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LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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I FIGLI DELLE STELLE...

IL PUZZLE INFINITO, Diego Bianki (trad. Elena Rolla)


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Tu mi guardi.Io ti guardo.
Tu mi parli.Io ti ascolto.
Tu sorridi.Io sorrido.
Tu sei fedele.Io sono fedele.
Tu diventi rossa.Pure io.
Tu mi indichi.Io ti indico.
Nano nano..."


Il dialogo a specchio che fino a ora ha messo in contatto le figure della pagine di sinistra con quelle di destra fa una brusca sterzata. Quel nano nano genera crisi, genera distanza. Quel nano nano insinua il dubbio che quella evidente diversità con la verde creatura generi lontananza, distacco. 


E l'essere così differenti sia la prova di una incomunicabilità non valicabile. Ma a guardare meglio, e da più vicino, come se fossimo sotto la lente di un enorme microscopio, gli atomi che ci compongono sono tutti figli di medesimi genitori: le stelle. La comune incubatrice dentro ci siamo sviluppati è la fusione nucleare di astri ormai scomparsi. Siamo tutti fatti di polvere di stelle (e in tempi non sospetti qualcuno disse che siamo tutti fatti della stessa materia dei sogni...). E come tali, nelle nostre diverse declinazioni, siamo parte di qualcosa di molto più grande che ci contiene: il mondo. E il filo che ci tiene tutti connessi è proprio l'essere tutti diversi.


La retorica è in agguato, ma Diego Bianki, alias Pequeño Editor, sguscia e non si fa acchiappare. Fuori da ogni logica didascalica e con un lessico piuttosto originale, mette sulla pagina mosche, iene, pappagalli, cani, ragazze, scheletri, alieni verdi, creandoli attraverso l'assemblaggio di scatoline di riciclo, grossomodo uguali e dipinte di colori differenti. E con questo ci dimostra una incontrovertibile verità.
Senza dir niente, la connessione che si crea immediata tra la scatolina, componente base di ogni figura rappresentata, e l'atomo figlio delle stelle, elemento costitutivo di ogni vivente, è lì per essere colta su ogni pagina.
Diego Bianki però si concede un passetto ulteriore: se siamo davvero tutti composti da singoli elementi, perché non provare, almeno sulla pagina, a ricomporre in modo 'alternativo' le figure originarie, mettendo occhi di ragazza su musi di cane e musi di cani come bocche di ragazza?


Non se ne fa cenno a parole, eppure è a disposizione di ogni mente ragionante che sfogli questo libro.
Mischiarci un po' di più ci farebbe un gran bene...
E ancora un passetto: alludere alla polvere di stelle che ci compone, non è solo un dato di fatto, a me pare sia anche un voler cogliere la poesia che spesso si nasconde nella scienza!
Poesia e scienza, entrambe invincibili, e metterle insieme fa di Puzzle infinito, titolo che pare contenerle entrambe, un libro intelligente oltre che bellissimo in senso più strettamente estetico.
Studiato in ogni dettaglio, accurato e molto efficace negli accostamenti cromatici, come nella scelta dei fondi, il libro che l'anno passato ha preso una menzione nel Braw, si apre fin dai risguardi con un campionario di personaggini colorati che popola e contrappunta le pagine a figura intera, ma fa anche di più: diventa lettering originale della doppia paginona centrale che si apre, ingigantendosi, per la gioia degli occhi. 
 

Nelle pagine che precedono, la composizione è il frutto di una giustapposizione di scatoline colorate ad hoc a formare l'uomo con il cappello, presenza costante, e i suoi interlocutori ogni volta diversi: la mosca con gli occhi composti, la iena nel suo rictus che l'ha resa famosa, il pappagallo in giacca e cravatta per alludere al suo lato 'umano'. Senza mai smettere di giocare con il lettore, Bianki sfrutta la forma della scatola in tutte le sue potenzialità.

L'aspetto di ripetibilità,cui sono dedicate le pagine finali, è quello che mi entusiasma meno, ma so che manderà in visibilio insegnanti e operatori sempre in cerca di idee creative per solleticare la fantasia dei bambini e delle bambine. Confesso però che la mia perversione per i contenitori in genere, mi ha costretto a soffermarmi sulla pagina delle scatole prima di essere dipinte e scoprire che Tres Patitos è una marca di fiammiferi, con cui accendersi le Marlboro pudicamente un po' nascoste, che le gocce del Dr. Selby sturano il naso congestionato e l'Hisradin tiene sotto controllo l'allergia e che l'infuso di boldo ha proprietà digestive...potrei continuare.

Carla


FAMMI UNA DOMANDA!

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PAGINE AFFOLLATE DI ANIMALI SELVATICI


Il titolo del nuovo libro di Yuval Zommer, Il libro degli animali selvatici, pubblicato da Electa kids, è leggermente fuorviante, poiché l'oggetto vero di questo libro sono i mammiferi selvatici.
Come nei precedenti suoi libri, in Italia è stato tradotto Il Libro degli insetti, l'autore inglese, coadiuvato dalla consulenza scientifica di Barbara Taylor, si rivolge in modo particolare a un pubblico di lettrici e lettori intorno ai sei, sette anni. Anche quando accenna alla classificazione, lo fa con grande semplicità, senza appesantire mai il testo con eccessivi approfondimenti.


Dunque, una volta presentati i mammiferi in generale, Zommer ne illustra le caratteristiche: come si difendono, come comunicano e così via. Seguono poi diversi capitoli dedicati, ciascuno, a un diverso animale: volpi, tigri, leoni, iene, ma anche pipistrelli, istrici, tassi e tanti altri; nella doppia pagina dedicata a ciascuno di essi sono descritte alcune caratteristiche salienti, mentre a lato della pagina a sinistra si ricorda dove vive quel determinato animale. I capitoli finali sono dedicati ai mammiferi estinti e a quelli a rischio d'estinzione, nonché a quei simpatici clandestini che ogni tanto si affacciano, o si stabiliscono, nelle città.
Se tutto questo non bastasse, all'inizio del libro viene indicata un'impronta da ricercare nelle tavole successive, indovinello opportunamente svelato alla fine.


Come ne Il libro degli insetti, anche qui c'è un'assoluta predominanza dell'immagine, che spiega con chiarezza, anche prima di aver letto il breve testo, quale caratteristica dell'animale viene posta in evidenza. Le illustrazioni sono improntate a un accenno ironico che sottolinea l'aspetto giocoso della lettura. E, ovviamente, descrivendo animali e ambienti così vari, variano anche le tonalità che contraddistinguono i diversi habitat.
Sicuramente divertente e stimolante, dai colori vivaci, rappresenta bene quel tipo di libro che unisce informazione e intrattenimento, inserendo il gioco direttamente nel corpo del libro, rendendolo fruibile anche a bambini e bambine con scarsa dimestichezza con la parola scritta.

Peccato alcune inesattezze, che non so se provengano dal testo originale, certo non così gravi da inficiare la validità di questo testo; forse una più attenta revisione avrebbe potuto facilmente evitarle.
Credo che la maggioranza dei lettori, intenti a cercare l'impronta sospetta, non se ne accorgerà nemmeno.

Eleonora

“Il libro degli animali selvatici”, Y. Zommer, Electa kids 2017




LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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A GUARDARE IL MONDO...

Little Miss Florida, Kate Di Camillo (trad. Laura Bortoluzzi)
Il Castoro, 2017


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Il sole era parecchio alto nel cielo, pareva una scena stile mezzogiorno di fuoco. Ma quello non era un film western:erano le lezioni di twirling a casa di Ida Nee, nel cortile di Ida Nee.
Era l'estate del 1975.
Era il cinque giugno.
E due giorni prima, il tre giugno, il padre di Raymie Clarke era scappato con una donna che faceva l'igienista dentale."

Ritrovarsi da un giorno all'altro senza padre provoca a quella ragazzina, pensandoci, un piccolo e acuto dolore che le trafigge il cuore. Ma Raymie ha un piano in tasca: diventare Miss Florida, ovvero finire sulle prime pagine dei quotidiani ed essere, in tal modo, vista dal padre mentre sfoglia il giornale, facendo colazione in un ristorante chissadove. Lui vedrà che la sua bambina è diventata famosa e mollerà su due piedi l'igienista e tornerà a casa ad abbracciarla. Facile.
Prendere lezioni di twirling è fondamentale per Raymie se vuole vincere il premio. Accanto a lei, a lezione, ci sono altre due ragazzine che, per motivi diversi, hanno anche loro un bel problema da risolvere. Louisiana Elefante, figlia di acrobati adesso orfana, vive con sua nonna e ambisce al premio di Miss Florida per avere due soldi che le garantiscano il pranzo con la cena. La terza, Beverly Tapinski, figlia di un poliziotto a New York e di una reginetta di bellezza campionessa di twirling piuttosto manesca, ha come obiettivo quello di sabotare il suddetto concorso.
Diverse per indole e per fisionomia, le tre, inevitabilmente, finiscono per far squadra e darsi il nome di Rancheros per combattere e superare le molte, troppe, avversità che la vita gli pone davanti.
Una vera e propria rocambolesca e esilarante corsa a ostacoli con gatti scomparsi, madri depresse, padri lontani, vecchiette urlanti, segretarie premurose e su tutti un personaggio letterario da imitare, cercando a tutti i costi la buona azione da compiere.

Parte come un razzo Di Camillo: nelle prime tre o quattro pagine il lettore è così tanto in media re che fatica a orientarsi: una cittadina della Florida, un cortile di una casa sulle rive del lago Clara, tre bambinette di 10 anni, di cui una appena svenuta, una seconda piuttosto scontrosa, e una terza con l'anima in fase di rimpicciolimento, sono a lezione di twirling da una strana signora piuttosto anaffettiva che indossa stivali bianchi con il tacco. Un vero volteggio, twirl, di parole e situazioni. Superato il primo impatto di straniamento, tutto lentamente e inesorabilmente converge verso un nodo centrale: la nascente amicizia, fatta soprattutto di mutuo soccorso, di tre bambine un po' provate dalla vita che le sta facendo volteggiare, twirling, un po' troppo.
La provincia americana, raccontata superbamente da una delle penne più felici e più premiate del panorama statunitense, è lo sfondo di questa storia intrecciata di tre bambine che, a modo loro, cercano di trovare una loro personale e meritata felicità.
Lo stile di Kate Di Camillo si riconosce per la sua fluidità, la schiettezza, l'ironia e un'ineguagliata leggerezza e grazia. La sua poetica si riconosce ancora una volta nella sua determinata volontà di affrontare temi spinosi, quali la frequente inadeguatezza e la negligenza del mondo degli adulti. Nel contempo e per contrasto, Di Camillo sa raccontare con passione e affetto sincero la inesauribile energia dei più piccoli, sempre molto impegnati e infaticabili nel raggiungimento di una certa qual felicità. Sempre meravigliosi sono i suoi ritratti dei personaggi, qui in Little Miss Florida, le tre facce di una infanzia al femminile, quella surreale e poetica di Louisiana, quella tosta e risoluta di Beverly e quella ansiosa ma coraggiosa della piccola Raymie, che più di tutti, giorno dopo giorno, acquisisce consapevolezza di sé. Lei, con la sua anima che si espande e si ritira a seconda della situazione, lei che ha imparato a flettere le dita dei piedi e a identificare i propri obiettivi,  è un faro nella nebbia. Anche per noi grandi che, finito il libro, ci troviamo gli occhi umidi.

Carla

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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IL CROCEVIA DEL DIAVOLO


Questa sì, che è una storia piena di mistero: la nascita del blues, una delle più importanti correnti musicali afroamericane, nel sud degli Stati Uniti, dove migliaia di schiavi lavoravano nelle piantagioni di cotone.
Questa storia viene raccontata da Reno Brandoni, valente musicista, in Il Re del blues, pubblicato da Curci young. Qui si narra come il giovane Robert Johnson fosse particolarmente invidioso di un vecchio suonatore di blues, Big Blind, cieco e molto grasso. Il blues era, ed è, una forma di musica vocale e strumentale, con delle caratteristiche tecniche particolari, le cui origini risalgono alle musiche degli schiavi africani. E' l'espressione di uno stato d'animo malinconico, cui fa riferimento anche il nome.


Bene, il nostro Robert, non particolarmente abile nel suonare la chitarra, per conquistare il cuore di una ragazza, si azzarda ad affermare che per lei creerà la canzone blues più bella di tutte quelle composte fino a quel momento. Corre da Big Blind in cerca di aiuto, ma ovviamente il musicista gli oppone un rifiuto: non si può diventare dei bravi chitarristi in quattro e quattr'otto. Ma il giovane e ambizioso Robert sa che c'è un famoso crocevia dove è possibile incontrare chi, in cambio di qualcosa di molto prezioso, può risolvere tutti i problemi. E così, in una notte tenebrosa, si reca a quell'incrocio e incontra l'inquietante personaggio, in cambio dell'anima, gli concede di scrivere ventinove canzoni, le più belle sentite fino a quel momento, e non una di più. 


E così accade; ma Robert si è dimenticato della sua ragazza e quando la incontra nuovamente non resiste alla tentazione di scrivere, in suo onore, la trentesima canzone, quella che gli dannerà l'anima.
Questa leggenda del blues, che costruisce una sorta di mito di fondazione di un genere musicale fortunatissimo, è così presente nella cultura americana da fare capolino in molti romanzi, da Lansdale a Winslow. Robert Johnson è realmente uno dei personaggi più significativi del blues, autore di ventinove pezzi registrati all'epoca con mezzi di fortuna e ripresi in seguito da moltissimi musicisti. Ed effettivamente, Johnson morì molto giovane, a ventisette anni. Ce n'è abbastanza da creare una leggenda.


Dunque alla malinconica musica del delta del Mississippi è dedicato un libro per ragazzi, un meritevole albo, illustrato da Chiara Di Vivona, che spero colpisca l'immaginazione delle giovani lettrici e lettori. Può ben essere lo spunto per raccontare un mondo, quello degli schiavi delle piantagioni di cotone, e delle musiche che ne hanno alleviato le sofferenze. Una musica talmente importante da contaminare moltissimi generi musicali del secolo passato e del presente. Una musica che ci trasporta altrove, a respirare atmosfere lontane, piene di malinconia e di mistero.
Meritoria l'iniziativa di parlare di un genere musicale oggi 'elitario', e di allegare un cd con le performance dell'autore, che sottolineano i diversi passaggi del libro.
Lettura e ascolto coinvolgenti per bambine e bambini a partire dagli otto anni.

Eleonora

“Il Re del Blues”, R. Brandoni, Curci young 2017

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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ALLA MIA PEONIA CHE È BELLA

Che bello!, Antonella Capetti, Melissa Castrillon


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Conosceva bene i ramoscelli: spesso c'erano delle foglie attaccate. Ma questa volta il ramoscello, corto e stretto era nudo e, cosa mai accaduta prima, si era alzato da terra a velocità vertiginosa. Di fronte a sé il muso di una bestia sconosciuta.
Aveva uno strano odore , non il solito profumo di bosco, muschio e terra bagnata.
'Come sei bello', disse.
Poi posò a terra il bastoncino e, come era venuta, se ne andò."

A parlare è un bruco. Un bruco che ha appena incontrato qualcuno che, come Mary Poppins, arriva dal nulla, sconvolge la sua esistenza, e poi se ne va via, riassorbita dal medesimo nulla. Un incontro che ti cambia la vita.


La vita condotta finora dal bruco lo aveva visto impegnato nelle attività di demolizione di foglie. Le mangia, le buca, le assaggia, ci sale, ne scende. Ci dorme. Insomma una tranquilla routine da bruco, appagante, con testa sempre vuota e leggera.
Poi arriva lei e gli dice Come sei bello. Sarebbe facile se il bruco sapesse cosa è il bello. Ma non lo sa e quindi parte per indagare, chiedere e capire. Così animale dopo animale, incontra tutti gli abitanti del bosco in cui vive, sempre tampinato da una petulante cornacchia, attenta misuratrice di mondo e lessico, e fa a tutti la stessa domanda: cosa vuol dire bello? L'orso allude al favo di miele, che però è buono e non bello, gli scoiattoli che scorrazzano tra le foglie alludono al gioco, che però è divertente ma non bello, il topo che si ripara dalla pioggia indica il fungo che gli protegge la testa dall'acqua, che però sembra piuttosto essere utile, ma non bello...Come un mantra, fa a tutti la stessa domanda e ogni volta la risposta porta in sé un sottile distinguo e al bello assoluto sembra non arrivarci mai.


Intanto si fa scuro: il sole tramonta, il cielo si riempie di stelle, sorge la luna, e gli animali, riunitisi sotto la volta, sdraiati con il naso all'insù, sono tutti d'accordo di trovarsi davanti a qualcosa di bello!

La domanda è gigante. Ma ieri è fiorita la mia peonia e io ho pensato, come sei bella. Da lì ho avuto chiaro che fosse arrivato il momento di ragionare su questo libro. Ma prima di ogni riflessione filosofica su bello e bellezza, occorre sottolineare come il punto di partenza di questa storia racchiuda in sé una verità incontrovertibile: gli incontri con le parole, e con le persone che le pronunciano o le scrivono, sono talvolta fatali. Contribuiscono a darci una forma.
La definizione di bello ha a che fare con la filosofia, in particolare con l'estetica che svolge il difficile compito di fissarne i caratteri.
Leggermente più evoluta del bruco, io stessa spesso mi trovo a desiderare di trovarne una definizione, ma fatico. La cosa che mi riesce di fare è quella di associarvi alcuni concetti che con il bello hanno a che fare: l'armonia, l'equilibrio. Ma non basta, il bello è arduo da oggettivare, mentre risulta piuttosto semplice rendere soggettiva la sua definizione. In questo caso è il gusto, a sua volta frutto di un insieme di fattori culturali e ambientali, a determinare che cosa effettivamente possa dirsi bello. Ma non solo: c'è l'affetto, la sensibilità, l'attesa, lo stupore e mille altre sfumature emotive che contribuiscono a fare di un oggetto, di una persona, di un luogo, di una storia, di un tempo qualcosa di bello.


Stando così le cose, ho atteso con  curiosità la risposta di Antonella Capetti alla grande questione.
Forse aveva davvero trovato la pietra filosofale?
Per nulla. Anche lei, insieme al bruco, deve convenire che il bello, in quanto tale, esiste nella sua rarità, ma il cercare di imbrigliarlo in una definizione è davvero una cattiva idea.
A Renzo Piano, che di bellezza prodotta da mano e testa umana se ne intende, una volta sentii dire che il bello sparisce nell'istante in cui si cerca di descriverlo. Come dargli torto.
Ed ecco quale è la posizione che prende Antonella: in un processo 'ermeneutico' va diritta come una freccia, nonostante il contesto barocco che la Castrillon le costruisce intorno, attraverso una sequenza di aggettivi puntuali, verso la definizione di ciò che erroneamente si assimila al bello, ma che bello non è. Le sue parole hanno il passo di una camminata decisa, mentre le illustrazioni si attardano in riccioli e intrecci e volute, dalla forte connotazione decorativa, che mi sembra cifra costante in Castrillon. Il contrasto di andatura, da un lato l'incedere sicuro da maestra montanara, e dall'altro, la leggerezza di una giovane illustratrice sensibile al colore, mi convince. 


E se, parola dopo parola, ci dice cosa non sia il bello, per converso fa convergere tutti nel gran finale a constatare, di fronte a una luna piena che prende la pagina, dove la bellezza effettivamente faccia mostra di sé, in tutto il suo nitore. Per poi tacere.

Carla

 

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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DI GUERRE E DI BAMBINI


Argomento molto difficile da affrontare, quello della guerra e dei bambini che ne sono coinvolti. E' quindi una sfida coraggiosa quella raccolta da Gabriele Clima in un romanzo breve, Continua a camminare, pubblicato da Feltrinelli nella collana Up.
Racconta, con apprezzabile asciuttezza, le vicende di due ragazzini: entrambi tredicenni, entrambi coinvolti a diverso titolo nel conflitto.
Il primo, Salìm, segue il fratello nelle sue spedizioni a caccia di libri, con l'intenzione, meravigliosa, di aprire una biblioteca, recuperando fra le macerie i libri dispersi. La seconda è una ragazzina, Fatma, componente di una famiglia di integralisti islamici. Salìm sopravvive al fratello, colpito da una delle tante bombe, Fatma è destinata a divenire un'arma, una bomba vivente, chiamata a fare strage di infedeli.
Seguiamo il primo in fuga nel deserto per raggiungere le coste libiche, seguiamo la seconda nel suo incedere incerto verso un destino tragico.
E' una storia ispirata a persone reali ed è un ritratto realistico di un conflitto che pare non avere fine. I civili ostaggio di una guerra in cui le parti si confondono e le bombe possono provenire da paesi ora alleati, ora nemici. Sullo sfondo, Daesh, il regno degli uomini in nero che semina il terrore con ogni mezzo.
Apprezzabile, in particolare, il ritratto della normalità delle vite pur in condizioni così estreme: i rapporti familiari, i sogni e le aspirazioni di tanti giovani, spezzate da una inarrestabile spirale di violenza. Interessante la descrizione del passaggio dall'amore familiare all'incitazione al suicidio, naturalmente nel nome di dio; non mostri, ma persone in cui la coscienza individuale è completamente annichilita di fronte all'affermazione di una visione religiosa totalizzante. E' facile immaginare quante persone, in un contesto di obbedienza acritica, siano coinvolte in uno straniante spettacolo di morte, con le esecuzioni sommarie, i kamikaze, le violenze infinite, in nome di dio.
Un'impresa coraggiosa, quella di Gabriele Clima, e direi ben riuscita, efficace nel raccontare l'indicibile e misurata nel descrivere uno scenario disperato e violento. Ho apprezzato, in modo particolare, l'onestà intellettuale con cui l'autore ci restituisce un'immagine non edulcorata della situazione siriana e dell'estremismo islamico, senza sottolineature retoriche, senza schierarsi con nessuno se non con il popolo dolente, ostaggio dei giochi planetari delle diverse forze in campo. Nonostante il tema difficile, drammatico, l'autore riesce a mantenere una narrazione misurata, capace di mitigare il lato più duro, e inaccettabile, di questo conflitto.
Per aiutare ragazzi e ragazze a comprendere il nostro presente sono necessari libri come questo, che, senza troppa enfasi, ci spiegano chi sono e da dove vengono quegli stessi disperati che noi vorremmo lasciare al di là del mare, in qualche campo profughi libico. Non so se un libro possa fermare i kalashnikov, ho qualche dubbio a riguardo, ma può accendere intelligenze, aprire orizzonti, costruire ponti, di cui abbiamo grande bisogno.

Eleonora

“Contina a camminare”, G. Clima, Feltrinelli 2017



Article 1

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IL MIGLIACCIO DI MARIA



Era tanto tempo fa quando, una volta a settimana, mi arrampicavo sul gianicolo a leggere storie a bambini pallidini, spesso con colorati fazzolettoni sulla testa a nascondere le loro teste calve. 
Lo facevo principalmente per farli 'uscire' in qualche modo fuori di lì.
Nonostante le nausee diffuse, spesso si parlava di cibo, con loro. Era un buon modo per 'riportarli' a casa. E mentre noi leggevamo Il visconte dimezzato o la storia di Lavinia, nei corridoi giravano 'nduje arancioni di peperoncino, olive all'ascolana grandi come bocce e torte fatte da nonna. Una di queste mi intercettò e non la dimenticai più.
Maria, bambinetta campana, con la sua mamma e il suo papà un pomeriggio me la raccontarono. Era il migliaccio.

Ingredienti

400 ml di latte 
100 ml di acqua
120 g di semola di grano duro (oppure semolino)
la scorza a fette di 1 arancia non trattata 
25 g di burro
250 g di ricotta
2 uova 
150 g di zucchero i semi di 1/2 bacca di vaniglia
 
Fate bollire il latte con l'acqua e la scorza della buccia d'arancio a fuoco basso basso, quando sta per bollire spegnete, aggiungete il burro e togliete la scorza. A questo punto versate a pioggia agitando con una frusta il semolino in modo da non creare grumi. Riaccendete il gas e fatelo cuocere per pochi minuti.
Quindi spegnete e lasciatelo freddare.
Prendete le uova e sbattetele con lo zucchero con una frusta elettrica per montarle a dovere. Quindi aggiungete la ricotta a piccole quantità e la polvere della mezza bacca di vaniglia. Mischiate al composto il semolino e e otterrete una crema abbastanza consistente che verserete in una tortiera foderata di carta forno alta e non troppo grande, in modo che il composto la riempia quasi fino all'orlo: almeno tre dita più o meno.
Cuocete in forno per un'oretta a 180°. Lasciatela quindi raffreddare e da fredda, spruzzatela di zucchero a velo.
E' una torta che con il tempo può solo migliorare...come all'epoca fece Maria. con il tempo guarì.

Carla

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Cara Formica,
Come stai? Come passi i tuoi giorni? Fa freddo in città?
Nel bosco l’inverno è stranissimo, davvero fuori del normale: un freddo così non l’avevo mai sentito! Ma soprattutto, è la mancanza della neve a preoccuparmi. Di notte le stelle brillano su in alto come fitte dolorose, e la mattina quando vedo il cielo fisso azzurro mi si stringe lo stomaco.
Non va bene, l’inverno senza neve.
Ma non è per questo che ti scrivo.
Devo raccontarti qualcosa.
Qualche giorno fa sono sceso dall’albero a cercare le mie ghiande, e proprio alla base del mio albero ho trovato Tasso, il mio amico Tasso, disteso come se dormisse. Ho capito subito che era morto, perché nessuno schiaccia un pisolino in un posto così esposto. E poi, figurati, Tasso!!
Un tipo così riservato...
Mi sono avvicinato e lo ho ricoperto con delle foglie secche e degli arbusti, e poi sono andato a cercare le ghiande. Avevo fame.
Ma qualcosa in me era cambiato. È normale morire, fa parte della vita. Ma in un inverno normale Tasso sarebbe stato coperto dalla neve, ed io mi sarei accorto della sua mancanza solo a primavera, non vedendolo uscire dalla sua tana.
Invece quest’anno di neve non ne è scesa nemmeno un fiocco, non qui, almeno. Così, ogni volta che scendo dal mio faggio, o anche solo quando guardo fuori dalla finestra, vedo il monticello, le foglie e i rami che a malapena coprono il manto bianco e nero del mio amico, e mi viene voglia di chiacchierare con lui, come al solito.
Per questo, ho cominciato a sedermi al suo fianco nelle ore più calde della giornata.
Ho persino provato a parlare con lui...ovviamente non mi ha risposto. Non sono sciocco, so cosa è la morte. So che siamo uniti nel grande cerchio della natura, che quando la vita si stanca moriamo per tornare a vivere in altra forma.
Ma stando li, vicino a Tasso, nel silenzio irreale del bosco invernale, mentre mi immaginavo che il suo corpo a primavera si sarebbe piano piano trasformato in terra, ho cominciato a pensare.
Sai a cosa? Agli uomini, e a tutti quei libri di cui sotto sotto ho sempre sorriso. E alle domande che si fanno in quei libri....stupidamente sorridevo anche di quelle.
Ho provato a farmele anche io.


Dove sarà ora Tasso? Naturalmente lo so. È nella terra, nelle radici degli alberi, nella pancia degli insetti . Diventerà prato, e foresta, e le sue battute sarcastiche risuoneranno nel vento e tra i rami dei faggi.
Perché è morto? Anche questo lo so. Era vecchio. Ed anche stanco. Il freddo e la fame lo avranno sfinito. E forse era anche annoiato, e aveva voglia di vedere qualcosa di diverso dalla vita del bosco.
Ma a una domanda faccio fatica a rispondere, e mi arrovello giorno e notte mentre continuo a girare attorno al corpo ghiacciato del mio amico con uno stupore che non mi riconosco.
Come si fa a sopportare la sua assenza? Come si fa a sostenere il silenzio fortissimo che emana dal suo corpo ancora presente qui vicino a me, così presente che posso allungare la zampa e carezzargli il pelo ancora lucido?
E perché questo vuoto non si riempie, e di cosa lo dovremmo riempire, poi? E soprattutto, perché fa così male?
Ecco ecco cosa succede quando comincio a pensare.
Ed è per questo che ti scrivo: mi aiuti a rispondere?

Scoiattolo

Ah, caro, carissimo Scoiattolo, amico mio.
Come si può essere contenti e rattristati allo stesso momento? Eppure e così che mi sento adesso, nel leggere la tua lettera. Mi rammarico per Tasso, anche se non lo conoscevo, e al contempo, son felice di sentirti dopo tanti mesi di silenzio. Sentimenti diversi che si toccano.
Che domande grandi mi fai...e quante. Sai cosa mi viene in mente quando mi parli di assenza? L'immagine del distacco che separa i vivi dai morti, quel momento che la morte presenzia sempre. Io penso alla Morte, quella con il teschio, il grembiulone a quadri e le pantofoline, quella che Erlbruch ha disegnato con tanta delicatezza e sensibilità, sulla riva di un corso d'acqua verde che sinuoso va verso il mare aperto. Quella stessa Morte che, con la consapevolezza dell'ineluttabilità, ha messo sul corpo galleggiante e inerte di Anatra un tulipano scuro e le ha dato una spinta lieve. Te lo ricordi anche tu vero il bellissimo L'anatra, la morte e il tulipano1, sì? E ti ricordi cosa dice? "Quando la perse di vista..." - e infatti se guardi ora il fiume verde è sgombro - , "...la Morte quasi si rattristò. Ma così era la vita."


Da una parte la vita, dall'altra, la morte: sono prossime, si toccano per un momento e, a ben vedere, ognuna porta in sé tracce dall'altra: si compenetrano un po'.
Ho letto un libro: Cry, heart, but never break.2E' un libro che nasce in Danimarca (hai notato, di nuovo una storia che arriva dal Nord...) e che racconta la storia di quattro fratellini che, piuttosto sgomenti, stanno aspettando la morte imminente della loro nonna. Un visitatore, la Morte appunto, ha lasciato la falce fuori dalla porta della casa per delicatezza nei loro confronti e ora è lì in cucina, ossuto e con un gran naso che sporge dal cappuccio del suo nero mantello. Siede con loro al tavolo di cucina e beve un caffè dopo l'altro che i bambini, spaventati, gli versano nella tazza per impedirgli, così pensano, di andare al piano di sopra a 'prendersi' la nonna. 

 
Il tempo passa e arriva il momento. Ai piccoli che fanno la tua stessa domanda, perché si deve morire, il visitatore con grande dolcezza (la Morte tutti la descrivono come con il cuore nero e duro come il carbone, ma non è la verità se guardi come la immagina Charlotte Pardi) racconta la storia di una coppia di fratelli, Sconforto e Dolore, sempre mesti che vivevano in una valle umida e tetra e una coppia di sorelle, Gioia e Letizia, sempre radiose che vivevano in cima al monte, in pieno sole. Si incontrarono un giorno e si innamorarono.


Decisero di vivere assieme in due casette a metà tra la cima e la valle. Passarono anni meravigliosi insieme e quando venne il momento di morire, lo fecero insieme perché era impensabile per loro separarsi. Lo stesso accade con la vita e la morte: stanno insieme e non ha senso dividerle. La vita sarebbe terribile senza la morte e viceversa. Apprezzereste il sole, se non piovesse mai? Vi verrebbe a noia il giorno se non arrivasse la notte? Ecco, la Morte è salita al piano di sopra. I bambini arrivano dopo poco e si riuniscono intorno al letto della nonna morta. Le lacrime scendono piano, come è naturale che sia, ma la Morte li avverte che quelle lacrime di dolore e quella tristezza è giusto che siano lì, ma fanno parte della vita. Segnano il distacco, ma aiutano ad andare avanti per una nuova strada. Questo sembra un modo accettabile per dei piccoli di darsi conforto? 


Sai, quando morì mio padre, un formicone magro e lungo, dagli occhi sporgenti e celesti come il cielo, la mia piccola consolò la mia panica disperazione dicendo: così è la vita, mamma... Lo vedi anche tu, al disorientamento di un adulto, è la purezza di pensiero di una bambina a dare parziale conforto. E sembra tornare il ragionamento della vecchia con le pantofoline e del visitatore in nero. Ma quella che ti ho appena raccontato è vita vera, non storia immaginata. Può fare differenza? E d'altronde anche le tue parole, "so che siamo uniti nel grande cerchio della natura, che quando la vita si stanca moriamo per tornare a vivere in altra forma" vanno nella stessa direzione: verso il mare aperto o nell'arietta che entra dalla finestra nella casa di quei tre bambinetti e li accarezza...


Vuoi la vera verità? Sembra facile, ma non lo è. E hai ragione tu, fa un gran male quel gran vuoto.
Ma riparliamone domani, vecchio mio

Formica


1W. Erlbruch, L'anatra, la morte e il tulipano (trad. V. Starnone) E/O 2007
2G. Ringtved, C. Pardi, Cry, heart, but never break, Enchanted Lion 2016

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Cara Formica, 
Hai ragione. È difficile accettare quello che accade sotto i nostri occhi. La Morte la sa davvero lunga a proposito di convivenza di sentimenti. E non potrebbe essere altrimenti. Lo pensavo proprio in uno di quei pomeriggi passati accanto a Tasso: lui era vicino, vicinissimo, forse non eravamo mai stati così prossimi, eppure era anche lontano, lontano a tal punto da non esistere più. Come affrontare questo contrasto?
Sai, mi hai fatto venire in mente un libro. Si intitola Hat Opa einen Anzug an?1Anche questo libro viene dal Nord, e racconta come il piccolo Bruno affronta la morte di suo nonno.
La prima cosa che lo sconcerta è proprio il fatto che il nonno stia sdraiato nel letto con le scarpe addosso. Se ha le scarpe, pensa Bruno, dovrà avere anche l’abito che sempre indossava con quelle scarpe, e così si fa alzare dal papà per vedere il nonno. 

 
Da questo momento, il piccolo Bruno inizia un’indagine scientifica di quello che gli sta succedendo intorno, e sperimenta, vivendo ogni gesto che aderisce alla morte: la salma, il funerale, la sepoltura, il banchetto a seguire dove si mangiano würstel e si beve birra piangendo nel ricordare il nonno...per il suo occhio indagatore però non c’è il tempo di giudicare. Ogni cosa va osservata per quello che è, e soprattutto, ad ogni cosa va dato un nome.
Forse è questo atteggiamento scientifico che consente ai popoli del Nord un rapporto così intimo con la morte: sono capaci di chiamarla per nome, di viverla e celebrarla come un fatto della vita.
Anche le immagini sono sorprendenti per quello che si permettono di mostrare: il nonno morto nella bara, la bara che scende nella terra durante il funerale. Niente simbologie o allusioni, nessuna metafora.
Unica concessione, una barca, che serpeggia nelle immagini sussurrando piano di un viaggio, quasi a voler suggerire, che sì, chi muore se ne va, ma la Morte è più un affare dei vivi, che devono affrontarla con gli strumenti della vita. E in questa vita Bruno è sempre presente, piccolo, quasi fagocitato dal tratto materico e pesante delle illustrazioni, sì, ma in mezzo alle cose che accadono. 

 
Potrebbe sembrare di essere in un libro a tema, se non che la narrazione, seguendo senza imbarazzo la pulsazione del ragionare e indagare di Bruno, travalica i confini della semplice spiegazione e si trasforma in scoperta e avventura. In ogni pagina, una tappa del pensiero: la rabbia che il nonno se ne sia andato, la poltrona vuota del nonno, lo sconcerto di fronte al fatto che il nonno possa essere sia sotto terra sia nel cielo, la paura di dimenticare, il pensiero alienante della propria morte. Vicino a Bruno ci sono i grandi, che lo accompagnano spiegando con delicatezza quello che possono spiegare e ritraendosi con onestà quando loro stessi non hanno risposte. E sai cosa, Formica, mi ha sorpreso? I grandi in questo libro non danno nessuna risposta certa quando si tratta di parlare delle questioni spirituali, mettendosi proprio allo stesso livello di Bruno...
Quando Bruno ha conosciuto e sperimentato a sufficienza, riesce finalmente a concedersi la consolazione delle lacrime. E da quel momento, il tempo, che sembrava essersi fermato comincia di nuovo a fluire. Una bicicletta e via di nuovo verso la vita, i giochi al cimitero davanti alla tomba del nonno e dopo qualche mese, addirittura l’arrivo di un nuova vita, un cuginetto avvolto in una coperta che dimena i piedini già infilati in un paio di piccole scarpe.


Sai, sono contento di essere stato tanto tempo accanto a Tasso. Era l’unica cosa che potevo fare, anche se a una domanda non riesco a rispondere...dove sarà andato a finire, tutto quello che faceva di Tasso il mio amico?
Sai rispondere tu?

Scoiattolo

P.s. Mi è venuto in mente un altro libro, in cui due fratellini capitanati da una intraprendente sorella maggiore si inventano il gioco di seppellire animali morti che trovano nel bosco afoso e traboccante di luce estiva. I tre gioiscono attorno a ogni animaletto senza vita che capita sui loro passi...un bombo, un topolino, dei pesci, un gallo. Il gioco della sepoltura si ripete e si ripete fino ad assumere toni quasi irrispettosi...
Ma proprio sul far della sera i bambini trovano un merlo ferito che muore tra le loro mani. La Morte si fa per loro realtà, diventa un fatto che riescono a toccare.2




Ah, caro Scoiattolo, se lo sapessi avrei la chiave per aprire la porta della serenità. Non ce l'ho, mi spiace. Ma il tuo libro che racconta e illustra le tappe di esplorazione del piccolo Bruno mi pare centri un paio di punti nodali della questione: quella rabbia incontenibile di fronte al torto che ci pare di subire nel veder andar via persone a cui vogliamo bene e il vuoto, anche fisico, che si genera inevitabilmente con quella partenza.
Io ricordo molto bene la mia rabbia, tu ti sei arrabbiato con l'amico Tasso, lì sdraiato?, e ricordo molto bene anche la rabbia che si trova nel libro di Michael Rosen3(ti ricordi, no? lo scrittore di libri per bambini, il papà di A caccia dell'orso), scritto a 4 anni di distanza dalla morte del figlio diciottenne. Nel suo caso, a rabbia si deve essere aggiunta rabbia perché la perdita di un figlio ha in sé qualcosa di aberrante, in quel suo essere prematura e, in qualche modo, innaturale. Non credi?
La rabbia chiama spesso un urlo e quel libro lì è davvero un grido di dolore di un uomo triste che il suo caro amico, Quentin Blake, con rispetto e tenerezza, ha cercato di rappresentare. E' un libro che brilla per raggelante lucidità.
Esordisce con una faccia sorridente di Michael che fa finta di essere allegro e poi tutto annega nel grigio.


Il colore arriva solo nei rabbiosi ricordi di un passato comune - come hai osato andartene, e morire e per questo farmi sentire così triste? Come ti sei permesso? Il ragazzo non può replicare, non può dire nulla, semplicemente perché lui lì a rispondere non c'è. Al suo posto c'è il silenzio: una vignetta vuota. Quentin Blake riassume in quattro linee l'assenza. L'assenza, come vedi, ritorna. 

 
Nel tuo libro di Bruno c'era la poltrona del nonno vuota, qui c'è una vignetta bianca. E a proposito di assenza, mi viene in mente un altro grande libro, indovina? anche questo non pubblicato in Italia, The heart and the Bottle, uno dei pochi di Jeffers che, temo, faticherà a valicare le Alpi... Anche qui il vuoto, il buco, l'assenza è ben evidente. 4
A voler trovare altre tangenze anche qui, nel titolo, torna il cuore, e torna anche un nonno -categoria un po' sotto scacco nell'editoria funeraria pensata per bambini, non ti pare?
Bene, questo nonno dai pantaloni turchesi passa il suo tempo a fomentare e poi soddisfare le mille curiosità della sua intraprendente nipote. Insieme esplorano, indagano, si avventurano nello spazio, nel mondo vegetale e in quello animale: di solito, lui seduto con un libro in mano, e lei che gli ronza intorno come un'ape curiosa. Poi un giorno quella poltrona resta vuota. La bambina smette di ronzare, si ferma, si siede in contemplazione silenziosa di fronte a quel vuoto inaspettato, illuminato dalla tagliente luce lunare che filtra da una finestra: è la presa di coscienza che adesso lei è sola. 
 

E come la rabbia genera grida, la solitudine genera insicurezza. Quel suo cuore abbandonato ha bisogno di mettersi in salvo, almeno per un po'. La soluzione immaginifica di Jeffers è una bottiglia di vetro trasparente entro cui custodire il proprio cuore, portandolo appeso al collo, così non si deve neanche troppo spostare dallo sterno, suo abitacolo consueto.
Al principio sembra funzionare, ma il cuore, col passare del tempo inevitabilmente, cresce e rimane intrappolato. Ancora una volta, nulla è più come prima... 
Ho bisogno di fermarmi anch'io come la bambina, a pensare, Scoiattolo! E per farlo provo a tirare due somme e guardare le cose dall'alto: se traccio una mappa geografico culturale di bei libri su questa storia del morire noi, come insetti e roditori di matrice italica, ne siamo perennemente fuori. Non sarà che è un po' un tabù, in lungo e in largo, in su e in giù per lasoleggiata penisola?
Se così è, dai, togliamoci il gusto di continuare a parlarne liberamente ancora per un po', ti va?
Domani ti scrivo, aspettatelo!

Formica

 
1A. Fried, J. Gleich, Hat Opa einen Anzug an?, Hanser 1997
2U. Nilsson, E. Eriksson, Die beste Beerdigungen der Welt, Beltz 2016
3M. Rosen, Q. Blake, Michael Rosen's sad book, Walker 2011
4O. Jeffers, The heart and the bottle, HarperCollins 2010

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Sai cosa penso, Scoiattolo che oggi festeggi perché invecchi...?
...che quando prendo carta e penna per scriverti e fuori c'è il sole, vedo tutto con un umore diverso.
Nel libro di cui ti parlavo ieri, sai quel capolavoro di purezza intellettuale scritto da un Michael Rosen messosi coraggiosamente a nudo, la parola sad compare più di venti volte. Sad per lui è un luogo, una condizione dell'anima, un posto che può essere scuro e angusto, come il buio che c'è sotto il letto oppure può essere alto e luminoso come il cielo sulla sua testa...ecco luminoso come il cielo. Complice questo bel sole, non posso resistere e non pensare a uno dei libri più luminosi che conosco sulla morte...The Flat Rabbit.1
Te lo regalo per il compleanno, ti farà bene averlo.
Lontano dalla rabbia di Rosen e dalla solitudine di Jeffers, The Flat Rabbit, pur non sottraendo nulla alla profondità della questione, la guarda con lo stupore che mi raccontavi del piccolo Bruno. Ed è questo il merito che gli riconosce chiunque lo abbia letto.


Tutto comincia con un cane che passeggia per la via, in un giorno terso. Girato l'angolo, si accorge che, spiattellato come una frittata, sull'asfalto c'è un coniglio. Anzi, la coniglia che abita al 34, dove c'è quel cancello su cui lui ha pisciato un paio di volte. A guardare stupefatti la coniglia ordinatamente stesa in modo simmetrico rispetto al suo asse mediano, ci sono il cane e il suo amico topo che in quel preciso momento arriva sul marciapiede in senso opposto. Silenziosi, la guardano e riflettono su che cosa stia facendo lì in quel momento. Una certa malinconia si percepisce nell'aria, anche perché non deve essere particolarmente divertente stare lì sdraiati... Con un pragmatismo che sconcerta pensano che sia meglio rimuoverla da lì. Ed ecco che arriva la grande domanda...dove la portiamo? Non sarebbe carino se ci vedessero con una coniglia appiattita mentre la portiamo in giro... Seduti su una panchina, i due riflettono mentre dietro di loro qualcuno sta facendo volare un aquilone. 


Fermiamoci anche noi a riflettere. A considerare come questi due lascino nel dubbio e nell'ambiguità il lettore, nel loro ignorare - o forse dovrei dire meglio far finta di ignorare - che la coniglia è morta. Probabilmente investita da qualcosa di molto più grande di lei. Consideriamo il loro modo di leggere il mondo: sono semplici, forse ingenui, di certo puri, che si limitano a constatare le conseguenze degli spiacevoli fatti accaduti, valutando di trovarvi una soluzione che si possa considerare congrua e dignitosa per tutti.
Non hanno, o non vogliono farvi ricorso, particolari strumenti di elaborazione.
Eppure, non si sa come, la loro attenzione e cura nei confronti della coniglia appiattita, è partecipata. Non lo si può negare.
Ora il fatto è che quella coniglia è morta, mortissima. E quindi si sta discutendo in modo partecipato, ma calmo e lievemente distaccato, di concederle degno viatico verso un altrove. Entrambi hanno molto ben chiaro che lì non è bene che lei rimanga...
Concedimi di fare un paragone molto azzardato: ma questo loro ragionare sulla panchina assomiglia un po' ai tentativi fatti dai ragazzini davanti al letto con la nonna morta, o a quelli della bambina silenziosa davanti alla poltrona vuota, o ancora a quelli di Michael Rosen davanti a quel mozzicone di candela...tutti, con modalità diversissime, sono lì a cercare di capire cosa si può fare davanti alla morte.
Mi rendo conto: è la domanda del secolo e come tale forse merita di avere tante risposte quante sono le stelle in cielo...
A te l'onore, mio caro, di dire la tua...

Formica


Carissima Formica,
Sai, ho notato che stiamo parlando molto di come si sta di fronte alla morte, come se effettivamente la mente potesse avere la capacità di affrontare un evento che, di fatto, non conosce. Bene faceva Bruno a indagare, bene facevano gli animali a chiedersi cosa fare della coniglia appiattita sulla strada, ma andando in questa direzione si rischia di non riuscire a rispondere alla domanda che aleggia, gettando inquiete ombre che se i bambini non possono vedere, io, da scoiattolo un po’ invecchiato quale sono, vedo benissimo.
La domanda è: ma dove va quella parte impalpabile che ci rendeva care le persone? Alcuni la chiamano anima, e io non so se questo è il nome giusto, però giusta, e a questo punto urgente, è la domanda. E per rispondervi, temo che l’indagine sui fatti non sia lo strumento adatto. Qui più che capire, si tratta di interpretare.
Mi parlavi di stelle, e mi è immediatamente venuto in mente un libro che si intitola Una splendida notte stellata.2
E sai cosa? Viene da Taiwan. Non parla esplicitamente di morte, ma della vita di una ragazzina. E siccome, questo lo abbiamo stabilito, la morte è parte della vita, in questo libro c’è anche lei. Infatti alla piccola protagonista muore il nonno con cui aveva vissuto per tutta l’infanzia, prima di trasferirsi (come spesso accade da quelle parti) in città per studiare. La ragazzina non vede il nonno morire come Bruno, non va nemmeno al funerale. Non piange, non tocca con mano, non misura. Non ha occasione di dare un nome alla morte, e di fatto si ritrova immersa in un immobile silenzio. Per lei il dolore diventa qualcosa di inesprimibile, qualcosa di profondamente interno, insondabile, misterioso e, soprattutto, prezioso! La prova provata della sua relazione con il nonno. L’impossibilità della verbalizzazione si traduce in immagini straordinariamente ricche e dai colori sgargianti che dialogano silenziosamente e fittamente tra loro. Sono illustrazioni simboliche ed allusive, difficili da afferrare razionalmente, quasi come se parlassero una lingua segreta con una parte nascosta di noi.
In questo libro ad assenza si aggiunge assenza. La distanza fisica del nonno in campagna si estende quando il nonno muore. I genitori, presenti fisicamente, sono concentrati sul lavoro e sui loro problemi, e di fatto sono assenti mentalmente e nella relazione. 

 
Un bel giorno nella vita della ragazzina entra in punta di piedi un coetaneo: è in città per studiare, e abita in una stanza presso una vecchietta, perché suo padre lavora su una barca (quante barche in questi libri!)
Anche lui è solo, e così i due diventano amici. Non parlano molto, ma condividono le loro giornate fatte anche di piccole difficoltà. Un bel giorno, quando il mondo intorno diventa troppo nemico, i due scappano. E sai dove vanno? Indovina indovinello, cara Formica. Lo so che lo hai pensato, ed hai ragione: vanno in montagna, a casa del nonno, la casa dove la protagonista ha passato la sua infanzia. E non appena mette piede nella casa, la bambina trova le parole ed esce dal suo silenzio: comincia a ricordare. È un momento molto doloroso, ma anche pieno di calore, perché ristabilisce la relazione, evidenziando come il nonno non sia altrove, ma dentro di lei e tutto attorno, nel mondo.
Il ricordo, Formica, fa diminuire la distanza tra noi e i morti. Addirittura la annulla, e loro sono presenti, con noi, vicino a noi, presenti al nostro fianco. 

 
Adesso i due amici possono tornare indietro.
Finalmente la bambina riesce a piangere e, dopo, si ammala gravemente. Quando guarisce va a trovare il suo amico, che è partito per stare con suo padre sulla barca dove lui lavora. Ecco un’altra assenza che si aggiunge a tutte le precedenti e che approfondisce ulteriormente la solitudine in cui è immersa la ragazzina ma soprattutto la sua competenza sui vari gradi di distanza. Ma ormai lei ha capito come fare, sa come ritrovare gli assenti, morti o distanti che siano. 

 
Sai, ogni volta che leggo questo libro ho sempre il sospetto che il ragazzino non sia davvero vivo, ma lo spirito del nonno. E se così fosse, Formica, dove, dove se ne sarà andato, una volta salito su quella barca che sembra fatta apposta per traghettare i morti da qualche parte?
Domande, domande e ancora domande, cara Formica.

Scoiattolo


Ps. Sai, ho conosciuto un orso tempo fa. Lui sapeva esattamente dove vanno i morti. In Paradiso, diceva...3




































1B. Oskarsson, The Flat Rabbit, Owlkids Books 2014
2J. Liao, Una splendida notte stellata (trad. S. Torchio), Edizioni Gruppo Abele 2013
3D. Verroen, W. Erlbruch, Un paradiso per il piccolo orso (trad. K. Wessel), E/O 2005

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Cara Formica,
Mi devo scusare con te per aver bruscamente interrotto la lettera senza nemmeno salutarti.
Nella mia mente una domanda pulsava come una ferita: “Dove? Dove? Dove è Tasso adesso? “
Hai notato che più definiamo il posto della morte nella vita, più diventa quasi impossibile capire dove vanno i morti. Non ti fa girare la testa, questa domanda?
E io che pensavo di saper rispondere a tutte le domande sulla morte! Ora non faccio che leggere e ragionare alla ricerca di spiegazioni convincenti. Ma un libro in particolare mi ha fatto capire che forse posso provare a rispondere da solo.
Si intitola Il paradiso di Anna1del norvegese Stian Hole, che ha un approccio molto diverso da tutti gli altri scrittori ed illustratori del Nord che abbiamo conosciuto.
La piccola Anna ha appena perso la mamma, e lei ed il papà devono affrettarsi ad andare in chiesa per il funerale. Ma prima di partecipare al rito, Anna chiede del tempo per elaborare la sua personale visione del Luogo in cui secondo la sua cultura vanno i morti e provare a consolare il dolore del suo papà.


Lo sguardo puro ed innocente che tanto somiglia a quello di Bruno è puntato proprio lì, nell’aldilà.
Non credo sia un caso che questo libro esista anche per noi lettori mediterranei: la morte non viene nominata direttamente. Piuttosto è la premessa per una indagine che avviene tutta oltre la sottile linea che separa i morti dai vivi. Un confine netto che si trasforma in un asse attorno a cui tutto può essere ribaltato. 

 
È difficile cambiare, Formica, e che cambiamento di prospettiva sconvolgente deve comportare la morte di una madre. Ogni ordine viene sovvertito, e in questo libro la vertigine di questa dolorosa trasformazione è evidente. Per Anna però la possibilità di trasformazione delle cose diventa una risorsa, un gioco. Anna utilizza gli strumenti che la mamma le ha dato per trasformare, ribaltare, interpretare e lenire: i chiodi che cadono dal cielo potrebbero trasformarsi in fragole con il miele, Dio potrebbe non essere smemorato come la nonna. In fin dei conti ogni cosa ha due lati, come il suo nome.
Anna e il papà si tuffano oltre la sottile linea di cui ti parlavo, rappresentata dalla superficie di uno specchio d’acqua, alla ricerca della mamma. Anche qui c’è una barca, ma i nostri amici non ci pensano nemmeno ad usarla. Loro non vogliono allontanarsi dal dolore scivolando sulla superficie, vogliono andare in profondità, talmente in profondità da raggiungere il cielo. 



Nuotano assieme ai pesci volanti, ascoltano un canto che sembra provenire dal cielo, vedono il nonno, e tanti altri morti famosi e sconosciuti, ma la mamma non la trovano. Quando si arrendono a questa evidenza, tornano a casa con una capriola, la stessa che gli permetterà di dare nuovi nomi alla nuova vita che li attende. Finalmente il papà sorride, e possono andare celebrare il rito funebre. 

 
Cara Formica, ho capito che le cose non sono solo quelle che sembrano: tutte celano la possibilità di una metamorfosi. Ed esiste un luogo preciso e sottilissimo in cui con molto coraggio e fantasia, si può facilitare il cambiamento.
Forse anche la morte può essere un inizio?

Scoiattolo

Ps. Cara amica...ti avevo detto che i due protagonisti del libro non riuscivano a trovare la mamma nel cielo, eppure... prova a guardare meglio le illustrazioni...




Caro Scoiattolo,
Tu parli di cielo, io parlo di stelle...insomma sembra proprio che lo sguardo delle persone debba alzarsi da terra, chissà, forse perché la terra è, nell'immaginario di tutti, il posto che da sempre è stato capace di accogliere le spoglie di chi è morto. La terra è impenetrabile, è anche scura, è certamente fredda e nasconde a perfezione ciò che contiene. Mentre il cielo, non importa se nero della notte, o chiaro, o corrusco di nuvole, il cielo non nasconde, lo sguardo lo attraversa, ma è una zona che non ci appartiene: noi siamo terreni, terrestri, eppure nonostante non ci competa come spazio naturale, non facciamo altro che desiderare di muoverci nella sua trasparenza. Diamo alla terra ciò che non vogliamo vedere e al cielo ciò che possiamo solo immaginare.
Non credo che sia un caso che in molte religioni è il cielo il luogo ideale per ciò che l'umanità sogna ci sia dopo la morte. E allora pare quasi naturale che il nostro sguardo si sollevi dal luogo che accoglie i corpi di chi non c'è più, che il nostro sguardo non regga la visuale della morte, e cerchi un nuovo respiro nel cielo, con il naso puntato in su, per aria.


Penso a quel papà, che al suo bambino che ha appena perduto la mamma e non riesce a dormire senza, propone una passeggiata notturna per lasciar da mangiare ai pettirossi, alla volpe e guardare in su. Neve nei piedi, silenzio intorno, nessun colore nemmeno sulla pagina, e disegni così affilati da essere ritagliati nella carta stessa...
Il libro norvegese di cui ti sto parlando è Eg kan ikkje sove no2, Non posso dormire senza..., di Stein Erik Lunde e Oyvind Torseter.
Gli adulti perdono spesso la parola, sopraffatti dal dolore. Questo papà con il filo di fiato rimasto riesce a dire le cose giuste e laddove non sa dire, usa il corpo: accoglie, abbraccia, contiene. Tra le sue ginocchia il bambino si accoccola. Le guance si toccano, la barba un po' lunga che sfiora la fronte...
Nella loro casa, seppure così insolitamente silenziosa, c'è un fuoco che brucia nel camino. Rimane punto di riferimento, luogo conosciuto dove i due si muovono nelle loro consuetudini, anche se ora tante consuetudini non ci sono più. In casa c'è la capacità di progettare semplici cose per domani: il taglio dell'albero. Piccoli passi, obiettivi di corta gittata. E per curare l'insonnia, e la malinconia ci sono i pettirossi da nutrire. I pettirossi, che come dice la nonna, sono i morti che tornano a trovarci.
Fuori c'è il mondo notturno che aspetta papà e bambino e che li racchiude, come loro si avvolgono reciprocamente: quel bambino in braccio al suo papà, che con il suo corpo si incunea negli spazi liberi di quello paterno: la testa nel collo, le gambe che penzolano dalle braccia. Il nero della notte li rende ancora più piccoli e inermi, ma li unisce in un unico profilo che è più robusto.


Fuori li attende la volpe, una macchia rossa in tanto bianco, che ha fame anche lei. In un susseguirsi di percezioni tattili raccontate a parole, arriva la domanda, secca, diretta, che non lascia dubbi o false interpretazioni nel lettore e, ancora meno, scappatoie nella risposta: la mamma sta dormendo e non si sveglierà più?
La risposta è onesta: dove si trova ora, no.
Tanta onestà richiede, tuttavia, il ricorso a qualcosa di più grande, di più alto verso cui guardare per poter essere sopportata: il cielo stellato, ancora una volta. Le connessioni tra la risposta e la proposta di andare a vedere le stelle le può creare il lettore, se vuole. Oppure può lasciare il cielo e le stelle dove stanno e rimanere giù a terra, vicino a quel bambino in braccio al suo papà, che lui immagina come una barca - al pari della luna - che naviga e attraversa la notte..
Ancora abbracciati, l'uno dentro l'altro, dopo aver condiviso, forse, lo stesso desiderio davanti a una stella cadente, tornano a casa. Sul divano davanti al fuoco, nonostante il sonno, il bambino ripete 'non posso dormire senza...'
'Tutto andrà bene''Ne sei certo?''Ne sono certissimo'.


A entrambi resta, dunque, il compito di progettare un nuovo domani. Insieme.
Ecco, domani.

Ti aspetto

Formica (in cerca di un proprio divano)





1S. Hole, Il paradiso di Anna, (trad. B. Berni), Donzelli 2013
2S. E. Lunde, O. Torseter, Eg kan ikkje sove no, Samlaget 2008

LETTERE DI SCOIATTOLO A FORMICA (idee a due teste)

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Cara, carissima Formica,
Sai, hai ragione: guardare la terra è troppo doloroso. Dove c’era il mio amico stanno spuntando i primi fili d’erba. Tutto intorno a me brulica e si muove. E’ primavera. Ormai Tasso sta diventando un ricordo. Forse, dopotutto, i morti non vanno da nessuna parte. E’ strano da pensare. Stanno nella terra –fermi, finiti- e dentro di noi – vitali ed infiniti - ma non esistono più. Siamo noi, i vivi, che ci muoviamo. È nostro il viaggio. Proprio come i protagonisti dell’ultimo libro di cui mi sento di parlarti prima di alzarmi da qui a cercar qualcosa da mettere sotto i denti.
Lo hanno scritto ed illustrato due italiane, Beatrice Masini e Arianna Papini. Si intitola Si può1, e racconta di Quello Grande, Bambino Medio e Bambina Piccola che partono lasciandosi alle spalle una casa distrutta. Camminano e camminano. Camminano davvero tanto. Anche loro come il bambino ed il papà del libro che mi hai raccontato si aggrappano alle cose più piccole del quotidiano per andare avanti: pensano al sonno, alle cose strettamente necessarie, a trovare la strada.È un inizio davvero straordinario, perché parla a tutti, trasformando il lutto in una metafora del cambiamento.


Vedi, lo spirito mediterraneo? Nemmeno una parola per nominare la morte. Anche le immagini la evocano solo attraverso l’assenza di colore e sono in generale allusive e mute, forse perché non ci sono immagini per rappresentare un futuro che ancora non c’è.
Camminano e camminano, Quello Grande, Bambino Medio e Bambina Piccola. Sono assieme, ma non si parlano. Hanno delle valigie, ma non le aprono. Ci si siedono sopra piuttosto, e ognuno di loro si tiene stretto il segreto del loro contenuto. Sono assieme ma sono anche molto soli. Finché un bel giorno decidono di fermarsi nei pressi di un buco. Il vuoto su cui si affacciano è estremamente pericoloso, così decidono di riempirlo. E siccome lì attorno non c’è niente, aprono le loro valige. E sai cosa tirano fuori? I ricordi, amica mia. Quello che avevano, quello che non hanno più. Gettano tutto dentro al buco, anche il libro delle storie che tanto sanno a memoria, anche la chiave della casa distrutta. Con molta fatica il buco si riempie. Sassi e conchiglie, giocattoli vecchi e foglietti. Tutto il passato finisce lì dentro, finché non rimane che una bella superficie piatta. Ora è possibile costruire una casa e ricominciare a vivere. 


Costruire una casa su un buco…
Sembra incredibile, vero Formica? Eppure si può. Si può. Non solo guardare per terra, non solo scrutare il cielo, ma anche partire e ricominciare. 


Loro lo hanno fatto, ora vedo di farlo anche io!
Scrivimi presto!

Scoiattolo

P.S. Sai, avevo letto un libro in cui anche la Morte ricominciava a sorridere dopo aver perso la sua piccola ed unica amica…2



Ah, caro Scoiattolo,
siam qui che continuiamo a inanellare metafore, come fossero perle, nella nostra collana di pensieri. Quest'ultimo libro di cui mi parli per tutta la lettera mi sembra che più di altri suggerisca una possibile risposta alla questione. Fin dal titolo: si può. Mi sbaglio?
Io, d'istinto, preferisco trovarle da me le risposte e mi piace anche poco dare consigli in giro...
E men che meno li vorrei leggere in un libro.
Ma, ciò nonostante di Si può, accetto la costruzione - è proprio il caso di dirlo - metaforica. A me piacciono tanto le metafore, mi sono congeniali per comunicare con gli altri (se piccoli, ancora meglio): li offro in giro perché sono succosi e irresistibili piccoli frutti da raccogliere sulla pianta dell'immaginazione.
Ops, vedi, ci sono caduta di nuovo.
Tra i libri di cui ti ho parlato, alcuni sono treni che attraversano diretti la questione che ci interessa, ma più d'uno invece è stato costruito su una metafora: penso al libro di Ringtveg, con il matrimonio tra Sconforto e Dolore e Gioia e Letizia oppure a quello di Jeffers, con il cuore stretto in una bottiglia.
Però, vedi, qui in The heart in the bottle3, è così tanto potente la metafora che quasi puoi dimenticare per un momento la ragione che ha spinto quella bambina a chiudere il proprio cuore in bottiglia, ovvero il suo bisogno di metterlo al sicuro dal dolore. Quando ormai grande, un giorno, girando sulla spiaggia dove andava da piccola, incontra una bambina che, come lei, fa domande, succede qualcosa. In quell'istante a lei si riannoda nella testa il ricordo della propria infanzia felice e appagante con il nonno. Per questo vorrebbe non doversi limitare a dare risposte a quella bimbetta, ma volerle anche un po' di bene, essere affettuosa attenta e premurosa, come allora lo fu suo nonno con lei.
Serve il cuore, per farlo. Ma il suo è imprigionato al collo in un vetro che sembra non cedere. Jeffers gioca, gioca sereno con questa situazione d'impasse


Non percepisce nessun peso sulle spalle, che gli impedisca di far partire una risata, in chi legge. Scuotere la bottiglia, prendere delle tenaglie per estrarlo, un martello per romperla, una sega o un trapano, un candelotto di dinamite (ah, i meravigliosi crescendo di Jeffers. Tu che sei scoiattolo musicista sai a cosa alludo, vero?)...
Niente da fare: il cuore è sempre lì in bottiglia. Non serve neanche salire su un altissimo muro e buttar la bottiglia così dall'alto, a meno che essa non rotoli fino in spiaggia, ai piedi di quella bimbetta curiosa che, molto seplicemente, lo estrae con il suo ditino felice.
Si stappa un mondo, ovviamente.


E a coloro che sono in cerca di risposte pacificatorie, lieti fini, o morali di facile apprendimento e scontate, Jeffers nega la soddisfazione di vedere - davanti alla donna, seduta finalmente sulla poltrona del nonno, lmentre legge curiosa miliardi di nuove storie - la bambina in rapito ascolto.
Lei non c'è. Non c'è ora? È appena andata via? Forse arriverà, o forse no. Semplicemente no.
Ecco, Scoiattolo mio bello, questo è ciò che vado cercando nei libri. Gli e forse, i ma chissà...
La metafora che però mi ha fulminato per tutto questo tempo di lettere con te è nel libro più solare che abbia mai letto su un tema così ctonio.
Ti ricordi il cane e il topo ad arrovellarsi sulla panchina per trovare un posto alla coniglia appiattita? 4


Ecco, loro, dopo tanto pensare, tanto guardarsi attorno, hanno finalmente la soluzione per lei. Costruiscono una croce, o meglio un telaio a croce, per un grande aquilone grigio. Con delicatezza, la prendono e con chiodi e martello (!), forbici e nastro adesivo le fissano mani e piedi, orecchie, naso e fianchi alla croce. Impiegano un bel po' a farla decollare, dopo 42 tentativi il cane finalmente riesce e la coniglia comincia a salire, salire e salire. 'Pensi che si stia divertendo lassù?' chiede l'uno all'altro, provando a immaginare come possa apparire il mondo da lassù.
La risposta, caro Scoiattolo, il poeta direbbe che è nel vento, ma quel cane che poeta non è (sic?) dice più umanamente 'non so...non so'. Poi, passa il filo al topo, 'vuoi provare?' e il topo fa... la cosa giusta. 


E io sono con loro.

Abbimi cara

Formica

[fine]

1B. Masini, A. Papini, Si può, Carthusia 2014
2K. Crowther, La visite de Petit Mort, L'ecole des Loisirs 2005
3O. Jeffers, The Heart and the Bottle, HarperCollins 2010
4B. Oskarsson, The Flat Rabbit, Owlkids Books 2014

Article 1

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TORTA BAROZZI TRA PROUST E TOLSTOJ

Io a Vignola non sono mai stata. Se ci dovessi passare tra maggio e giugno mangerei solo ciliegie. Se invece ci dovessi capitare in altri periodi dell'anno, mi fermerei alla pasticceria Gollini per un pezzo di torta Barozzi.
Vignola non è mai stata nei miei percorsi abituali, ma lo è stata invece nell'infanzia di Eleonora. Lei racconta, come Proust, di un ricordo ben preciso legato al sapore che aveva la Barozzi, mangiata da bambina.
E allora questa ricetta la dedico a lei che della sua infanzia padana ha talvolta una grande nostalgia...

Ingredienti
    80 g di burro
    150 g di zucchero
    4 uova
    250 g di cioccolato fondente
    100 g di mandorle dolci spellate
    1 fondo di caffè
    un bicchierino di rum (una fialetta di aroma al rum)

Fate fondere a bagnomaria burro e cioccolato. Nel frattempo, tostate per qualche minuto al forno le mandorle pelate e poi tritatele molto finemente. In una grande ciotola montate i tuorli con lo zucchero finché non diventano una spuma cremosa, quindi aggiungete le mandorle, il fondo di caffè di una caffettiera da uno, il rum (o l'aroma) e il cioccolato sciolto con il burro.
Otterrete un composto piuttosto consistente a cui aggiungerete con molta cautela le chiare montate a neve soda che lo rendereranno più cremoso, ma non liquido.
Rivestite di carta argentata uno stampo dai bordi un po' alti e versatevi la miscela ottenuta fino a raggiungere grossomodo i 3 cm. di spessore. Quindi infornate a 180° per mezz'ora almeno.
La torta, a cottura ultimata, dovrebbe rimanere molto morbida e umida all'interno e per tagliarla, una volta fredda del tutto, gli stessi pasticceri suggeriscono di avvolgerla per intero nella carta stagnola. In tal modo, poiché è molto friabile, si evita di sbriciolarla troppo e di perderne anche minuscole particole.

Il che sarebbe un vero peccato.

Carla

Della torta Michele Serra scrive:
‹‹…per descrivere la Torta Barozzi bisognerebbe essere per lo meno Tolstoj, mi scuso con la Torta se non son degno. Si presenta come una piccola zolla di terra, e come una zolla si sbriciola. È un incantevole mistero fatto di mille aromi che confondono il palato in una sinfonia di dolcezze…››



FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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DELLA LEALTA' E DEL TRADIMENTO


Pax, romanzo dell'americana Sara Pennypacker, arricchito dalle poche, essenziali illustrazioni, a partire dalla bella copertina, di Jon Klassen, consente diverse letture. E' in primo luogo il racconto del legame indissolubile fra un ragazzino e la sua volpe addomesticata; volpe, dal nome Pax, che viene abbandonata lontano da casa per ordine del padre, poiché sta partendo per la guerra, e il figlio, il giovane protagonista Peter, deve andare a vivere dal nonno. Basta una notte per decidere di abbandonare di nascosto la casa del nonno e affrontare i molti pericoli del viaggio di ritorno, per cercare la volpe così ingiustamente abbandonata.
Il racconto di questo viaggio avventuroso si avvicenda con le peripezie vissute dalla volpe, un giovane maschio del tutto inesperto, incapace, almeno all'inizio, anche di cacciare. Il viaggio di entrambi è fatto di incontri, di quelli che cambiano il corso di una vita. Peter, che si è fratturato un piede, viene accolto da Vola, una ex soldatessa che non riesce a far pace con il proprio passato. Pax, nel frattempo, incontra due giovani volpi, Pelodritto, una femmina di gran carattere, e Scricciolo, il suo fratellino.
Le avventure sono molte, con molte pause che interrompono il cammino e i due protagonisti, che, pur non smettendo mai di cercarsi, man mano maturano, lasciandosi alle spalle definitivamente l'infanzia.
L'altro tema, sotterraneo e fortissimo, è quello del rapporto fra generazioni, la domanda, cruciale, se talvolta disobbedire sia necessario e intimamente etico. Qui è il discorso più complesso, che nasce dal confronto fra l'opportunismo e le menzogne che spesso abitano il mondo adulto, qui rappresentato dal taciturno e rabbioso padre, e il bisogno di verità e di coerenza, proprio dell'adolescenza. Che si possa attraversare l'età adulta senza compromessi e mezze verità, non riesco a crederlo, ma c'è un patto di lealtà che non dovrebbe mai rompersi fra un adulto e un bambino. E' il patto che viene infranto quando il padre lascia la volpe nel luogo più pericoloso, quello in cui si svolgeranno i combattimenti; è il patto che involontariamente rompe Peter, quando inganna Pax, abbandonandola. I due si ritroveranno e ritroveranno anche il senso della reciproca libertà. Qui il figlio disconosce le scelte del padre e disconosce la sua adesione alla guerra. Questo è l'altro tema che l'autrice inserisce, una riflessione sul senso della guerra e sull'impossibilità di coniugarla con qualsiasi forma di giustizia.
E', dunque, un romanzo denso di tematiche importanti, ambientato in un qui e ora non identificato. C'è un grande bisogno di assoluto in queste pagine, bisogno di trasmettere ai ragazzi un'idea di giustizia e di lealtà senza ombre. Ma può essere letto anche solamente come un bel romanzo di avventura, il viaggio di riconciliazione fra un ragazzo a il suo cucciolo, ormai cresciuto. Anche qui spicca la riprovazione per tutti quegli adulti che vogliono ignorare il legame speciale che esiste fra i bambini e i loro animali, un legame che non dovrebbe essere mai spezzato e che meriterebbe un discorso a sé.
E' una storia che può piacere a diversi tipi di lettori e lettrici: chi ama l'avventura e chi preferisce storie coinvolgenti, che costringono a qualche seria riflessione. Lettura comunque indicata a partire dai dieci anni.

Eleonora

“Pax”, S. Pennypacker, con le illustrazioni di Jon Klassen, Rizzoli 2017


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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QUANDO I COCCODRILLI RUGLIANO

Il fiume dei coccodrilli, Gustavo Roldán (trad. Marta Corsi)


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"'Senza alcun dubbio, questo è il miglior posto per un coccodrillo.' Disse il coccodrillo capo, lasciandosi cullare dall'acqua.
All'improvviso, nella macchia, si udirono passi pesanti.
Un uomo vestito di rosso si fece largo in direzione dei coccodrilli.
'Buonasera, coccodrillo' disse l'uomo vestito di rosso.
'Buonasera a lei' rispose il coccodrillo capo.
'cosa la porta qui?'"

Ecco appunto. Che cosa lo ha portato lì? La domanda è lecita, considerato che che i fiumi infestati di coccodrilli non sono luoghi ameni per l'uomo.


Tuttavia qualcosa di veramente importante ha condotto l'uomo vestito di rosso a recarsi sulla rive di questo pericoloso corso d'acqua: ne è appena diventato il proprietario. Con sicurezza lo comunica al coccodrillo, sventolandogli davanti al naso la carta che lo prova. Il coccodrillo, imperturbabile, dalla sua ha il fatto di non saper leggere. L'omino rosso con voce stentorea glielo recita: l'ha acquistato con denaro contante e sonante e quindi il fiume è suo. A riprova di ciò mostra una fialetta di acqua consegnatagli quel giorno stesso dall'agenzia. Il coccodrillo l'annusa e stabilisce che essa è simile, ma non la stessa, forte del fatto che l'acqua scorre di continuo... 


La pedanteria dell'uomo che rivendica la sua proprietà però irrita il coccodrillo, a tal punto che tra i cespugli, lontano dell'occhio indiscreto del lettore, si compie il triste destino di quell'uomo che a tutti costi voleva il fiume dei coccodrilli per sé.

Piccolo, poteva sfuggire tra i molti libri esposti negli stand della fiera. Ma quel nero che satura la copertina e quel verde coccodrillo che punta i suoi occhi verso il lettore sono un richiamo irresistibile. Almeno per me.
Che un coccodrillo sia cattivo è nell'ordine delle cose, ma che sia contemporaneamente cattivo e affettato nei modi, a mio parere, fa già la differenza tra gli altri milioni di coccodrilli che abitano nei libri per l'infanzia.
Un secondo discrimine sta nell'idea di fondo: ovvero il punto di avvio dato dall'acquisto di qualcosa che si muove in continuazione, che non è mai uguale a se stessa: l'acqua, l'acqua di un fiume che, per definizione, è acqua che passa. Lentamente ma inesorabilmente mi affeziono alla storia.


Da qui, a grappolo, si snocciolano una serie di esilaranti siparietti tra il coccodrillo e l'uomo vestito di rosso. Il primo riguarda la non remota possibilità che l'uomo sia stato truffato, il secondo si centra sull'ampolla con l'acqua di fiume che diventa la prova regina del fatto che il fiume venduto non è più quello attuale, il terzo è una succinta lezione di fisica dei solidi e anche dei liquidi, il quarto ha il merito di essere un piacevole divertissementlinguistico e il quinto assume un vago sentore di sermone ambientalista ed ecologico.
E poi arriva lui, quel 'rugliare' che non ti aspetti e che ti incolla definitivamente al libro e alla storia che contiene: "E poi i coccodrilli rugliarono e diedero un colpo di coda sull'acqua..."Rugliare è il verbo perfetto.
Arrivo, contenta, fino in fondo alla storia e spero che il libro non mi deluda con un finale buonista in cui tutto si risistema.
Non mi delude, anzi, mi pare dia lui un bel colpo di coda nell'ultima pagina.
Lasciamo i fiumi ai coccodrilli che li abitano! E non facciamo prigionieri...
Secondo libro italiano per Roldán, già apprezzatissimo nella storia del Signor G, il quale, al contrario dell'uomo vestito di rosso, nonostante la vaga somiglianza, ha una coscienza e un rispetto della natura circostante ben diversa. Il Signor G vive in armonia con il mondo.
Al contrario, in questo secondo e felice piccolo racconto di Roldán c'è un graffio, generato però da un ottimo motivo: non tutto al mondo può essere comprato o venduto.
E mi permetto di aggiungere: spesso essere fermi, al limite della brutalità, su alcuni principi fondamentali, dà sempre i suoi frutti. 


Soprattutto se i frutti sono la Bellezza

Carla


FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

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FANTASMI CLANDESTINI


Ritornano i tre amici, coraggiosi protagonisti de I bambini di cristallo: Aladdin, Billie e Simona sono nuovamente alle prese con una vicenda inquietante, i furti nel ristorante dei genitori di Aladdin e le ambigue apparizioni nella neve di un bambino in pantaloncini corti. In Il bambino argento, la nuova prova della svedese Kristina Ohlsson, ritroviamo dunque gli stessi personaggi e le ambientazioni inquietanti che già avevano caratterizzato il romanzo precedente. In questo caso il protagonista della vicenda è Aladdin, di origini turche ma ben ambientato nella cittadina di Ahus; le cose non vanno molto bene per la sua famiglia, proprietaria di un noto ristorante, da cui spariscono nottetempo cibi e bevande. I genitori dunque cominciano a pensare di non essere più tanto benvoluti in quella tranquilla cittadina nordica, soprattutto da quando nel porto è ormeggiata una nave carica di profughi siriani, sospesi nel limbo che precede l'accoglimento della richiesta di asilo politico.
In questo clima di incertezza, Aladdin comincia ad avvistare uno strano ragazzino, che gira con vestiti antiquati. Un ragazzino talmente strano da non lasciare impronte nella neve. Nello stesso tempo a scuola viene assegnato come compito una ricerca su eventi e personaggi della cittadina. Il nostro coraggioso protagonista decide di occuparsi di un furto di argento avvenuto un secolo prima, furto che aveva gettato nello scompiglio tutta la comunità. All'origine di questo furto, una rivalità in amore fra due uomini, uno provetto gioielliere, l'altro antenato dell'uomo tuttofare che lavora nel ristorante.
Come si vede, c'è un bell'intreccio, in cui è possibile districarsi solo ai tre giovani protagonisti, amici per la pelle e solidali fra loro nelle indagini come nella vita. Come è giusto nella logica di un buon romanzo giallo, tutti i tasselli trovano il loro giusto posto solo nel finale, che per ovvi motivi non svelo. L'autrice è davvero brava a mescolare la vita quotidiana di una cittadina qualsiasi con quella vena un po' mistery, quel pizzico di sovrannaturale che dà un segno diverso ai tanti spunti presenti nella narrazione. Presente e passato si contendono la scena: il presente incarnato dal barcone dei migranti, con tutti i contrasti, fra diffidenza e solidarietà, che questa presenza comporta. E il passato, che, come in molti romanzi dei giallisti nordici, ritorna a presentare il conto: ingiustizie patite, crimini irrisolti, discendenti ancora turbati dalle pesanti eredità di congiunti dai discutibili comportamenti.
In questa atmosfera di mistero si muovono i tre ragazzini, legati da un'amicizia così forte da fargli condividere preoccupazioni e pensieri, ma anche indagini clandestine.
Come dicevo, tutto nel finale trova la giusta collocazione, ma con un discreto margine di dubbio. Dubbio sul futuro, che appare più incerto di quanto si vorrebbe, dubbi sul destino dei profughi, sopportati forse, ma non accettati; dubbi anche sul fatto che la nostra percezione della realtà non sia almeno in parte illusoria.
Significativa e realistica questa sottolineatura dell'incertezza del nostro presente, che ci ricorda quanto sia cambiata la percezione del vivere comune.
Bel romanzo, si legge tutto d'un fiato e lascia nella giovane lettrice e nel giovane lettore, a partire dai dodici anni, una dose salutare di dubbi.

Eleonora

“Il bambino argento”, K. Ohlsson, Salani 2017


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Blog in pausa

Al di là della foresta, Nadine Robert, Gerard DuBois, Orecchio acerbo 2017


LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

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TROVARE LA CHIAVE

La bambina dei libri, Oliver Jeffers, Sam Winston 
(trad. Alessandro Riccioni)
Lapis 2017


ILLUSTRATI

"Ho ATTRAVERSATO OCEANI di PAROLE per chiederti: VIENI VIA con ME?
C'è chi ha DIMENTICATO il LUOGO in cui vivo
ma su questa scia di PAROLE io saprò indicarti la STRADA."

Talvolta si tinge d'azzurro, è piccina, treccine composte ai due lati di una testa un po' sproporzionata che accoglie due grandi occhi da cerbiatto incantato. Ha gambine sottili che spuntano da un vestitino da marinaretta: è la bambina dei libri. Una bambina di Jeffers. Sembra che guardi lontano, seduta sulla costa di un librone rosso alto il doppio di lei, così come appare fin dalla copertina.


Quel libro, come spesso accade con i libri, è uno scrigno che va aperto, infilando una chiave mancante nella serratura che brilla al centro della copertina.
Non abbiamo la chiave per aprire il suo grande libro rosso, ma possiamo aprire quello che abbiamo in mano.
Apertolo, scopriamo i risguardi fitti di titoli di grandi storie concatenati una riga sotto l'altra. Poi il libro comincia con una pagina ingiallita e una penna e un calamaio che aspettano di entrare in azione, nelle mani di chi avrà voglia di scrivere una storia, si suppone.
Quello stesso foglio, girata la pagina, diventa vela gonfia di vento nel mare aperto delle storie che la ragazzina attraversa sicura.
Davanti ai nostri occhi la fantasmagoria si dispiega in tutta la sua pienezza: pagina dopo pagina, testi di romanzi, di fiabe, porzioni di racconti, parole di libri famosi danno vita a mari in tempesta, montagne da scalare, boschi da attraversare, castelli da cui fuggire, nuvole da raggiungere.


Ad ogni giro, la bambina e il suo giovane amico, vanno avanti sulla scia delle parole, attraversando scenari sempre diversi, ma sempre fatti di narrazioni che si snodano sotto i loro passi. Fino ad arrivare al mondo che gli appartiene: quello delle storie. Nella loro coloratissima casa, regno della fantasia, tutti potranno entrare.
Chiuso il libro, troviamo la chiave.

Trovare la chiave.
Ecco, ci ho messo molto tempo per riuscire a trovare la mia, di chiave, quella di interpretazione. Volevo dire qualcosa di onesto e, spero, sensato su questo libro che tanto mi ha dato da pensare.
Cercherò di essere il più chiara possibile nel percorso che ho fatto intorno a questo libro che ha testé vinto il BRAW, il Bologna Ragazzi Award 2017.
Partiamo dal principio, mettendo in luce un dettaglio.
Il dettaglio si concretizza in una 'stranezza': il libro esce con Lapis e non con Zoolibri che è lo storico editore di Jeffers per il mercato italiano. Le ragioni possono essere molte: prettamente commerciali, legate al mercato dei libri che è un mercato a tutti gli effetti con gente che fa affari e vende e compra titoli di libri. O forse a ragioni legate a una disattenzione temporanea di Zoolibri e, viceversa, a un occhio più attento di Lapis. Ma se invece non fosse disattenzione, ma piuttosto disaffezione temporanea? Non è possibile verificarlo.
Questo è stato il primo rovello.
Il libro vince uno dei premi più prestigiosi per la letteratura per l'infanzia e quindi finisce sotto i riflettori e diventa immediatamente una 'star'.
Ne sono felicissima perché Jeffers è uno dei miei autori di riferimento: uno di quelli che, io penso, finora non ha mai sbagliato un colpo, a parte L'incredibile bimbo mangialibri.
Di Jeffers mi convince il modo di raccontare lo iato tra mondo dei piccoli e mondo dei grandi; il suo costante riconoscimento nei confronti dei suoi bambini di sapersela cavare sempre; il suo senso dell'ironia; il suo gusto per l'assurdo che spesso prende la forma di veri e propri 'crescendo' di immaginazione; la sua capacità di saper cogliere la realtà con i vizi e pregi dell'umanità; la sua costante ricerca di sollevare grandi questioni senza chiudersi mai dentro risposte precostituite; la sua capacità di costruire storie bellissime che si sostengono senza bisogno di appoggiarsi ad un tema; la sua abilità a non essere mai didascalico e retorico; la sua abilità di rivolgersi a giovani lettori e lettrici in modo diretto.
Leggo La bambina dei libri con grande aspettativa, visto anche il BRAW, e mi colpiscono alcuni elementi.
Provo a elencarli.


L'impatto dell'immagine costruita con i 'paesaggi tipografici' di Sam Winston è fortissimo. Bellissimi, semplicemente bellissimi, per forma e 'contenuto', laddove essi sono costruiti con brani di libri (tradotti e modellati a seconda della lingua) che con la forma che costituiscono - onda, montagne, mostro, caverna... - hanno un robusto legame di senso. Il buco in cui la bambina si cala è costruito con un brano dalle Avventure di Alice nel paese delle meraviglie; l'onda con i Viaggi di Gulliver; la corda con Raperonzolo e via andare. Graficamente l'effetto è innegabile, anche se, da adulta, mi sarebbe piaciuto arrovellarmi un po' di più nella ricerca delle fonti e non trovarmele elencate con ordine, già nei testi o nei risguardi. Ma è condivisibile l'esigenza editoriale di risultare comprensibile a tutti. Da un maestro dei 'crescendo' mi sarei aspettata anche una scelta più ricca di riferimenti letterari (meno di quaranta titoli per raccontare il nostro immaginario letterario, non sono poi tanti). La scelta dei testi, per ovvie ragioni, è una scelta adulta che può coinvolgere i piccoli solo in alcuni momenti. E a questo proposito mi chiedo quanto questa fantasmagoria tipografica possa arrivare nella sua interezza ai lettori in erba, ma mi consolo pensando che, come spesso accade, l'albo illustrato parla diversi linguaggi percepibili da pubblici di lettori differenti. E quindi va anche bene così, forse. Ma non posso non istituire un confronto con la scelta che fece Ponti in Biagio e il castello di compleanno (Babalibri, 2005), dove l'immaginario, sebbene solo figurativo e non letterario, mi è sempre parso molto più condivisibile tra piccoli e grandi.


Secondo elemento. Il disegno. Riconosco lo Jeffers che mi piace: bambini testoni e magrolini che però sanno dominare il mondo, e lo spazio della pagina. Riconosco e apprezzo il tratto incerto di chi sa anche essere un grande artista e pittore. Apprezzo i grandi vuoti e il bianco e nero, che sfuma in ombre di acquerello grigio o azzurro e il fuoco di artificio della pagina del mondo. Riconosco il 'crescendo'. Riconosco il lettering che trovo perfetto, come negli altri suoi libri. Mi sento a casa.
E il disegno con il paesaggio 'tipografico': semplicemente perfetto. Un'armonia costruita a quattro mani per coltivare il senso di rinnovata meraviglia di chi sfoglia le pagine.
Terzo elemento, il testo. Un brivido lungo la schiena mi corre (e non solo a me) già alla pagina due quando leggo 'e sulle onde della fantasia scivolo veloce'. Nutro una 'idiosincrasia' per la parola fantasia in tutto ciò che attiene all'infanzia.
Non ho modo di spiegarlo nel dettaglio qui, ma credo dipenda dalla sovraesposizione di questa parola nella retorica adulta sull'infanzia. In questo libro compare ben tre volte. Non sono più a casa e, anzi, mi metto in allarme e cerco il testo in inglese e trovo, per esempio, and upon my imagination, I float. Quel my imaginationè diventato sulle onde della fantasia. Ma perché? Perché immaginazione è diventato fantasia? La lettura è una precisa esperienza cognitiva che ha a che fare con l'immaginazione più che con la fantasia. La fantasia ha a che fare con lo scrivere, piuttosto. E soprattutto perché il myscompare, sottraendo alla bambina il suo ruolo attivo e personale rispetto alla sua 'fantasia'? 

 
Quarto elemento, che è di nuovo un rovello. La storia dov'è? È compressa dal tema che predomina su ogni cosa intorno: leggere fa bene.
Mi chiedo: c'è bisogno di dirlo o, peggio, di consigliarlo con tanta enfasi? Non sarebbe più efficace tentare di creare nuovi lettori leggendo loro libri meravigliosi, tutti quelli di Jeffers (anche il Bimbo mangialibri che è sull'orlo del baratro del didascalico, ma non ci cade dentro) per esempio?
Ecco che nella mia testa fa un passo indietro l'Oliver Jeffers che ha saputo parlare di lutto, di solitudine, di pochezza umana, di egoismo attraverso storie magnifiche che hanno avuto il merito di avviare il ragionamento nelle menti di giovani lettori e lettrici su argomenti così tanto importanti, quanto lo è l'amore per le storie. E si fa avanti, invece, uno Jeffers che rende omaggio, da adulto, all'immaginazione, o meglio al suo (o di Sam Winston) immaginario, costruitosi nel tempo attraverso le letture di Melville, Shelley, Defoe, Stoker, Grimm e gli altri.
 

Scusate l'ardire, ma io, nonostante il Braw, provo una disaffezione temporanea.


Carla




FAMMI UNA DOMANDA!

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CERVELLI SCINTILLANTI


Che bella idea, scrivere un libro per adolescenti sul loro bene più prezioso, il cervello. E raccontare, in modo molto preciso, ma chiaro, come funziona e come cambia il contenuto della scatola cranica, durante la crescita. Il testo in questione è Usa il cervello! Se sai come guidarlo (ci) arrivi prima, di JoAnn e Terrence Deak, pubblicato da De Agostini.
Intanto l'acquisizione basilare, che qualche genitore e qualche insegnante talvolta dimenticano, che il cervello cambia sostanzialmente nel decennio, circa, che porta dall'infanzia all'età adulta. Cambia proprio sostanzialmente, fisiologicamente: la mielinizzazione, cioè la produzione di mielina da parte delle cellule gliali, consente di migliorare le connessioni fra un neurone e l'altro; l'aumento delle connessioni, a sua volta, migliora le prestazioni cerebrali. Ma un ruolo fondamentale è svolto, come ben sappiamo, dall'irruzione degli ormoni, quelli che cambiano il corpo, ma anche il pensiero: testosterone ed estrogeni.
Questo è l'aspetto tecnico, che potrebbe sembrare arido, ma che ha una serie di significative implicazioni: che i ragazzi e le ragazze in questa fascia d'età, fra i dieci e i venti anni, sono nel mezzo di una trasformazione che è contemporaneamente emotiva e cognitiva; che lo sviluppo del cervello è supportato dalla quantità e qualità degli stimoli che gli sottoponiamo; che può essere, viceversa, danneggiato da condotte a rischio, quali il consumo di alcol e droghe.


Cosa c'è di nuovo in tutto questo? Che questo insieme di informazioni importanti è rivolto, finalmente!, ai ragazzi e alle ragazze, con un testo preciso, ma divertente, chiaro, coinvolgente, con la finalità di renderli maggiormente consapevoli delle potenzialità e dei pericoli del mare in tempesta che stanno attraversando.
Dunque, un modo per aver cura del cervello è tenerlo in costante allenamento; e quale guida migliore di un genio come Leonardo da Vinci?


Pensa come Leonardo da Vinciè il nuovo titolo della preziosa collana Allenamente di Editoriale Scienza, ed è opera di Carlo Carzan Ludomastro e Sonia Scalco.
Cosa può ancora insegnare il poliedrico genio toscano? Gli autori si propongono il meritevole scopo di descrivere il modo di ragionare di Leonardo, la meticolosità affiancata alla poliedricità dei suoi interessi. Era essenzialmente un curioso, di una curiosità sterminata, espressione suprema di quella fame di sapere che vediamo, se vogliamo, nelle domande delle nostre bambine e bambini. Una curiosità senza preconcetti, volta a catturare aspetti diversissimi del reale. La peculiarità di Leonardo si è espressa nell'aver affrontato ogni quesito con metodo, con acume e con capacità di sperimentazione straordinari, dati i tempi in cui ha vissuto. 


Aver guardato al mondo con uno sguardo curioso e libero gli ha consentito di inventare macchine, sperimentare tecniche pittoriche, progettare banchetti sontuosi, elaborare teorie scientifiche. E non contento, di inventare anche cruciverba e giochi matematici, alcuni dei quali proposti ai giovani lettori e alle giovani lettrici. Come nel precedente volume, il gioco si intreccia alla didattica, ne è parte integrante, a dimostrazione che può costituire un modo divertente di acquisire nozioni e mettere alla prova le proprie capacità. Nel testo ci sono numerosi suggerimenti metodologici per seguire le orme del grande genio del Rinascimento, per esplorare le proprie curiosità e farne oggetto di ricerca. Mi auguro che in tanti e tante seguano questi suggerimenti, non tanto per avere nuovi geni al servizio dell'umanità, obbiettivo auspicabile ma molto difficile, ma per avere ragazzi e ragazze che dallo studio e dalla ricerca traggano soddisfazione e divertimento, che vivano lo studio anche come un piacere e come un essenziale strumento di libertà.

Eleonora

“Usa il cervello”, JA e T. Deak, De Agostini 2017
“Pensa come Leonardo da Vinci”, C. Carzan e S. Scalco, Editoriale Scienza 2017


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I BISCOTTI DEL COLORE

A casa nostra si chiama IL COLORE ed è una tonalità precisa di verde che tutti in famiglia conoscono e individuano alla perfezione. E' una sfumatura tra il colore del petrolio e il colore della menta. Lo chiamiamo IL COLORE, come se fosse l'unico esistente, l'unico che merita tale appellativo, il supremo fra tutti.
Ecco, un giorno in una delle mie scorribande dentro Piccole ricette (che non smetterò mai di elogiare), vedo dei biscotti che hanno IL COLORE.
Visto che è cibo, fortunatamente, tende meno al colore del petrolio e più a quello della menta.
Infatti di menta sono fatti.
Facili e adatti anche per chi non ha tolleranza nei confronti della farina.


Qui gli ingredienti:

250 gr di amido di mais
125 gr di burro
90 gr di zucchero
60 ml di sciroppo di menta
1 pizzico di sale
3 gr di lievito per dolci
200 gr di cioccolata fondente
menta secca tritata (facoltativa)

Mescolate il burro morbido a temperatura ambiente con lo zucchero fino a che diventa cremoso, quindi aggiungete lo sciroppo e continuate a mantecare il tutto poi lentamente l'amido di mais, il pizzico di sale e il lievito. Otterrete così un impasto morbido e verde. Lasciatelo riposare qualche minuto quindi stendetelo con il mattarello fra due fogli di carta forno fino a fargli raggiungere il mezzo centimetro di spessore. Con un bicchiere o un coppapasta tagliate tanti cerchi che disporrete ben distanziati sulla leccarda del forno foderata di carta forno.


Cuoceteli a 160° per 15 o 20 minuti al massimo. 
Non devono brunirsi e per questo vanno 'tenuti d'occhio'.
Una volta cotti, lasciateli freddare a dovere quindi immergeteli per metà nel cioccolato che avrete preventivamente fatto sciogliere a bagno maria.
Ridisponeteli sulla carta da forno e lasciateli freddare (eventualmente con una passata in frigo per accelerare i tempi). Se volete aggiungere aroma alla menta, decorate la parte con il cioccolato con una sfarinatura di foglie di menta secca; fatelo finché il cioccolato è ancora morbido, ovviamente.


Ecco fatto!

Carla *



*aspettando Bernardo...
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