inverno di un anno pieno di novità a Martinfranta.
Tutto prende l'avvio da un'estate. Un'estate alla grande per Lena che ha un papà tutto nuovo, con il quale lei e sua madre hanno appena trascorso delle meravigliose vacanze a Creta.
Lena irrompe nella tranquillità del fiordo con un tuffo nell'acqua gelata e tutto sembra essere come prima. Lei è il solito tornado, Trille è il suo migliore e devoto amico con cui condivide ogni pensiero e ogni progetto
A Martinfranta, però, qualcosa sta cambiando. Con l'arrivo di una famiglia olandese che va ad abitare nella casa di Jon a Colle Ripido, tra i due amici di sempre si affaccia qualcun altro: tra i nuovi inquilini della casa di Jon c'è anche una ragazzina che trafigge il cuore di Trille, Birgitte.
Ora a lavorare alla zattera di Lena c'è anche lei, ma il varo rocambolesco la allontana temporaneamente, con una certa soddisfazione da parte di qualcuno.... Lena, Trille e il nonno per un breve momento ricostituiscono così la 'squadra' di sempre.
E a proposito di squadra, è l'autunno a riservare a Lena una ulteriore sorpresa. Con il cambio di allenatore, Lena perde il suo posto in porta nella squadra maschile per conquistarne uno in quella femminile della città.
Altra rabbia, per Lena. E poi soddisfazioni. Le sorprese arrivano anche per Trille: un nuovo fratello e una inaspettata passione per il piano. Per amore si può imparare a suonare Per Elisa, per esempio.
L'inverno porta con sé cupezza, cattivo tempo, una volpe e un sacco di guai al nonno. E un atto di eroismo da parte di Trille.
Con la primavera il gelo si stempera, il ghiaccio si scioglie e sotto si vede un mondo tutto nuovo...

Quando si chiude l'ultima pagina di questo libro di Maria Parr il mondo che abbiamo davanti è davvero tutto nuovo. Nuovo rispetto a quello delle prime pagine, quanto meno.
E' quel mondo tutto nuovo che ogni bambina e ogni bambino sperimentano al finire della loro infanzia. Che - almeno in letteratura - arriva sempre dopo l'estate. A un certo punto, quando meno te lo aspetti, l'età d'oro - quella che fa credere che tutto sia per sempre, che fa sentire onnipotente per fare tuffi dal molo, o attraversare in zattera la rotta del traghetto - sparisce d'incanto e l'infanzia è andata. L'estate, l'ultima estate da bambini (Beatrice Masini la chiama Estate gigante, Wu Ming 4 l'ha meravigliosamente raccontata in Piccolo regno, nel film Stand by me, altra estate di passaggio, il sottotitolo non lascia dubbi...), è un tempo di felicità inconsapevole. Poi arriva una brezza diversa che si percepisce prima con la pelle e, solo molto tempo dopo, con la testa.
Questo è quello che accade ai due protagonisti: Lena e Trille. Maria Parr con la sua penna felice e la sua anima sensibile, attenta e memore, muove i fili di una storia di crescita. Continuano a esserci gli scherzi, le follie, le impulsività di Lena, ma si assiste anche alla sua maturazione, alla sempre maggiore consapevolezza che ha di sé, alla sua cura affettuosa nei confronti del vecchio nonno di Trille, o verso il timido Isak. Traccia un nuovo profilo della sua grande amicizia. Lena impara anche a stare in silenzio e a stare da sola e a credere in sé.
Trille, dal canto suo, comincia a considerare l'amore, la propria autonomia rispetto agli altri, tocca con mano la finitezza degli adulti che invecchiano, ne ridisegna i contorni che non sono più quelli del mito. E anche lui impara a stare in silenzio e a stare da solo e a credere in sé.
Nella vita vera, questo passaggio a volte può essere tranquillo, a volte doloroso, ma sempre necessario.
Necessario almeno quanto il leggere questo bellissimo libro.

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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RICORDARE



Se il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, in realtà le proposte editoriali sul tema dell'Olocausto cominciano a comparire anche qualche mese prima. E' il caso di Hanna non chiude mai gliocchi, che Luigi Ballerini firma per le edizioni San Paolo.
A metà fra ricostruzione storica e fiction, questo romanzo breve racconta la storia, vera, del console italiano di Salonicco, Guelfo Zamboni, e del capitano Lucillo Merci, nel terribile 1943, quando i tedeschi decisero di estirpare la colonia ebraica di quella città.
Romanzata è, invece, la vicenda dei due giovani protagonisti, Hanna e Yosef, adolescenti in quel terribile inverno in cui gli ebrei locali furono deportati in Polonia.
A interporsi fra loro e un destino infame, il consolato italiano, che portò in salvo, presso l'ambasciata italiana di Atene, centinaia di ebrei italiani o quasi, cioè cui era stato possibile attribuire anche solo una lontana parentela italiana.
Lo svolgimento del romanzo alterna la vicenda dei due ragazzi, uniti all'inizio da una coabitazione forzata, poi da una forte amicizia, a quelle del diplomatico italiano e del suo assistente, nel tentativo affannoso di sottrarre il maggior numero possibile di ebrei alle persecuzioni naziste.
E' facile in questi casi cadere nella ritualità legata alla ricorrenza e nella retorica; devo dire che Ballerini riesce a tenersene alla larga, con uno stile essenziale, senza eccessive sottolineature drammatiche, che pure sono nei fatti, così come sono accaduti e come sono stati raccontati.
Attraverso gli occhi increduli dei due giovani protagonisti, assistiamo al progressivo smantellamento di ogni regola civile, di ogni diritto, nel nome della presunta superiorità ariana. E attraverso la ricostruzione storica vediamo come sia stato possibile per alcuni, purtroppo troppo pochi, opporsi alla spietata caccia all'uomo praticata dai nazisti.
Entrambi questi temi sono di stringente attualità: non troppo lontano da noi, c'è chi definisce ipotetiche identità etniche per alzare muri e si sente, nell'Est dell'Europa, un minaccioso rumore di stivali al passo cadenzato delle marce militari. E di fronte al fenomeno delle migrazioni clandestine, c'è chi salva e chi respinge.
Non è semplice, mai, sapere cosa è giusto fare, ma credo che, da Antigone in poi, sia evidente il conflitto fra l'etica, cioè il mondo delle leggi morali, e la politica, le leggi che qui e ora regolano le relazioni fra gli uomini.
La presenza di spirito critico, la capacità di valutare situazioni e scelte è la migliore garanzia che i tanti orrori del Novecento, guerra balcanica compresa, non si ripetano. E quello che concorre a conservare la memoria e a consolidare la distanza dalla furia nazista, come questo prezioso sobrio romanzo, è importante come un mattone del muro di tolleranza e di pace che si oppone ai fantasmi del nostro recente passato. Lettura consigliata a ragazze e ragazzi con gli occhi aperti, a partire dai dodici anni.
Eleonora

“Hanna non chiude mai gli occhi”, L. Ballerini, Edizioni San Paolo 2017




Article 1

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PROPRIETÀ DEL MARMO

Ci sono milioni di ricette in rete per preparare le bucce di limone candite.

Questa è il frutto di una commistione di diverse ricette e di una serie di aggiustamenti fatti nell'ultimo mese, trascorso a provare e riprovare.
Su di essa pesano anche alcuni commenti da parte degli utenti finali "forse, un po' troppo dolci?...""magari un tantino meno cotte?...""che dici, un cincino appiccicose?..." E inoltre mi è costata varie insinuanti e sessiste offese quando mi sono permessa di dire che il marmo è più freddo del legno e mi sono sentita rispondere "ah, voi donne, non lo capirete mai che a uguali condizioni legno e marmo sono alla stessa temperatura....è come il fuorigioco: non vi entra in testa e basta."
Quindi, la medesima ricetta mi è costata anche varie riflessioni personali e lezioni di fisica/chimica, l'ultima delle quali ieri mattina alle 6.45 ancora a letto.
Non so se ho imparato a fare le bucce di limone candite (mi sono sempre venute in modi lievemente differenti!) ma ora ho chiaro in mente che il marmo sembra freddo perché assorbe più velocemente il calore rispetto al legno, ovvero il marmo è un migliore conduttore di calore se paragonato al legno.

Ingredienti
Le bucce di tre limoni tagliate e striscioline alte 1/2 cm
Zucchero (poco meno dello stesso peso che hanno da cotte)
1 cucchiaio di acqua per ogni 100 gr di zucchero

Dopo aver tagliato le bucce, tenendo anche una buona dose dell'albedo, in striscioline non tanto larghe né tanto strette - giuste - mettetele a cuocere in un tegame di acqua fredda e poi scolatele al momento del bollore.
Ripetete l'operazione per altre 3 volte. Ogni volta scolatele e ricominciate con acqua fresca. Questa operazione -fondamentale - serve ad attutire l'amaro dell'albedo.
Ora stendetele su un panno e fatele asciugare per bene.
Pesatele, le mie pesavano circa 150 gr.
Mettete in una pentola lo zucchero (o lo stesso peso delle bucce asciutte o poco meno) e l'acqua e fate sciogliere lo zucchero a fuoco basso. Aggiungete le bucce e, girandole spesso soprattutto alla fine, fate evaporare l'acqua e assorbire tutto lo zucchero. Fate attenzione a non caramellare le bucce, a non farle 'cuocere' troppo e quindi a indurirle. Girate, girate e girate ancora.
Quando sul fondo della pentola non c'è più zucchero fuso e le bucce sono un bel grumo 'asciutto', mettetelo su carta da forno su lastra di marmo, (o di metallo) avendo cura di separare le bucce in modo che si freddino separatamente.
Se le avete tolte dal fuoco prematuramente, avrete una patina di sciroppo zucchero che le avvolge e le rende appiccicose. Per renderle 'asciutte', spolveratele da fredde con lo zucchero a velo e poi scuotetele bene per eliminarne l'eccesso.
Tutto quello che so, l'ho scritto.


Carla

Noterella al margine: per non mandare perduto il succo di limone, preparate dei buoni budini.

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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LA GRANDE ILLUSION

La casa degli oggetti scomparsi, B.B. Cronin (trad. Sara Ragusa)
Terre di Mezzo, 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Oggi il nonno ha promesso di portare i nipotini al parco.
Ma ha bisogno di un po' di aiuto per prepararsi.
Perché ha perso alcune cose.
Nel soggiorno verde ci sono cuscini, chiavi, candelabri e due calze.
Dove sono le calze del nonno?"


Il nonno vive in una casa grandissima e davvero piena di oggetti che si accatastano alla rinfusa. I due nipotini - un bambino e una bambina - sono piuttosto sconcertati all'idea di dover setacciare stanza dopo stanza per trovare i molti oggetti di cui il nonno ha bisogno per la sua passeggiata al parco. Nel soggiorno verde si nascondono i calzettoni, nella cucina rossa le scarpe, nel bagno giallo la dentiera...
A ogni stanza, tuttavia, i due bambini ricominciano la perlustrazione attenta di ogni più remoto angolino; vanno su e giù, entrano da botole in soffitta, si spingono sulle mensole in cucina e rovistano dietro ogni sportello, tornano anche sui loro passi, in cerca di oggetti quasi introvabili. 


Ciò nonostante, pezzo dopo pezzo, il nonno ottiene ciò di cui ha bisogno, sebbene, colpevolmente lo vediamo sottrarsi alla ricerca coi nipotini, delegando loro ogni fatica. Sprofondato in poltrona, sdraiato nella vasca da bagno, nascosto dietro un giornale, assorto nel guardare il panorama, questo nonno non ce la conta giusta. Nel lettore nasce spontaneo il sospetto che tutto questo chiedere e ancora chiedere sia solo una scappatoia per non prestare fede alla promessa fatta: oggi vi porto al parco!
E, visto il finale, per i più maliziosi il sospetto diventa quasi una certezza.

Un nonno che tanto ricorda quello rodariano che, complice una memoria non proprio brillante e una scarsa attenzione per il nipote, faceva correre il tempo A sbagliar le storie. Qui l'ambiguità di fondo non permette di dire che il nonno stia ciurlando nel manico, ma a ogni buon conto lo si può inferire.
La pazienza di quei due nipoti viene messa alla prova al pari di quella del lettore che si trova davanti un libro cerca-trova di insolita fattura e di qualità eccellente.

Cronin, irlandese a Brooklyn e collaboratore con il NYTimes e il New Yorker, che con questo titolo ha visto nel 2016 la Gold Medal conferitagli dalla Society of Illustrators, sullo schema consueto per questa tipologia di libro-gioco, innesta un paio di novità interessanti che lo rendono un libro superiore alla media.


La prima: il registro cromatico. La seconda: la complessità del contesto.
Il contesto, ovvero il tessuto delle singole tavole che si avvicendano, è molto diverso dalle consuetudini di libri del genere. Non c'è il motivo astratto che si ripete come un pattern in cui bisogna saper cogliere il dettaglio, e quindi concentrarsi sulla forma e sulla sua anomalia. Non c'è la figura nascosta abilmente dietro altre parti del disegno. A bene vedere, ci sono entrambe, laddove gli oggetti da cercare, in un mare di verde o di blu o di arancio, sono camuffati entro forme simili che illudono l'occhio in continuazione.
Per fare un esempio: nella pagina in cui la missione è ritrovare gli occhiali, ci sono cerchietti ovunque, siano essi cornici vuote, o colli di decine di stivali accatastati. Le righe dei calzettoni si confondono con le striature del legno.
La sigla personale sta però nel susseguirsi di pagine monocrome (a ogni colore corrisponde di fatto un ambiente diverso della casa) con una singola dominante, ovvero la paletta cromatica che passa dal magenta al giallo, dal viola al verde acceso, spesso con un preciso nesso di senso (l'arancio per il tramonto, il verde per la serra, il marrone per la soffitta). 

 
Tutti i colori sono saturi, accesi, circostanza questa che lo rende davvero un cerca/trova 'eccentrico' e unico nel suo genere.
L'altro elemento cui si accennava è la complessità del contesto. Definire la casa del nonno una villetta sottosopra è un eufemismo: cosa che rende il lavoro dello sguardo indagatore lungo e faticoso e perennemente distratto da arnesi insoliti o fuori luogo, da continui giochi illusivi e particolari comici.
Per trovare il papillon, a parte la presbiopia corretta da lenti adatte, sono stati necessari almeno 7 minuti di intenso setacciamento dell'intrigo di oggetti che il nonno (un disposofobico?) ha accumulato nel suo studio rosa/grigio. Per non parlare della dentiera nel bagno giallo. Accanto a una certa confusione diffusa, Cronin si diverte a creare piccoli divertissements: animaletti qui e là, arredi in miniatura, collezioni di oggetti insoliti quali pneumatici o casette per gli uccelli, cornici o stivali sempre rigorosamente fuori posto.


Va detto, a onor del vero, che se da un lato Cronin fornisce senza sbandierarli una serie di tips utili, dall'altro si permette anche una serie di giochi di illusione ulteriori con il lettore, attraverso l'uso di specchi, o facendolo ritornare impunemente su tavole già scandagliate.
Anche lui con i suoi lettori è un po' affettuoso e un po' senza pietà, come quel nonno che rincalza le coperte a quei poveri nipotini che al parco non li ha mai portati...


Carla




FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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L'ARTE E LA STORIA


Una novità interessante, che coniuga, ancora una volta, narrazione e Storia. Partendo dal proprio romanzo, Julia Billet realizza insieme a Claire Fauvel una graphic novel di rara intensità: Laguerra di Catherine, pubblicato ora da Mondadori nella collana Contemporanea.
L'autrice si è ispirata alle reali vicende di sua madre, ospite da bambina, durante la Seconda Guerra Mondiale, di una scuola speciale, la Maison di Sèvres, dove pedagogisti d'avanguardia non solo sperimentavano metodi d'insegnamento innovativi, ma, soprattutto, nascondevano bambine e bambini ebrei. La madre di Julia Billet era una di queste, una delle fortunate che hanno avuto salva la vita.


Ovviamente se questo episodio è lo spunto da cui parte la narrazione, sono molte le invenzioni; la protagonista, Rachel/Catherine, è una ragazzina i cui genitori sono scomparsi e noi lettori possiamo facilmente immaginare che non faranno ritorno; lei non lo sa, non sa cosa esattamente stia succedendo, si consola soprattutto attraverso la fotografia. La sua è una vera passione: possiede una Rolleiflex e sa sviluppare e stampare i rullini fotografici, grazie al prezioso insegnamento di Pinguino, uno dei suoi professori.
Nel corso del tempo, la pressione degli invasori nazisti e del governo collaborazionista di Petain aumenta sempre di più, e ai bambini ebrei viene cambiato il nome, organizzandone la fuga verso località più sicure. Sono anni terribili e il nascondiglio di Catherine cambia continuamente; lei non si perde d'animo e nel corso dei suoi spostamenti conosce il lato migliore dell'umanità in tempo di guerra: quelli che riescono a restare umani, che riescono a opporsi all'orrore e alle atrocità del nazismo. La fine dell'incubo arriverà e Catherine riuscirà a rientrare nella Parigi liberata e festante. Ma non ritroverà i suoi genitori, mentresi ricongiungerà ai suoi insegnanti della Casa dei Piccoli e ad altre persone incontrate durante la fuga.
A questo punto può iniziare la vita da persona libera, dedita all'arte e piena di curiosità per il mondo.


E' vero, il 27 gennaio è una data che induce a una certa ritualità nel ricordare l'Olocausto. Ma ci sono testi che questa ritualità la superano d'un balzo grazie all'originalità della storia e dell'impianto grafico. La riscrittura come graphic novel del romanzo della Billet riesce a rendere una efficace immediatezza del racconto, fermando l'attenzione sulla quotidianità apparentemente normale di questi bambini e bambine, che cambiano nome, soffrono di nostalgia per i cari lontani, imparano a mangiare cibi sconosciuti o proibiti; parallelamente a questi 'scatti' fotografici, che ci raccontano la vita, le fughe, la paura, c'è l'onnipresente Rolleiflex della protagonista, strumento di memoria e di riscatto per questa ragazzina dalla grande forza d'animo.
L'arte come rappresentazione e interpretazione del mondo, nello stesso tempo è anche l'unica fuga possibile per restare se stessi nonostante tutto.
Mi sembra una bella lettura, intensa e misurata nello stesso tempo, semplice e diretta, capace di coinvolgere anche ragazzi e ragazze a partire dagli undici anni.

Eleonora

“La guerra di Catherine”, J. Billet e C. Fauvel, Mondadori 2018


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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IRRESISTIBILI TUTINE

La vita dei super-mini-eroi, Olivier Tallec (trad. Tommaso Gurreri)
Edizioni Clichy 2017


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Il super-mini-eroe ha così tante cose da fare che non si annoia mai...
(a parte qualche volta quando piove).
Il super-mini-eroe non ha paura di niente... e di sicuro non dei cagnolini!
Insomma... a volte ha paura del buio. Ma di rado.
Ogni tanto, il super-mini-eroe deve smettere di essere un super-mini-eroe...
...e aspettare."

Dopo aver fatto il bagno con il bagno schiuma, deve attendere, seduto sulla lavatrice, nudo con indosso i soli calzini, che la sua tutina da super-mini-eroe finisca di asciugare.

 
I compiti eroici del super-mini-eroe sono rimettere a posto i giochi oppure tenere la corda mentre un'altra ragazzina salta. Molte sono le prove che deve superare: non cadere nella trappola delle caramelle e non cadere fuori dal tappetto elastico quando si lancia da una scala di 13 pioli. Deve evitare anche le innumerevoli trappole sparse in città, ha molti corsi d'acqua da attraversare e diversi palazzi da scalare.


Fortunatamente il super-mini-eroe ha dalla sua parte grandi assistenti (o assistenti grandi) che lo aiutano a essere migliore nella vita quotidiana. Ma non sempre i grandi si rivelano collaborativi: in particolare non sembrano capire il suo senso dell'umorismo.


I super-mini-eroi non tollerano tre cose: le sorprese, gli impostori e anche le condizioni avverse del tempo; per esempio il troppo vento o il troppo caldo.
Come tali, i super-mini-eroi si sentono spesso diversi e incompresi.
La loro è una vita molto dura e spesso si interrogano su come sarebbe se nel mondo tutti fossero super-mini-eroi...

Tallec da non perdere.
In questa sua veste duplice, autore e illustratore, Tallec dimostra e consolida il suo grande talento.
Già nel primo albo in solitario, Luigi I re delle pecore (Lapis 2016), immediato il successo internazionale, ha dato spazio al suo sottile e tagliente senso dell'umorismo, un'ironia sempre un po' venata di amaro, che nei libri a quattro mani, traspariva solo qua e là.
Nella serie di libri Chi cosa chi (Lapis 2015) o Chi cosa dove (Lapis 2017) sebbene sia il gioco la chiave di lettura principale, si affianca un ulteriore importante elemento dello stile di Tallec: la cura per il particolare. Il gioco, difatti, perderebbe di senso se non ci fosse da parte del lettore un'osservazione acuta di ogni piccolo dettaglio, di quei minuti elementi di cui Tallec si serve per indirizzarlo verso la soluzione. Minuzie, piccoli gesti o espressioni segnano i personaggini - animali o umani - messi in fila ordinatamente sul fondo bianco del foglio a metà della pagina orizzontale.
In questo ultimo libro entrambi gli elementi si trovano espressi.
Da una parte non si può non notare l'effetto che provocano quei piccoli segni, quasi impercettibili trattini o puntini - spesso semi nascosti dietro folte capigliature ribelli - che tuttavia hanno la forza di dare espressione precisa ai molti super-mini-eroi che si avvicendano nel libro, trasformando ciascuno in un preciso tipo umano.


Un altro carattere distintivo del disegno di Tallec si riconferma anche qui: la predilezione per i grandi testoni su corpicini esili avvolti in tutine, carattere questo che nel lettore adulto genera senso di tenerezza, come di fronte agli 'occhioni' dei cuccioli: irresistibili.
Il secondo tema che segna la sua cifra stilistica è l'ironia.
Tallec è maestro in questo.
Tale registro attraversa il libro in lungo e in largo, e prende ulteriore forza dal gioco contrappuntistico tra disegno e testo, laddove uno smentisce sistematicamente l'altro, oppure ne dà chiave di lettura sempre un po''fuori asse'.
Questo è uno dei pregi dell'albo illustrato, a conferma ulteriore che il suo linguaggio è qualcosa che non ha uguali nell'espressione artistica.
A ogni tavola si constata un gap di cose non dette e si assiste a un continuo contraddirsi tra testo e immagini, in alcuni casi addirittura si rasenta il sarcasmo nei confronti dei super-mini-eroi, che ne escono tuttavia miracolosamente indenni.


E qui, il terzo valore del libro: la presa di posizione di un adulto affettuoso quanto rispettoso nei confronti dei piccoli protagonisti. In questo senso Tallec non si sottrae alla responsabilità di parlare a entrambe le categorie dei suoi lettori con codici differenti: ai piccoli (con cui più volte solidarizza) e ai grandi (a cui fa intenerito l'occhietto).
Ma, ma, ma la cosa che in assoluto è da considerare massimamente interessante è un elemento che - al contrario - fa di tutto per restare nell'ombra, ma che invece merita tutta la luce del caso: il disegno, quasi uno schizzo, a matita che dà vita ai singoli contesti in cui i mini-super-eroi agiscono. Schivo, se messo in relazione con il colore concesso in modo esclusivo al lato 'superoico' dei personaggi, il tratto in b/n è semplicemente una gioia per lo sguardo, perché testimonia una qualità del segno e della resa spaziale davvero notevole.
Tutti a guardare la biondina fasciata nella tutina nera che la fa sudare, rischiamo di non notare il bimbetto che, soddisfatto nel suo allungo, nuota concentratissimo a rana. 


E sarebbe davvero un peccato...

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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FACCIO DA SOLO!


Piccolo, prezioso illustrato, proposto ora da Salani, Non si toglie!, del giapponese Shinsuke Yoshitake, racconta la breve, ma formativa odissea, compiuta da un bambino nel tentativo eroico di spogliarsi da solo.


E' l'ora del bagno e il nostro eroe tenta di levarsi la maglietta da solo, restando incastrato con le braccia alzate e il viso coperto dal tessuto. Sono tanti i tentativi di togliersi d'impaccio, ma la maglietta resta lì, incastrata. Il nostro bimbo è sicuro, si può vivere anche così, ne è certo, magari con qualche difficoltà; certo, bere diventerebbe problematico e poi quella pancia scoperta potrebbe essere vulnerabile agli scherzi del gatto. Di sicuro ci sono altri bambini incastrati, basta solo cercarli e giocare con loro. Mentre fantastica tutte queste cose, il bimbo comincia a sentire freddo e pensa di chiamare la mamma, ma no! 



Ce la deve fare da solo. Ed è proprio questo il guaio, prova a togliersi i pantaloni e, naturalmente, a quel punto, si incastra anche le gambe. 


Arriva la mamma e tutto risolve, lo spoglia, lo lava, l'asciuga e gli porge il pigiama pulito. Adesso sì, che tutto fila liscio. O no?
Il libro è stato premiato l'anno scorso con il Bologna Ragazzi Award, insieme ad altri libri comeI lupi di Currumpaw. Ed è un premio meritato perché questo piccolo illustrato ha molte doti concentrate in poche immagini: l'ironia, sicuramente, che sfuma nel grottesco quando descrive l'irrealistica immaginazione del bambino ancora poco padrone dei suoi mezzi fisici, un po' pasticcione, ma fieramente intenzionato a non chiedere aiuto. 



L'autore giapponese ci propone un mondo surreale di bambini dal viso coperto dalle magliette incastrate: scalano montagne, vincono premi, giocano insieme. Un mondo ribaltato, che riesce a compensare le momentanee sconfitte di un 'io' in formazione. A questa improvvisazione pasticciona del piccolo protagonista fa da contraltare l'efficienza materna rappresentata in un paio di tavole, in cui lava, sciacqua e asciuga, lasciando il piccolo tutto arruffato e un po' avvilito.
Ma la cosa che ho trovato più apprezzabile in questo albo veloce e imprevedibile, è proprio l'aver visto il mondo ad altezza bambino: per un piccolo spogliarsi è una questione seria, sbrogliarsela da soli una questione fondamentale per affermare la propria presenza autonoma del mondo. E questo sguardo empatico, vicino anche a quello di Tallec, ci consente di guardare con tenerezza alle improbabili imprese di piccoli super eroi alle prese con un mondo troppo grande e complicato per loro.


Affrontare queste difficoltà, anche se produce situazioni grottesche, è veramente eroico.

Eleonora

Non si toglie!”, Shinsuke Yoshitake, Salani 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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UNA SERIE DI FORTUNATI EVENTI
Il rapimento del Principe Margarina, Mark Twain, Philip Stead,
Erin Stead (trad. Giordano Aterini)
Bompiani 2017


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni)

"L'unica vera amica di Johnny era una gallina malinconica dal nome bizzarro. Si chiamava Pestilenza e Carestia. In passato probabilmente le galline dovevano essere state due, una Pestilenza e una Carestia. Ma dobbiamo di nuovo attenerci ai fatti. C'era una sola gallina, adesso, e aveva due nomi.
Pestilenza e Carestia si avvicinò trotterellando e becchettò fiaccamente l'alluce malconcio di Johnny per manifestargli solidarietà.
'Grazie' disse Johnny. 'Non mi sono fatto niente, credo.' Saltellò su un piede. La gallina lo imitò, convinta che fosse la cosa giusta da fare. Johnny rivolse un sorriso alla sua vecchia amica."


Questi due sono amici e si fanno una gran compagnia. Da una parte, un ragazzino quasi solo al mondo (a parte il nonno che era proprio una brutta persona) che vive in uno sperduto paese con il nome difficile da pronunciare, un paese dove i poveri e gli sfortunati rimangono poveri e sfortunati per tutta la vita e dall'altra, una gallina che ha per nome un'imprecazione, una delle molte pronunciate dal nonno burbero di Johnny, al mattino appena sveglio.
Quella brutta persona sta per fare la sua ennesima cattiva azione: sta per intimare a Johnny di andare in città a vendere la gallina al mercato.
E questa è un po' la storia del viaggio di un ragazzino e della sua fedele gallina verso il mercato. Barattare con una vecchina la sua gallina permalosa e malaticcia, seppure socievole, è quello che fa Johnny e ne ottiene in cambio un pugnetto di semi blu.
Il viaggio di ritorno con i semini in mano non è facile, ma ciò che lo attende a casa è ancora peggio. Nel vedere il frutto dello scambio, il nonno impreca così tanto che ci lascia la pelle. Ma prima i semi li sbiascica e li risputa in giro. Il caso volle che uno di quei semi attecchisse e producesse un bel fiore che il povero bambino affamato mangiò per fame. Il fiore magico permette a chi lo mangia di poter parlare le lingue degli animali ed è quello che puntualmente si verifica.

 
E questa è anche la storia di quello che al piccolo Johnny capita, dal momento che si fa un'altra amica, Susy la donnola, e che le cose cominciano ad andare nel verso giusto e che decide di partire alla ricerca di un principe scomparso.
E del finale invece tacerò.

Ci sono due, anzi tre, eventi fortunati in questa particolare circostanza.
Il primo: la tradizione nella famiglia Clemens di raccontare prima di andare a letto una storia inventata, partendo da una figura di un giornale.
Durante la loro permanenza parigina, per le due bambine più piccole, Susy e Clara, Samuel Langhorne Clemens inventa storie ogni sera. Una di queste però sembra convincerlo più di altre e così decide, per cinque giorni di seguito, di appuntarsi qualcosa, con l'intento di ritornarci su, sulla storia di Johnny, con l'intento, forse, di renderlo indimenticabile come Tom o Huck.


In verità, Samuel Langhorne Clemens, sulla storia di Johnny non ci torna su, ma quei fogli sparsi, per la precisione 16, tornano a galla nel 2011, a Berkeley nell'università dove le carte di Twain si conservano con cura. E questo è il secondo evento fortunato.
Il terzo segue a ruota e si verifica quando a qualcuno, vari illustri professori e un bravo editore, viene in mente di rivolgersi a Philip Stead per ricucire degli 'appunti grezzi', seppure autografi di Mark Twain, e ad Erin Stead per illustrarli.
Ed eccolo qui, il libro che tutti dovrebbero avere a scaffale. O sul comodino.


Messa da parte ogni soggezione, Philip Stead ricama o per meglio dire plasma una meravigliosa storia che, sostenuta con forza dall'ossatura degli appunti di Twain, prende una sua forma, corpo, originali che, meravigliosamente, hanno l'imprinting del progenitore.
Per assurdo si potrebbe credere che Stead abbia origliato per quelle magnifiche cinque serate parigine dedicate al piccolo Johnny e alla sua gallina.
Per questa ragione, neanche per un momento, non stentiamo a credere alla storia-cornice che Stead imbastisce e che lo vede dialogare con Twain in persona, sorseggiando un tè sulle rive del lago, in vista dell'Isola dei Castori.
E quando Twain, come accadde nella realtà, si alza e puf! svanisce, arriva una donnola a confermare ai coniugi Stead che le fiabe sono vere.
I meriti di Twain, chi sono io per elencarli? Ognuno lo faccia secondo coscienza, ma sui meriti degli Stead e di Giordano Aterini, (il felice traduttore) qualcosa si può forse dire.
Se si procede con ordine, il primo che salta agli occhi è il ritratto di Johnny fatto dalla Stead: un ragazzino che lei decide, in assoluta autonomia, sia afroamericano. Ottima idea. E più in generale, il disegno, dai ritratti alle silhouette: da mozzare il fiato, siano essi galline o regine.


Il secondo è la scelta della citazione di Twain sulle leggi del racconto.
Il terzo è la autopresentazione di Philip che ha la leggerezza del miglior Calvino.
Il quarto, la felice sintesi per spiegare il senso ultimo delle fiabe: la differenza tra il Qui e il Là (e siamo solo a pagina 12).
Il quinto è il tono burbero, misantropico, ironico della voce che Philip dà a Twain. Non potrebbe che essere tale, anche nella sua felice declinazione italiana di Aterini.
Il sesto è il ritmo pieno di respiro, lento, pacato, sfumato almeno quanto il disegno. Uno spazio narrativo in cui il racconto si snoda con naturalezza per giungere e fermarsi di fronte ad alcuni punti cardine, che anche solo per loro sarebbe valsa la pena di leggere il libro:

"Johnny prese un bel respiro per calmarsi. Poi aprì la bocca e trovò le parole che potrebbero salvare l'umanità da tutti i suoi guai, se solo l'umanità le pronunciasse di tanto in tanto, pensandole davvero. Disse: 

'Sono felice di essere qui.'"

"Johnny fece un bel respiro per calmarsi. Poi aprì la bocca e trovò le parole che potrebbero salvare l'umanità da tutta la sua violenza sciocca e incessante, se solo l'umanità le pronunciasse di tanto in tanto, pensandole davvero. Disse: 

'Sono contento di conoscervi.'"




Ecco, cose così.
 
Carla

ECCEZION FATTA!

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Qui di seguito una breve mappa ragionata per orientarsi nel panorama dei libri significativi che possono diventare biblioteca di base per coloro che desiderino costruirsi e costruire lettori

LA FABBRICA DEI LETTORI
Corso di formazione per insegnanti, bibliotecari, operatori 
nell'ambito del 



fascia di interesse 3-10 anni



I incontro
L'educazione alla lettura in 10 mosse


I MOSSA - SAPER SCEGLIERE

Milton Glaser, Drawing is Thinking, Nuages 2008
K. Smith, Come diventare un esploratore del mondo, Corraini 2011

II MOSSA - LEGGERE PRIMA ovvero STUDIARE


A.C. Hamelin, Ad occhi aperti, Donzelli 2012
R. Charlip, Fortunatamente, Orecchio acerbo 2010
W. Wondriska, Tutto da me, Corraini 2010
S. Lee, L'onda, Corraini 2008
M. Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi, Babalibri 2002
W. Erlbruch, La notte, Edizioni E/O 2006
W. Erlbruch, Il miracolo degli orsi, Edizioni E/O 2004
I. e E. Mari, La mela e la farfalla, Babalibri 2004
R. S. Berner, Sommerwimmelbuch, Gertstenberg 2005
F. Negrin, Dov'è la casa dell'aquila?, Orecchio acerbo 2017
M. Dubuc, Non sono tua madre, Orecchio acerbo 2017
J.-L. Fromental, J. Jolivet, Tenebrossa, Orecchio acerbo 2017
Ninamasina, Questa notte ha nevicato, Topipittori 2017
Bastiencontraire, Intrusi, Edizioni Clichy 2017

III MOSSA - TROVARE IL RITMO

M. Dubuc, Non sono tua madre, Orecchio acerbo 2017
F. Negrin, Dov'è la casa dell'aquila?, Orecchio acerbo 2017
W. Wondriska, Tutto da me, Corraini 2010

IV MOSSA - TROVARE LO SGUARDO


C. Van Allsburg, The Garden of Abdul Gasazi, Houghton&Mifflin Company 1979
A. Browne, Gorilla, Orecchio acerbo 2017
W. Erlbruch, La notte, Edizioni E/O 2006
R. Charlip, Fortunatamente, Orecchio acerbo 2010
D. Wiesner, Martedì, Orecchio acerbo 2016
M. Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi, Babalibri 2002
W. Erlbruch, Il miracolo degli orsi, Edizioni E/O 2004
Bastiencontraire, Intrusi, Edizioni Clichy 2017

[continua]




FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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UNA STATUA IN CAMMINO


E' normale che di un monumento fra i più conosciuti al mondo si dia per scontato più o meno tutto; ed è altrettanto normale scoprire che in realtà ne sappiamo ben poco.
Lo scrittore americano Dave Eggers, di cui è noto l'impegno sociale soprattutto nei confronti dei più giovani, ci racconta la storia della Statua della Libertà, il simbolo dell'America e di New York. Lo fa attraverso un albo illustrato, Il suo piede destro, in collaborazione con l'illustratore Shawn Harrise che ora la Mondadori pubblica per il mercato italiano.
Eggers ci ricorda come la Statua della Libertà sia il frutto di un'iniziativa francese, volta a celebrare il primo centenario degli Stati Uniti d'America. A immaginare questo fastoso omaggio sono Eduard de Laboulaye e l'ingegnere Frederic Auguste Bartholdi, che progetta e costruisce il colosso, montato in un primo momento a Parigi, per essere poi smontato nuovamente e spedito al di là dell'Atlantico. La statua fu rimontata nell'isola di Bedloe e all'epoca aveva un colore ben diverso, infatti il sottile strato di rame che riveste la statua non si era ancora ossidato.


Bene, se Eggers ci racconta tutto questo, un motivo c'è; ci fa notare un dettaglio che sfugge ai più, il piede destro del colosso è piegato, come se stesse camminando. Se la simbologia delle catene spezzate, che giacciono a terra, è nota e lo è quella del curioso copricapo della statua, cosa vuol dire quel passo appena accennato, dove sta andando questa statua gigantesca?
Qui si svela il mistero: la statua si sta incamminando per accogliere tutti i migranti che lì approdano, e lo fanno da secoli: italiani, irlandesi, spagnoli, greci, e poi africani, orientali, siriani. Questa è la tradizione che l'autore rivendica con orgoglio, richiamando le parole della poesia incisa sul basamento della statua, scritta da Emma Lazarus: datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse stipate che anelano a respirare libere, gli sventurati rifiuti che affollano i vostri lidi. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, io sollevo la mia luce accanto alla porta dorata.

 
Il richiamo a questo nobile intento non è casuale: è un richiamo, un appello a tutti gli americani, ma anche a tutti noi, a non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. L'accoglienza di chi viene da lontano, con il proprio bagaglio di guerre e povertà sulle spalle, è un argomento oggi impopolare, circondato da un'abbondante dose di propaganda.
Ricordare e ridare un senso alla solidarietà come valore fondante di una comunità è oggi un gesto necessario, soprattutto perché rivolto ai più giovani, maggiormente esposti alle superficiali e pericolose considerazioni che si sentono nell'aria.
Ma non è solo questo il merito di questo albo decisamente originale: lo stile ironico di Eggers attraversa il testo togliendogli qualsiasi accenno didascalico; l'autore è lì a raccontare una storia vera, a ricordarla anche nei suoi aspetti buffi o stravaganti per riportare il giovane lettore o lettrice al nodo essenziale, quello che magari si scorda, tanto si è abituati al consumo di un'icona pop. Quella statua non sta lì per caso, è all'ingresso del porto di New York a salutare ed accogliere chi arriva, nel nome della libertà.


Messaggio semplice e chiaro, che arriva dritto al punto, togliendo ad un argomento discusso malamente dai media ogni accenno di retorica.
Lettura originale e stimolante, adatta a lettrici e lettori a partire dagli otto anni.

Eleonora

“Il suo piede destro”, D. Eggers con S. Harris, Mondadori 2018



LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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AL TEMPO

Nicola Gardini, Il tempo è mezza mela. Poesie per capire il mondo
Salani 2018


POESIA

Ali

Il tempo qualche volta è un colibrì
Agita le ali avanti e indietro in fretta
Ma resta fermo come uno che aspetta
Poi all'improvviso è già saltato lì.



Il tempo è tante cose: è una vela che sparisce al largo, è una bolla di polenta che cresce sulla fiamma; il tempo è anche spazio, ovvero il numero di miglia che tiene lontane le persone. E come per incanto il tempo è anche questo stesso elenco, questo discorso che nasce dalla scelta lenta e attenta dei suoni giusti e li fa diventare poesia.
In un felice contrappunto il tempo è una, come i chicchi più o meno cotti in un unico risotto, ma è anche tutti -umani sassi bestie fiori frutti che si fanno compagnia.
Il tempo rassomiglia al vento che, passando sulle rose, le spettina e le scrolla, si porta via il profumo, le foglie ma qualcosa a suo ricordo, della rosa intendo, resta sempre perché "mai nulla muore".
Ma a declinare il tempo si può proseguire: c'è il tempo che stagna, c'è il tempo esatto, ci sono i mille nomi che esso può prendere (da anno a mese, da giorno a secolo) anche se a ben vedere è fatto solo di istanti e a parlar di tempo arriva come sempre il grande irrisolvibile enigma che neanche a Nicola Gardini è dato di sciogliere: che cos'è l'adesso, ovvero la più piccola frazione del tempo che noi conosciamo?

Così scrive:
La pioggia cade e intanto è già caduta
È presente e passata nello stesso
Momento
                    Così il tempo
                                             Accade adesso
Ed è pure la vita già vissuta


E il mistero resta un mistero. Ma va bene così.
Una quarantina, in realtà trentanove -come a voler sottolineare l'imprevedibilità che l'argomento porta con sé- riflessioni in versi sul senso del tempo, uno dei perni intorno a cui ruota l'umanità da che mondo è mondo. E non a caso il sottotitolo scritto nella polpa della mezza mela titolante recita testualmente: poesie per capire il mondo.
Ora si sa che la poesia, quella bella che attraversa la superficie delle nostre teste e muove le nostre sfere interne, è raro che finisca in un libro per i bambini (e non a caso la Salani si premunisce e correda il libro dell'immancabile fascetta gialla in cui una frase ambigua ci avverte che il libro è per tutti).
Dunque quando succede sarebbe giusto gioirne e darne notizia. Invece si ripete il consueto silenzio su un altro buon libro di poesia. Questo spaventa sempre un po' chi sta scrivendo e, da una rapida e superficiale indagine, si stabilisce che solo i più invasivi diffusori di novità editoriali (da Amazon a scendere fino ad arrivare al Sole 24 ore, e quest'ultimo mosso da un evidente opportunità di gioco di squadra) reagiscono al piccolo libro rosso di Nicola Gardini, il professore/poeta/pittore.E molto altro ancora.
Che dire? Peccato, perché il libro meriterebbe ben altra attenzione da parte di chi ha a cuore la buona letteratura. 


Il suo, quello di Gardini, è un modo mai scontato, al contrario acuto e pieno di nessi intelligenti, rigorosamente in rima; un criterio utile per poter ragionare del camminatore eterno che lascia orme piccole e grandi dietro di sé.
È sempre interessante l'angolo di visuale che, pagina dopo pagina, è in grado di cambiare, passando da un omaggio a quel gigante che è Proust, che sul tempo e sulla memoria ha intrecciato così tante riflessioni, a minuscoli dettagli come le gocce di pioggia che si rinnovano sui vetri. 


Le sue poesie in più di un'occasione sono attraversate da sottile ironia, come per esempio in Casadove si racconta ciò che il tempo può fare in un luogo abbandonato a lungo; oppure si rivelano vera gioia saltellante per l'orecchio: Ohche ha il ritmo sincopato da tutti quei monosillabi piazzati in fondo al verso, con la dovuta eccezione a fine corsa.
Sulla porosità della carta un po' ingiallita, già vista in Salani, si alternano alle poesie alcuni leggeri disegni dell'autore, per loro è di rigore l'abito scuro.


Bello.

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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TANIGUCHI O DELLA NOSTALGIA


Non sono un'esperta di fumetti e meno che mai di manga, ma ho sempre avuto un'attenzione speciale per Jiro Taniguchi, il mangaka giapponese scomparso l'anno scorso. Per questo non posso non segnalare anche alla platea di giovani lettrici e lettori un testo uscito alla fine del 2017.
Si tratta, è vero, di un libro d'occasione, un travel book per la collana della Louis Vuitton, dedicato a Venezia, ma nelle mani del maestro giapponese diventa qualcosa di diverso.
Non è solo una descrizione sentimentale, intima della città lagunare, con scorci e vedute inconsuete, ma anche una storia, come l'ha immaginata l'autore, suggestiva ed intensa.



Taniguchi si immagina immerso nella ricerca del nonno pittore, che all'inizio del secolo ha trascorso alcuni anni a Venezia. Il percorso del giovane protagonista fra calli e campielli è anche un percorso della memoria, una tardiva riscoperta dell'arte di un nonno mai incontrato.
Una trama del genere non può che enfatizzare il senso di malinconia, di nostalgia che le atmosfere veneziane inducono. La maestria di Taniguchi non ci restituisce solo le atmosfere lagunari, non ci propone solo scorci suggestivi, che rappresentano anche i contrasti di quella città; è un ritratto sentimentale di un luogo che resta nel cuore di chiunque la visiti con gli occhi aperti. Dal Caffè Florian alla Giudecca, da Rialto al Faro di Campo San Giorgio, Venezia ci viene proposta come una città misteriosa, che va compresa visitandola con pazienza, scrutando i dettagli, le iscrizioni, i meandri, non fermandosi mai alla superficie dei percorsi turistici.


Ha senso proporre questo tipo di libro ai ragazzi? Rispondo con un si deciso, che ha diverse sfaccettature: intanto una tipologia di libro di grandissimo fascino, i carnet di viaggio, in cui appunti e schizzi si alternano, e qui non parliamo di schizzi, ma di bellissimi acquarelli; la stessa descrizione di Venezia che la propone come una città tutt'altro che chiusa e impenetrabile, ma come una città tuttora, e nonostante tutto, affascinante. E il manga, fumetto giapponese, che qui, come in altre opere di Taniguchi, acquista una valenza universale, capace di parlare a tutti e tutte, al di là del cerchio più ristretto degli appassionati cultori del genere. 

 
Un ultimo punto: il racconto in quanto tale descrive uno stato d'animo che ci coinvolge direttamente, una città, un luogo che diventa il teatro ideale della ricerca della propria storia, quel senso di struggimento, molto vicino alla poesia, che in Venezia trova uno sfondo ideale. Come si capisce bene, amo molto questa città e non posso che riconoscermi in questo ritratto, che ignora volutamente le masse di turisti sciamanti intorno a San Marco, ma non ignora lo scempio del passaggio delle navi da crociera. Mi piacerebbe che i più giovani vedessero così una città imprescindibile della nostra cultura attraverso gli occhi di un maestro che non dobbiamo dimenticare.


Eleonora

“Venezia”, J. Taniguchi, Rizzoli Lizard 2017



LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Carissima Formica…
È tantissimo che non prendo carta e penna per scriverti.
Di solito mi capita di farlo quando non riesco a venire a capo di qualcosa e il ragionare mi tiene sveglio fino a notte fonda.
Anche questa volta è così.
Si tratta di un incontro che ho fatto a una festa di compleanno.
Era seduta in un angolo e guardava sconsolata gli altri ballare, e sul suo volto c’era un’ombra: era una mamma triste. Ovviamente non avevo capito subito che era una mamma. All’inizio mi sembrava soltanto una lucertola piuttosto carina e parecchio malinconica. Ma poi quando mi sono avvicinato e abbiamo cominciato a parlare mi ha raccontato…aveva lasciato a casa i suoi piccoli e si sentiva una pessima madre. Per egoismo, solo per egoismo, così diceva, aveva creduto di poterli abbandonare per una sera, e ora si macerava nel senso di colpa al pensiero di non essere lei a leggergli la storia della buona notte. Inoltre, continuava con aria veramente angosciata, il giorno dopo non sarebbe riuscita ad andarli a prendere a scuola, e si era addirittura dimenticata di mettergli la merenda nello zainetto per l’indomani.
Era davvero una scellerata, si ripeteva la poverina, scrollando la testa. E ti posso assicurare, cara Formica, che erano autentiche e pesantissime le lacrime che le uscivano dagli occhi…Non ho mai visto una lucertola piangere tanto! Ho anche provato a consolarla, che sarebbero stati bene anche in sua assenza, ma non c’era verso: sembrava che la sua presenza al loro fianco fosse la cosa più importante al mondo, e anche la più gravosa. Quando poi si è alzata per andarsene, pareva diretta al patibolo, più che tornare dai suoi piccoli per cui si sentiva tanto in colpa.
Ti confesso, cara Formica: la cosa mi ha molto turbato! Fino a oggi ero convinto che essere madri fosse la cosa più bella del mondo! Sai come in quel libro di Anthony Browne…La mia mamma, si intitola…


Beh, lì c’è una mamma florida e sempre contenta.1Una super cuoca, una giocoliera, una che non rinuncia a truccarsi e che porta da sola un sacco di buste della spesa. E’ forte e dolce senza perdere mai l'equilibrio tra forza e dolcezza. Poteva ballare come Pina Bausch, oppure con la stessa facilità fare l’astronauta, l’attrice e anche il capo di un’azienda, però ha scelto di fare la mamma. Ecco cosa pensavo!


Ma alla luce di quello che è successo alla festa, non posso pensarlo più… Dove stanno, nelle immagini di quel libro, le amarezze, la fatica, la frustrazione, i dubbi, e tutti quei chiaroscuri che avevo potuto scorgere tra le squame di mamma lucertola? Dov’è finito nelle figure di Browne quel senso di oppressione che leincurvava le spalle? Dove sono le ombre? Non certo in quel libro! Sono furibondo, perché ho cominciato a intuire che il mestiere di mamma non è sempre così splendente e luminoso come quelle illustrazioni che spianano ogni ruga, annullando ogni profondità.
Quando mi sono calmato ho pensato che forse il libro racconta la mamma vista con gli occhi di un bambino.
Però, cara Formica, è davvero così brillante la mamma che un bambino vede ogni giorno? E soprattutto…davvero un bambino non si accorge delle ombre? Davvero il suo bisogno di perfezione deforma a tal punto la sua visione materna da non permettergli di accorgersi di quello che accade veramente?
Sai, cara Formica, cosa penso? Forse questa donna forte e luminosa e piatta non è nemmeno la mamma così come la può immaginare un bambino, ma quella mamma come vorremmo tutti che fosse, una idealizzazione, perché forse raccontarsi la vera storia è un po’ più complicato…
Tu cosa ne pensi?

Scoiattolo

P.S. Sai…Forse il mio stupore deriva dal fatto che nel bosco ci sono bambini che crescono sottoterra senza bisogno di nessuna cura, anzi…sono loro che provvedono al succedersi delle stagioni, proprio come fossero piccole radici…




Ah, caro te! Tocchi un tasto talvolta dolente: le mamme, mammone.
Ci credo che tu ti sia stupito, Scoiattolo caro. Tu sei animale del freddo Nord, e non hai questi problemi, ma Lucertola è animale che viene dal caldo e quindi, come accade spesso qui da noi al Sud, fa parte della nutrita schiera di mamme un po' troppo 'vischiose'. Non sono moleste, ma spesso ingombranti ed eccessivamente accudenti: dal mio formicaio le vedo caricarsi lo zaino del loro bambino sul percorso di scuola, le sento questionare con le maestre in difese incondizionate dei loro bambini, le guardo mentre tentano di proteggere il cucciolo da tutto ciò che può scalfirlo. Via le paure, vie la fatiche, via i dolori, via le delusioni, via le sconfitte, via tutti i no...via via via: tutto il tempo a 'roteare le braccia' a parare i colpi e a fare piazza pulita intorno all'infante il quale, intanto, cresce molliccio.
Mi è capitato un giorno di aprile, era un giovedì, di leggere un libro perfetto per le mamme mammone. Perché, chiederai tu? Perché parla di loro offrendogli una via di uscita. 

Mamma Medusa2sta per partorire: avvolta nei suoi più che fluenti capelli biondi, è lì che si impegna per dare alla luce la sua creatura, Irisee. Fin dal primo minuto, Medusa la avvolge nel caldo nido di capelli che le tiene assieme e le nasconde nella loro intimità agli occhi del mondo. Neanche alla levatrice è concesso di cullare la piccolina. La perla della mamma vive occulta e protetta nel 'suo guscio privato'. "Tu sei la mia perla e io sarò la tua madreperla" continua a ripetere Medusa e poi le legge fiabe, le insegna alfabeti, le costruisce cavalli. La piccola Irisee, tuttavia, ha occhi solo per i bambini che vede giocare dalla finestra. Le piacerebbe andare a scuola ed essere con loro e come loro.
 

Mamma Medusa, con i suoi capelli tentacolo che vanno in ogni direzione, lentamente palesa al mondo il suo volto e, per amore, manda quella bambina in mezzo agli altri piccoli del villaggio, a scuola. 'Non mi seguire, per favore!' la implora Irisee: di te avrebbero paura...
La grande prova per quella mamma mammona è dietro l'angolo. All'uscita di scuola chi ci sarà a prendere Irisee? Il covone biondo dei tentacoli di Medusa non esiste più; è stato sanamente tagliato per dare spazio e aria a qualcosa di assolutamente nuovo: una donna felice perché libera, qui e ora, di essere anche mamma.
Kitty Crowther intorno alla questione ci ronza parecchio, sai? Come se fosse un tema importante per lei. E forse davvero lo è. Anche inquell'altro magnifico suo libro El niño raíz3(l'ho comprato in un porto spagnolo durante la mia penultima crociera) c'è una mamma, mammona, la quale, un po' goffa nella sua nuova e inaspettata maternità, impone al bimbo radice vestitini e cameretta. La volpe, che la sa lunga, di lei nota l'essenza temibile...


Attenti, non è un mestiere facile fare la mamma, sembra sussurrare la Kitty ai suoi piccoli lettori. E chi vuol capire capisca e chi vuole interrogarsi si interroghi...
Io, nel frattempo, che ormai a stento ricordo l'esperienza di una piccolina da crescere, me ne andrei a dormire se non ti dispiace.
Prima di accomiatarmi, un'ultima curiosità: tu, Scoiattolo, sei mai stato mamma?
Te lo chiedo perché ho come la sensazione di aver già sentito qualcosa al riguardo...insomma, mi pare di ricordare che a voi capiti.
Vabbè, mi starò certamente sbagliando e per farmi perdonare domani, potrei anche decidere di raccontarti che strada prende la 'mamma per caso' del bambino radice.
Domani.
'notte, mamma?

Sempre tua, Formica.

Ps. lo vedi, come mi insegni tu, alla radice si deve per forza tornare.
[continua]


1Anthony Browne, Il mio papà/La mia mamma, Donzelli 2013
2Kitty Crowther, Medusenkind, Aladin Verlag 2016
3Kitty Crowther, El niño raíz, Lóguez 2015

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Ogni promessa è debito, da noi imenotteri.
Quindi sono già qui di prima mattina, dopo aver rassettato la mia porzione di formicaio, a raccontarti, caro Scoiattolo, come va a finire con Leslie, la mamma per caso.
La notte che trova il piccolo, piangente e disperato perché ha perduto le tracce dell'intera sua famiglia Radice, lei ha in progetto di andare a caccia: era appena uscita di casa con il fucile e un cappellaccio scuro calato sugli occhi. Ti dico questo perché a chi la vede così bardata certo non viene in mente che di lì a poco quella stessa donna diventerà una mamma fin troppo premurosa.
E invece, forse complice un pizzico di magia che c'è sempre negli incontri importanti, Leslie nel giro di poco cambia: prende colore, recupera il sorriso, riguadagna la luce del giorno. In una parola, Leslie si illumina e diventa più bella.


Tuttavia la convivenza tra loro non è rose e fiori. E proprio sui fiori litigano: lei li coglie e lui si arrabbia 'non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella' diceva Galileo. Si vogliono bene, ma entrambi capiscono che occorre un po' di distanza fra loro per poter essere felicemente se stessi. Prima di separarsi si abbracciano forte. Il piccolo ritorna in famiglia e Leslie lascia casa e bosco e va in cerca dei suoi.
Nessuno, neanche il marito di Leslie o i suoi figli, potranno però mai impedirle di tornare ogni anno all'appuntamento nel bosco per riabbracciare Radice.
Sai che cosa continuo a pensare amico caro, che il mestiere di mamma è una roba tosta. Come in tutti gli incontri, bisogna trovare il giusto incastro. Ed è un fatto che richiede un gran lavoro su di sé: guardarsi dentro, guardare là fuori, smussare qui, avvolgere lì, premere di giù, tirarsi di lato...insomma cose così.
Tirarsi di lato? Ecco! TIRARSI DI LATO, farsi da parte!! Ora ricordo tutto: quando ieri notte ti chiedevo se eri mai stato madre era perché qualcosa sul tema Madre/Scoiattolo mi ronzava nella memoria. Era una storia che girava tempo addietro, il complicato caso del povero Otto. 1
Lo scoiattolo Otto, lui sì che si è tirato di lato, quando la sua casa si è letteralmente riempita di un coso peloso che ostinatamente lo chiama mamma.
A dir il vero fin dal principio Otto, avendo trovato davanti all'uscio di casa una palla verde e spinosa di ignota provenienza, cerca di tirare dritto e di ignorarla. Ma giustamente. Poi però, quando la palla si apre e ne sguscia un robino peloso, Otto per buona creanza smette di far finta di niente e lo tira dentro per la notte. 


Il fatto che il coso lo chiami con costanza mamma, non lo scuote di un baffo: perché Otto è intimamente convinto di non esserlo.
Per educazione e gentilezza (con una punta di opportunismo) Otto si mette allora in cerca della madre naturale del coso, che con ogni probabilità sarà altrettanto grossa e pelosa e, comprensibilmente, anche sottosopra per la sparizione del piccolo (rimane un mistero chi abbia messo quella palla verde sul ramo di Otto).
E sai che succede a quel coso, per di più in assenza di madri vere o surrogate che siano? “Beh, se non se ne è sentito parlare lì da voi nel bosco, sappi che qualcuno si è premurato di scriverne e disegnarne la storia.
Leggila e stupisci!
Ne riparliamo vero? Sono certa certissima che avrai cose da dire in merito, se non altro per difendere lo status di scoiattolo.
Se tu permetti, andrei a prepararmi una zuppa calda, perché io, al contrario di altri, non ho nessuno che me la prepari...

Formica felicemente sola soletta




Carissima formica…
E mi chiedi se conosco quello scoiattolo…ma certo! Otto è un lontano cugino…
Non sapevo che la sua storia circolasse anche al di là del bosco… Non lo vedevo da un po’ e mi stavo giusto chiedendo dove fosse finito, quando sento un bussare agitato alla porta: era lui, tutto trafelato! Mi racconta che un pallottino spinoso si era schiuso davanti alla sua tana, rivelando un batuffolo bianco e peloso bisognoso di cure, per cui lui si era subito messo alla ricerca della madre. Poi, visto che non lo potevo aiutare, è sgattaiolato via così come era arrivato. Lo vedevo in giro, sempre alla ricerca, e mi ero proprio stupito suo prodigarsi per una bestiolina di cui non aveva la minima intenzione di prendersi cura. La creatura era ogni giorno più grande, ogni giorno più capace di provvedere a sé, addirittura capace di cucinare ottime zuppe, come se nell’assenza e nella distanza avesse trovato un ingrediente segreto per crescere. Poi è andata a finire come sai, e non mi stupisce, ora che ci rifletto un po’ su, che la cosa abbia varcato i confini della foresta.
Sai, non credo sia un caso che proprio Otto sia stato capace di mettersi di lato. Era talmente grosso quel cucciolo che era impossibile non vederlo!
Formica hai ragione! E’ proprio questa la trappola che faceva soffrire mamma Lucertola e a cui le protagoniste delle belle storie che mi hai raccontato sono riuscite a sfuggire per un pelo! La mancanza di distanza! In effetti, all’inizio mamma e bambino hanno una relazione talmente stretta, e piacevole e calda… come fossero due semi in un unico guscio! Due semi di alberi diversi però!
Sai che ti dico? Dovrebbero tutte prendere esempio da Petronilla!2
Come fa Petronilla, che ha centoventi bambini, ma dopo averli accuditi tutti (e guarda che moltitudine sono!) varca la soglia di casa, e va nel bosco per certe sue faccende. 


Il pensiero dei suoi bambini non l’abbandona mai, eppure non le impedisce di camminare verso l’ignoto. E così viene catturata da tre strani signori, scappa a cavallo di un paiolo, gioca a carte con tre dolmen annoiati, incontra il pulcino Biagio, attraversa una foresta-biblioteca, trova un suo piccolo in una madeleine, va a salvare tutti gli altri suoi bambini che il malvagio Tartarin vuole mangiare dopo averli ricoperti di cioccolata…
La riconosci, questa nota rocambolesca ed esagerata? Si, è Ponti, un autore che fa perdere i suoi personaggi in lunghe e intricate avventure, da cui riescono a tornare, trovando strade personalissime. E’ camminando baldanzosa pagina dopo pagina attraverso una lussureggiante e sorprendente realtà che Petronilla trova infine il bandolo della sua matassa. Essere madre è una delle sue avventure, che coinvolge i suoi centoventi bambini, ma che può svolgersi anche ben lontano da loro.


Un’altra mamma che doveva avere chiarissima la distinzione tra sé e il suo 'piccolo' e che da questa distinzione trova giovamento è la Signora Meier3… 


Lei è sempre preoccupata, e per ogni suo fosco pensiero Wolf Erlbruch spende una macchia di inchiostro. Un bel giorno, la Signora Meier trova un minuscolo merlo implume e senza pensarci decide di crescerlo come si deve: gli procura un nido, lo nutre con ogni sorta di insetto, gli dà un nome. 


E mentre il merlo cresce, le macchie nere scompaiono, e la Signora Meier diventa protagonista di una stupefacente metamorfosi…
So che vuoi sapere quale, cara amica, ma non te lo dico! Ti faccio lo scherzo che a volte mi fai tu…
Ti do un piccolo indizio, però, dicendoti che a volte per insegnare ai propri piccoli cose fondamentali, certe mamme riuscirebbero anche a volare…

Scoiattolo

P.S. C’era stato anche un falegname, una volta, che si era costruito un bambino pezzo pezzo per non stare più da solo. Lui però, con pragmatismo da artigiano non ha preso una radice, o un seme, ma un pezzo di legno stagionato…

[continua]











1Marianne Dubuc, Non sono tua madre, Orecchio acerbo 2017
2Claude Ponti, Pétronille et ses 120 petits, L'école des loisirs 1990
3Wolf Erlbruch, La signora Meier e il merlo, Edizioni E/O 2003

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